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  Editoriale Numero 40, Aprile 2006   
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Vino Biologico


 Anche questo mese attingiamo l'argomento dell'editoriale dalla nostra rubrica dei sondaggi che - nonostante sia stata inserita solo da qualche mese - sta riscuotendo molto successo. Come dicevamo il mese scorso, l'opinione dei lettori ci dà l'opportunità di riflettere sui gusti e tendenze degli enoappassionati. Ci ha molto colpito come stanno votando i lettori di DiWineTaste a proposito di quanto, nella scelta di un vino, sia importante che sia “biologico”. La maggior parte dei votanti ha dichiarato di essere “indifferenti” e “poco” interessati al “vino biologico”. Ci chiediamo, comunque, quanto la comunicazione fatta su questo tipo di prodotto sia responsabile di questo risultato, innanzitutto in generale e poi in relazione alla categoria vino. La comunicazione sul vino biologico è stata svolta in modo poco efficace e raramente si è cercato di spiegare con chiarezza cosa fosse un alimento biologico. E ciò vale ancora di più in relazione al mondo del vino. Gli scandali alimentari, quali ad esempio “mucca pazza”, hanno favorito l'attenzione da parte del consumatore verso i prodotti “biologici”. Se in alto alla classifica della tipologia di prodotto più acquistata si colloca la categoria dei “freschi”, come ad esempio ortofrutta e latticini, il vino si trova agli ultimi posti.


 

 Ma innanzitutto, cos'è un prodotto da agricoltura biologica? Il metodo di produzione biologico è rispettoso dell'ambiente ed esclude l'utilizzo di sostanze chimiche di sintesi (fitofarmaci e concimi chimici). Tutte le fasi produttive sono controllate e certificate da appositi organismi accreditati a livello europeo. Nel caso del vino, la dicitura corretta è “vino da agricoltura biologica”. In Italia, la viticoltura biologica è praticata su circa 50 mila ettari e costituisce poco più del 5% della viticoltura convenzionale. Un vino “biologico” si differenzia da uno convenzionale per diversi elementi: la forma di anidride solforosa ammessa (ad esempio solforosa gassosa in soluzione liquida o sali di metabisolfito) e la quantità totale - tra 10 e 25 ppm per l'anidride solforosa libera - acidi ammessi (ad esempio citrico, tartarico e ascorbico). I livelli di solforosa ammessi in un vino “biologico” variano a seconda dell'ente, scelto dal produttore, il quale controlla che tutti i parametri previsti nel disciplinare siano rispettati. Oltre al fattore comunicazione che il vino “biologico” sconta, occorre considerare l'attuale idea che i consumatori hanno del vino “biologico”. Purtroppo, tanti anni fa, la qualità della maggioranza dei vini “biologici” in commercio non era elevata e la nostra sensazione è quella che il vino prodotto secondo questi criteri non si sia ancora scrollato di dosso la reputazione di vino di “pessima qualità”.

 Oggi non è più così, almeno nella maggioranza dei casi. Si trovano in commercio ottimi vini biologici, dal punto di vista qualitativo e organolettico. Molti ritengono che i produttori di questa tipologia di vini non seguano i principi del metodo dell'agricoltura biologica. Per contro, molti produttori di vini biologici, nel commercializzare i loro prodotti, mettono in secondo piano il fatto che derivino da agricoltura biologica, proprio come se fosse un elemento che possa scoraggiare il responsabile acquisti della grande distribuzione, l'enotecario o lo stesso consumatore ad acquistare quel prodotto. I canali commerciali utilizzati dalle aziende vitivinicole biologiche italiane, sono prevalentemente rivolti all'esportazione, dove viene venduto il 65% della produzione, il restante viene distribuito in Italia tramite la ristorazione. L'esportazione riguarda prevalentemente i Paesi appartenenti all'Unione Europea (la Germania in modo particolare, dove vivono molti consumatori di biologico), la Svizzera e di recente è iniziata la scalata al mercato Nord americano.

 Se il problema della comunicazione poco efficace sui prodotti biologici - vino incluso - tiene lontani i consumatori da questi ultimi, altro elemento da considerare è il prezzo. In genere, i prodotti biologici si trovano sul mercato a un prezzo superiore del 20-30% rispetto a quello dei prodotti convenzionali. E nel momento economico-finanziario che stiamo attraversando, anche la spesa per l'acquisto del vino è stata ridimensionata. Purtroppo l'incidenza maggiore dei costi di produzione di chi produce biologico si ripercuote sul consumatore finale. Spesso, comunque, molti vini biologici costano meno rispetto a tanti vini convenzionali. Il vino biologico rimane, comunque, allo stato attuale, un prodotto di super-nicchia. I consumatori di questo tipo di vini sono in genere coloro che si recano a fare la spesa in catene specializzate nel biologico e che in genere acquistano prodotti alimentari che rispettano questi principi o derivanti da agricoltura biodinamica. Quest'ultima non è la stessa cosa del biologico. L'agricoltura biodinamica si ispira alle teorie dello studioso austriaco Rudolf Steiner, che teorizzò sulla coltivazione della terra, rispettando i ritmi e i cicli della natura. Anche in questo caso esistono enti certificatori del “biodinamico”, diversi da chi certifica il “biologico”. Esistono anche vini biodinamici, cioè realizzati con uve coltivate secondo i principi della biodinamica, che si rifanno ai principi di Steiner.

