Se c'è un vino per il quale si è maggiormente discusso sul tipo di calice da
usare per il suo migliore apprezzamento, questo è certamente lo spumante.
Qualunque spumante, da quelli più semplici e immediati prodotti con il
metodo Charmat, a quelli più complessi e robusti frutto del metodo classico,
rifermentati e affinati in bottiglia per molti anni. La disquisizione sul giusto
calice per l'apprezzamento delle bollicine nasce in seguito al colossale
successo commerciale che nasce dalla Champagne dopo la metà del 1600. I vini con
le bollicine, o vini bruschi - così si chiamavano nei secoli scorsi in
Italia, non proprio spumanti come li consideriamo oggi, ma comunque
effervescenti - erano noti prima del celebre evento avvenuto nell'Abbazia di
Hautvillers e che, leggenda vuole, ebbe nel monaco benedettino Dom Pierre
Pérignon il principale protagonista. Il grande successo commerciale rese le
bollicine immortali e indissolubilmente legate alle grandi e lussuose occasioni
speciali.
Un prodotto di élite come questo, non poteva non prevedere l'uso di
calici anch'essi lussuosi e ricercati, spesso un mera ostentazione di inutile
sfarzo. Calici decorati, spesso ornati con finiture in oro zecchino, steli
d'oro, di peltro, d'argento e platino, cristalli di prim'ordine, sono state
caratteristiche comuni dei calice nei quali si versavano le preziose bollicine.
In effetti, più che a considerazioni strettamente sensoriali e organolettiche,
nei calici riservati alle bollicine si chiedeva unicamente una qualità: quella
di sottolineare il lusso e la ricchezza dell'occasione, soprattutto per
impressionare i propri ospiti. Non abbiamo notizie attendibili in questo senso,
ma è probabile che in quei contesti sociali pochi si interessavano veramente
alle qualità organolettiche dei vini, piuttosto si concentravano sul prestigio
dell'etichetta, il pregio del calice e i significati ad esso legati. Non dico
che in questi contesti fossero apprezzati vini di pessima qualità: la storia ci
insegna che i migliori vini finivano solo ed esclusivamente nelle tavole dei
ricchi.
L'unica qualità sensoriale per la quale si prestava maggiore attenzione nei vini
spumanti - nello specifico, lo Champagne - erano le bollicine. Forse perché sono
tipiche di questa sola categoria di vini, o forse perché, in termini
poetici, sono state sempre definite come perle, altro oggetto
attinente al lusso e alla ricchezza. In altre parole, la metafora delle perle
che divenivano bollicine nel calice avevano il primario scopo di sottolineare lo
stato di vino per l'élite. Il primo calice ad essere associato allo Champagne è
stato certamente la coppa. Questo tipo di calice è sempre stato oggetto di
storie e leggende, non solo sulla sua presunta creazione, ma anche sul suo uso.
La più celebre riguarda la sua creazione. Leggenda vuole che la celebre coppa
sia stata modellata sul seno di almeno tre nobildonne francesi del passato.
Maria Antonietta - celebre arciduchessa d'Austria e poi regina di Francia e
Navarra - Giuseppina di Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte, e,
infine, Jeanne Antoinette Poisson, Marchesa di Pompadour, passata alla storia
come Madame de Pompadour oltre che per essere stata amante del re di Francia
Luigi XV.
Queste tre gentildonne del passato non furono comunque le uniche ad avere
immortalato il loro seno nella forma di una coppa da Champagne: altri nomi,
anche se meno noti, furono oggetto della stessa leggenda. In realtà, nessuna di
queste è stata protagonista delle vicende raccontate da queste storie. È
appurato che lo Champagne fu versato nella celebre coppa poco dopo la metà del
1600 - si dice nel 1663 - quando fu appositamente creata dagli inglesi, da
sempre clienti di primaria importanza per i vini di Francia e per lo Champagne,
basandosi sul modello di coppe già diffuse in Francia e in Europa. In altre
parole, la coppa aveva conosciuto le briose bollicine dello Champagne molto
tempo prima della nascita delle tre celebri dame. Nonostante la coppa sia così
riccamente legata a romantiche leggende e storie, in realtà è il tipo di calice
meno adatto per l'apprezzamento dello Champagne e degli altri spumanti. La coppa
è oggi talvolta usata per certi vini spumanti molto aromatici, come i celebri
Asti e Brachetto d'Acqui.
Il declino della coppa comincia intorno al 1930, quando fa il suo ingresso nella
società dell'élite la cosiddetta fûte, il celebre calice alto e
stretto, concepito con un principale obiettivo, quello di conservare il più a
lungo possibile l'effetto del perlage. Stretta e lunga, offrendo quindi una
superficie ridotta all'ossigeno, la flûte metteva in bella evidenza le
bollicine che dal fondo danzavano gioiosamente verso la superficie. Un calice di
questo tipo limitava comunque l'espressione probabilmente più importante per
l'apprezzamento di ogni vino: i suoi profumi. Sia la coppa sia la flûte erano
concepite per mettere in risalto l'unica qualità che rendeva gli spumanti così
diversi da tutti gli altri: le bollicine, le finissime perle simbolo del lusso e
della ricchezza. A guardare questi calici, sembrerebbe che le altre qualità
organolettiche di questi vini, in particolare i profumi, non fossero così
importanti rispetto all'impatto visivo che questi vini dovevano principalmente
esprimere.
Negli ultimi anni - fortunatamente - si sono creati calici che, finalmente,
mettono in risalto non solo le bollicine, che sono comunque segno di qualità
negli spumanti, ma anche a soprattutto i profumi, aspetto di primaria importanza
per la valutazione sensoriale di qualsiasi vino. Oggi, sia la coppa sia la
flûte, sono state sostituite dal più efficace calice a tulipano, sempre
alto e slanciato e con il fondo a punta - così da consentire l'apprezzamento
delle bollicine - ma più ampio così da esaltarne i profumi, soprattutto quelli
complessi dei metodo classico. C'è infine chi apprezza le bollicine - dallo
Charmat al Metodo Classico maturo - in calici ampi, come quello per vini bianchi
maturi e strutturati, così da favorire il pieno apprezzamento e sviluppo degli
aromi, sacrificando lo spettacolo delle bollicine che si esauriscono in
fretta a causa dell'ampia superficie di contatto con l'ossigeno. Ma è qualcosa
alla quale si rinuncia volentieri quando in un vino si cerca principalmente
l'emozione dei suoi profumi. E certamente l'avrete capito: io sono fra questi.
Antonello Biancalana
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