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  Editoriale Numero 103, Gennaio 2012   
Di Calici e BollicineDi Calici e Bollicine  Sommario 
Numero 102, Dicembre 2011 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 104, Febbraio 2012

Di Calici e Bollicine


 Se c'è un vino per il quale si è maggiormente discusso sul tipo di calice da usare per il suo migliore apprezzamento, questo è certamente lo spumante. Qualunque spumante, da quelli più semplici e immediati prodotti con il metodo Charmat, a quelli più complessi e robusti frutto del metodo classico, rifermentati e affinati in bottiglia per molti anni. La disquisizione sul giusto calice per l'apprezzamento delle bollicine nasce in seguito al colossale successo commerciale che nasce dalla Champagne dopo la metà del 1600. I vini con le bollicine, o vini bruschi - così si chiamavano nei secoli scorsi in Italia, non proprio spumanti come li consideriamo oggi, ma comunque effervescenti - erano noti prima del celebre evento avvenuto nell'Abbazia di Hautvillers e che, leggenda vuole, ebbe nel monaco benedettino Dom Pierre Pérignon il principale protagonista. Il grande successo commerciale rese le bollicine immortali e indissolubilmente legate alle grandi e lussuose occasioni speciali.


 

 Un prodotto di élite come questo, non poteva non prevedere l'uso di calici anch'essi lussuosi e ricercati, spesso un mera ostentazione di inutile sfarzo. Calici decorati, spesso ornati con finiture in oro zecchino, steli d'oro, di peltro, d'argento e platino, cristalli di prim'ordine, sono state caratteristiche comuni dei calice nei quali si versavano le preziose bollicine. In effetti, più che a considerazioni strettamente sensoriali e organolettiche, nei calici riservati alle bollicine si chiedeva unicamente una qualità: quella di sottolineare il lusso e la ricchezza dell'occasione, soprattutto per impressionare i propri ospiti. Non abbiamo notizie attendibili in questo senso, ma è probabile che in quei “contesti sociali” pochi si interessavano veramente alle qualità organolettiche dei vini, piuttosto si concentravano sul prestigio dell'etichetta, il pregio del calice e i significati ad esso legati. Non dico che in questi contesti fossero apprezzati vini di pessima qualità: la storia ci insegna che i migliori vini finivano solo ed esclusivamente nelle tavole dei ricchi.

 L'unica qualità sensoriale per la quale si prestava maggiore attenzione nei vini spumanti - nello specifico, lo Champagne - erano le bollicine. Forse perché sono tipiche di questa sola categoria di vini, o forse perché, in termini poetici, sono state sempre definite come “perle”, altro oggetto attinente al lusso e alla ricchezza. In altre parole, la metafora delle perle che divenivano bollicine nel calice avevano il primario scopo di sottolineare lo stato di vino per l'élite. Il primo calice ad essere associato allo Champagne è stato certamente la coppa. Questo tipo di calice è sempre stato oggetto di storie e leggende, non solo sulla sua presunta creazione, ma anche sul suo uso. La più celebre riguarda la sua creazione. Leggenda vuole che la celebre coppa sia stata modellata sul seno di almeno tre nobildonne francesi del passato. Maria Antonietta - celebre arciduchessa d'Austria e poi regina di Francia e Navarra - Giuseppina di Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte, e, infine, Jeanne Antoinette Poisson, Marchesa di Pompadour, passata alla storia come Madame de Pompadour oltre che per essere stata amante del re di Francia Luigi XV.

 Queste tre gentildonne del passato non furono comunque le uniche ad avere immortalato il loro seno nella forma di una coppa da Champagne: altri nomi, anche se meno noti, furono oggetto della stessa leggenda. In realtà, nessuna di queste è stata protagonista delle vicende raccontate da queste storie. È appurato che lo Champagne fu versato nella celebre coppa poco dopo la metà del 1600 - si dice nel 1663 - quando fu appositamente creata dagli inglesi, da sempre clienti di primaria importanza per i vini di Francia e per lo Champagne, basandosi sul modello di coppe già diffuse in Francia e in Europa. In altre parole, la coppa aveva conosciuto le briose bollicine dello Champagne molto tempo prima della nascita delle tre celebri dame. Nonostante la coppa sia così riccamente legata a romantiche leggende e storie, in realtà è il tipo di calice meno adatto per l'apprezzamento dello Champagne e degli altri spumanti. La coppa è oggi talvolta usata per certi vini spumanti molto aromatici, come i celebri Asti e Brachetto d'Acqui.

 Il declino della coppa comincia intorno al 1930, quando fa il suo ingresso nella società dell'élite la cosiddetta fûte, il celebre calice alto e stretto, concepito con un principale obiettivo, quello di conservare il più a lungo possibile l'effetto del perlage. Stretta e lunga, offrendo quindi una superficie ridotta all'ossigeno, la flûte metteva in bella evidenza le bollicine che dal fondo danzavano gioiosamente verso la superficie. Un calice di questo tipo limitava comunque l'espressione probabilmente più importante per l'apprezzamento di ogni vino: i suoi profumi. Sia la coppa sia la flûte erano concepite per mettere in risalto l'unica qualità che rendeva gli spumanti così diversi da tutti gli altri: le bollicine, le finissime perle simbolo del lusso e della ricchezza. A guardare questi calici, sembrerebbe che le altre qualità organolettiche di questi vini, in particolare i profumi, non fossero così importanti rispetto all'impatto visivo che questi vini dovevano principalmente esprimere.

 Negli ultimi anni - fortunatamente - si sono creati calici che, finalmente, mettono in risalto non solo le bollicine, che sono comunque segno di qualità negli spumanti, ma anche a soprattutto i profumi, aspetto di primaria importanza per la valutazione sensoriale di qualsiasi vino. Oggi, sia la coppa sia la flûte, sono state sostituite dal più efficace “calice a tulipano”, sempre alto e slanciato e con il fondo a punta - così da consentire l'apprezzamento delle bollicine - ma più ampio così da esaltarne i profumi, soprattutto quelli complessi dei metodo classico. C'è infine chi apprezza le bollicine - dallo Charmat al Metodo Classico maturo - in calici ampi, come quello per vini bianchi maturi e strutturati, così da favorire il pieno apprezzamento e sviluppo degli aromi, sacrificando lo “spettacolo” delle bollicine che si esauriscono in fretta a causa dell'ampia superficie di contatto con l'ossigeno. Ma è qualcosa alla quale si rinuncia volentieri quando in un vino si cerca principalmente l'emozione dei suoi profumi. E certamente l'avrete capito: io sono fra questi.

Antonello Biancalana






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