Le denominazioni, e non solo quelle relative ai vini, sono da sempre motivo di
particolare attenzione da parte dei produttori e degli amministratori. Questo
strumento di riconoscimento legale consente infatti ai produttori di una
determinata area di tutelare la qualità e l'origine dei propri prodotti da
eventuali contraffazioni e imitazioni, almeno in teoria. Dal punto di vista dei
consumatori, per quello che concerne i vini, le denominazioni non sempre sono
viste come strumento di garanzia e qualità, qualcosa che nel mondo del vino è
ampiamente dimostrato dai fatti. Le denominazioni, in particolare quelle dei
vini, sono state sempre oggetto di polemiche e critiche, arrivando addirittura a
costituire un vero e proprio paradosso - e non solo in Italia - poiché alcuni
vini appartenenti a categorie inferiori dimostrano, con i fatti, di essere
superiori a vini di categorie più alte. In Italia è emblematico il caso di certi
vini IGT (Indicazione Geografica Tipica) e perfino alcuni Vini da Tavola,
decisamente di qualità migliore rispetto a molti blasonati vini DOCG
(Denominazione d'Origine Controllata e Garantita).
L'appartenenza alle denominazioni è stata inoltre oggetto di forte polemica da
parte degli stessi produttori. Alcuni preferivano declassare i propri vini a
categorie inferiori piuttosto che identificarli con denominazioni superiori,
nelle quali - a loro dire - appartenevano vini di discutibile qualità a
discapito dell'intera denominazione. In molti casi, in effetti, è difficile non
condividere le loro scelte. Se prendiamo come esempio il livello più alto di
qualità legale definita in Italia - la DOCG - spesso si scoprono esemplari
non proprio eccellenti ma che comunque hanno titolo e diritto, per legge e di
fatto, a rappresentare l'eccellenza della qualità enologica italiana. Ad onore
del vero, se consideriamo letteralmente il significato di DOC e DOCG, queste
suggeriscono che la tutela legale è limitata al controllo dell'origine di un
vino, che nella categoria più alta è perfino garantita. Questo lascerebbe
pensare che nel caso della DOC la garanzia dell'origine non può essere
assicurata. Misteri della burocrazia.
Oltre ai confini geografici dell'area di produzione, le denominazioni
definiscono comunque criteri di qualità, anche questi oggetto di controversie e
polemiche. Più volte ci siamo soffermati su questo aspetto. Riteniamo che la
qualità, come l'onestà e la moralità, siano criteri legati alla cultura
piuttosto che alla legge, la quale ha unicamente il compito di stabilire i
criteri comuni sulle norme che regolano la società e i suoi aspetti, criteri ai
quali tutte le persone oneste e che si definiscono civili devono attenersi.
Non possono però imporre la qualità come criterio assoluto, poiché questo -
facilmente dimostrabile - può essere aggirato e adattato alle diverse
circostanze. Un esempio su tutti è quello offerto dal criterio di resa per
ettaro, stabilito in ogni disciplinare che regolamenta una denominazione.
Supponendo che la resa definita per legge sia pari a 60 quintali di uva per
ettaro, questa misura può essere ottenuta sia piantando 6.000 viti in un ettaro
e facendo produrre a ogni vite 1 chilogrammo d'uva, sia piantando 600 viti e
facendo produrre a ogni ceppo 10 chilogrammi d'uva.
In entrambi i casi si ottengono 60 quintali d'uva per ettaro, tuttavia il
risultato in termini di qualità della materia prima - e quindi del vino - sono
enormemente diversi e distanti. Eppure le denominazioni esercitano un forte
fascino nei confronti di molti produttori e delle amministrazioni locali,
convinti che queste siano fondamentali per la tutela di un vino, della sua
storia e della sua tradizione. Aspetti che sono certamente importanti da
tutelare, ma che non sono necessariamente collegati alla qualità, almeno in
termini oggettivi. Esiste infatti un attaccamento nostalgico e romantico legato
soprattutto alle tradizioni, riconoscendo a queste un valore assoluto e
intoccabile, spesso di indiscutibile qualità. Qualora gli uomini di tutte le ere
fossero rimasti legati alle loro tradizioni, non ci sarebbe stato nessun
progresso, nemmeno in termini qualitativi, e ancora oggi faremmo uso di
tradizioni risalenti a tempi remoti. Oggi pochi appassionati della bevanda di
Bacco sarebbero disponibili a consumare un vino tradizionale prodotto secondo le
tecniche enologiche degli antichi romani: un vino troppo lontano dal nostro
gusto.
Non è una critica nei confronti delle tradizioni, poiché va riconosciuto che se
il vino è oggi quello che apprezziamo, questo è anche innegabilmente il
risultato delle tradizioni. Il riconoscimento delle denominazioni è certamente
qualcosa di più complesso e articolato, che non riguarda solamente tradizioni e
qualità, sono spesso scelte politiche con lo scopo di ottenere un pezzo di
carta che attesti a priori la qualità di un prodotto senza riserve. Questo
riconoscimento - è innegabile - consente poi di ottenere anche dei vantaggi di
tipo commerciale, a vantaggio di tutti quelli che conformano i loro vini a una
determinata denominazione, bravi e meno bravi, onesti e meno onesti. A questo
proposito si potrebbero portare diversi esempi del passato su come certe
denominazioni siano state utilizzate unicamente con scopi speculativi tesi ad
avere un vantaggio commerciale. Qualcosa che comunque non appartiene unicamente
al passato: ancora oggi la qualità di certi vini appartenenti a denominazioni di
elevata e comprovata qualità, risulta all'assaggio sconcertante e imbarazzante.
Eppure questi vini hanno legittimo titolo a rappresentare quella denominazione,
poiché - in accordo ai criteri fissati nel disciplinare - possiede
caratteristiche tali da consentirne l'appartenenza. Si dirà: il vino è un
prodotto vivo e pertanto nessun vino, anche della stessa denominazione, può
essere uguale a nessun altro, anche grazie all'intervento e il talento
dell'uomo. Giusto e ineccepibile, per fortuna. Ci sono già troppi vini troppo
simili, troppo uguali che l'esistenza della differenza non può che fare
immenso piacere. Però è altrettanto ineccepibile il danno che quel prodotto
provoca alla qualità dell'intera denominazione, a danno di tutti i produttori,
soprattutto di quelli che fanno della vera qualità un presupposto primario, a
prescindere da quello che è stabilito nel disciplinare. Si dovrebbero quindi
rivedere i criteri di controllo? Potrebbe essere una soluzione, forse. Ma
allora, che cosa, o meglio, a cosa servono le denominazioni? Sono strumenti per
la tutela della qualità? Dovrebbero esserle. O sono forse un mezzo per
consentire speculazioni commerciali? Anche.
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