 Osservando più dettagliatamente cosa sia avvenuto nel comparto dei vini biologici va constatato che, tranne alcuni significativi esempi di nascita di strutture commerciali parallele (soprattutto in Germania e Svizzera), che si sono occupate in maniera esclusiva di promuovere e vendere vini biologici, oggi il vino biologico di qualità si inserisce sempre più facilmente nel mercato tradizionale, ottenendo successi significativi. La produzione di uve con il metodo dell'agricoltura biologica si sta sviluppando rapidamente anche nei nuovi paesi emergenti (Europa orientale, Australia, Nuova Zelanda, Cile e Argentina). Sul mercato italiano e nel resto del mondo sono già approdati i vini di questi paesi, anche quelli biologici, a prezzi sempre più competitivi. Nello scenario economico-finanziario mondiale attuale, le aziende che hanno scelto la produzione “biologica” incontrano notevoli difficoltà nella vendita dei loro vini. In Europa, la stessa Germania - che costituiva per certi versi lo sbocco di mercato naturale per i vini biologici - grazie alla diffusa cultura per questo tipo di prodotti e del biodinamico, ha notevolmente diminuito le importazioni di vino biologico dall'Italia. Così, molte aziende italiane di vino biologico si sono trovate in serie difficoltà, perché non avevano fatto i conti con la crisi economica che la Germania sta attraversando. Ci auguriamo che questi produttori, dopo tanti sforzi, non mollino e continuino a lavorare sulla qualità, sulla comunicazione relativa al prodotto e che non riconvertano i vigneti alla viticoltura convenzionale.

 Se la viticoltura biologica è ancora un settore in espansione o stia segnando il passo, è attualmente argomento di frequente quanto sterile discussione. Quello che si può affermare è che sono uscite dal sistema di controllo quelle aziende che avevano puntato più sul contributo che sulla messa a punto di sistemi aziendali che portassero a prodotti per il mercato del biologico. In quasi tutte le regioni, ma soprattutto in quelle a minore vocazione vitivinicola, diverse aziende prive di cantina, che conferivano uve a cantine sociali o le vendevano in modo autonomo, negli ultimi otto anni, entrarono nel sistema di controllo grazie ai contributi del Regolamento CE 2078 prima e del piano di sviluppo rurale poi, senza però valorizzare le proprie produzioni che continuavano a essere vinificate assieme a quelle convenzionali. La fine del regime di aiuti ha quindi indotto queste aziende a recedere dall'impegno, visto che non comportava più alcun beneficio. Quello che è accaduto nel mondo del vino biologico dovrebbe essere d'insegnamento a molti, nella speranza che serva di lezione a tutti, sia ai produttori, sia ai consumatori.

 



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La Posta dei Lettori


 In questa rubrica vengono pubblicate le lettere dei lettori. Se avete commenti o domande da fare, esprimere le vostre opinioni, inviate le vostre lettere alla redazione oppure utilizzare l'apposito modulo disponibile nel nostro sito.

 

Sempre più spesso sento parlare degli effetti negativi dell'anidride solforosa sull'organismo. Se è vero che è nociva, perché si usa nella produzione di vino?
Giorgio Lanari -- Spilamberto, Modena (Italia)
L'uso dell'anidride solforosa in enologia - un gas non infiammabile solubile in acqua - è dovuto alle sue proprietà stabilizzanti e conservanti. Ricordando che la tolleranza agli effetti dell'anidride solforosa varia a secondo dei soggetti, il suo uso è tuttavia regolato da apposite leggi che ne stabiliscono le quantità massime consentite. L'uso di anidride solforosa in enologia e nella viticoltura prende il nome di solfitazione. L'anidride solforosa può essere impiegata in molte fasi della produzione di vino. Prima della vendemmia, si può provvedere alla solfitazione delle viti con lo scopo di prevenire lo sviluppo di muffe e batteri. L'anidride solforosa si aggiunge anche al mosto con lo scopo di stabilizzarlo e si aggiunge al vino con lo scopo di prevenire ossidazioni e altre alterazioni chimiche.



Perché la fillossera distrugge le viti europee mentre le specie americane sono immuni a questo parassita?
Jacques Barthel -- Mérignac, Bordeaux (Francia)
La fillossera è un parassita che attacca le radici della vite, succhiando i nutrienti e provocando un progressivo indebolimento della pianta con conseguente riduzione dei frutti. Gli effetti della fillossera non alterano il gusto del vino, tuttavia con il tempo è necessario provvedere all'impianto di nuove viti. L'origine della fillossera è la zona orientale degli Stati Uniti d'America, dove crescono varietà di viti resistenti a questo parassita. Si ritiene che, nel corso del tempo, queste viti abbiano sviluppato un apparato radicale più spesso e forte tale da rendere vani gli attacchi della fillossera. L'apparato radicale più sottile della Vitis Vinifera - la specie europea - consente invece alla fillossera di aggredire la pianta privandola delle preziose sostanze nutrienti. Per questo motivo le giovani pianticelle di Vitis Vinifera - dette barbatelle - sono innestate su radici di specie americane resistenti alla fillossera, evitando così i suoi devastanti effetti.



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