Durante il periodo estivo, nei mesi di luglio e agosto, approfitto sia per
visitare cantine di vecchi e fidati amici sia per conoscerne di nuove. Non da
meno, anche per concedermi - possibilmente - un po' di sano riposo, ammettendo
comunque di portarmi sempre dietro un po' di lavoro da fare, così da non
restare sommerso di impegni al ritorno. Visitare cantine e, soprattutto,
vigneti, è sempre interessante: non solo per il piacere di scambiare opinioni
con chi produce vino e passa il suo tempo in vigna, ma anche per conoscere
nuove persone e nuovi vini. Incontrare i vecchi amici e i loro nuovi vini è
parimenti interessante e piacevole. Si scambiano opinioni e vedute relative al
vino e al suo mondo, piacevolmente allietati da un calice che si riempie
continuamente dei profumi di vini diversi. Con gli amici e produttori con i
quali si ha maggiore confidenza, si condividono pensieri in modo franco e
schietto, anche quando non ci si trova pienamente d'accordo. In vino
veritas.
Nel questo periodo, frequento i ristoranti dei vari luoghi dove mi trovo
scegliendoli - spesso - per le loro carte dei vini. Il mio intento non è tanto
scegliere le carte con vini di un certo spessore, piuttosto quelle con
bottiglie che non conosco. Preferisco infatti provare vini sconosciuti in un
ambiente neutrale, un contesto che non subisca il coinvolgimento di
vigne, cantine e produttori. Sono assolutamente consapevole che il ristorante
non rappresenta mai la condizione ideale per svolgere una degustazione
attendibile - troppe le distrazioni, troppi i fattori devianti - ma, in ogni
caso, è sempre meglio di niente. A volte mi affido ai suggerimenti degli stessi
ristoratori o addetti al servizio al tavolo, chiedendo espressamente vini che,
secondo loro, meglio rappresentano il loro territorio e le loro uve. Il mio
interesse, in ogni caso, è rivolto a quelle bottiglie che non conosco,
soprattutto per l'eventuale piacere di scoprire cose nuove, magari buone.
Faccio esattamente la stessa cosa nelle enoteche dei vari luoghi che visito.
Parlo con gli enotecari, raccolgo informazioni sui nuovi produttori dei loro
territori e su quei vini che, secondo loro, meritano particolare attenzione,
sia per la qualità sia per la tipicità viticolturale ed enologica. Alcune
volte, lo ammetto, in questo modo raccolgo suggerimenti preziosi, nella
maggioranza dei casi indicazioni piuttosto desolanti e deludenti. Come nel caso
di un enotecaro incontrato recentemente, al quale ho chiesto quali fossero -
secondo lui - i vini più rappresentativi del suo territorio, dichiarando subito
le due cantine che per me sono il riferimento del luogo. L'enotecaro,
convenendo con me che quelle due cantine producono bottiglie di notevole
livello, mi ha confidato - con decisa convinzione - che in realtà altre cantine
li avevano superati in qualità. Una notizia mica da poco: vedere crollare i
propri riferimenti può accadere e la rassicurante idea che c'è addirittura di
meglio rende il trauma più lieve e sopportabile, perfino piacevole.
L'enotecaro aggiunge che, a guidare queste cantine emergenti e strabilianti, ci
sono in due casi ragazzi giovani e appassionati, ammirevoli per avere raccolto
e proseguito la tradizione dei nonni, mentre, nell'altro caso, un noto e
affermato imprenditore del luogo e che da poco ha deciso di dedicarsi anche al
vino. In tutta onestà, mi incuriosiscono più i vini degli zelanti e volenterosi
giovani - comunque meritevoli di ammirazione - un po' meno quelli
dell'imprenditore che, forse, vede nel vino uno dei tanti modi per incrementare
i suoi profitti. Negli ultimi anni mi è infatti capitato di incontrare e
assaggiare vini di certi imprenditori che, nella condizione economica di potere
investire in altri settori, acquistano vigneti e cantine oppure ristoranti.
Come se il denaro fosse sufficiente a garantire la qualità, capace di
comperare competenza e mestiere senza fare fatica ma di certo con tanta
superficialità e incoscienza. L'enotecaro è sicuro di quello che dice e -
sebbene abbia già vissuto tante altre volte esperienze simili, anche con esiti
catastrofici - ascolto il suo suggerimento. Magari questa è la volta buona.
L'idea di versare nel calice qualcosa di migliore dei due produttori di quella
zona che ritengo i più significativi - o comunque di pari livello - mi alletta
alquanto. Prendo quindi le bottiglie prodigiose, pago e ringrazio, con
la mente che vola già impaziente a quei calici promettenti di emozionanti
meraviglie. Sapete com'è finita? Le mie due cantine di riferimento di quel
territorio possono dormire sonni tranquilli. Tranquillissimi. I due vini
prodotti dagli intraprendenti giovani, desiderosi di portare avanti la
tradizione del territorio e delle rispettive famiglie - e li ammiro
sinceramente per questo - erano semplicemente ossidati, stanchi e piatti nella
loro pesante interpretazione. Il vino dell'imprenditore fulminato sulla via di
Bacco, aveva meno difetti ma nulla che facesse veramente gridare al miracolo.
Un vino senza anima, eccessivamente lavorato in cantina, probabilmente frutto
della bacchetta magica dell'enologo. Insomma, non è stata la volta buona e - lo
ammetto - continuo ancora a interrogarmi sul gusto personale di quell'enotecaro
e la visione del suo territorio.
In tutti e tre i vini ho ravvisato quello che, purtroppo, rilevo sempre più
spesso in troppe bottiglie: l'approssimazione e l'arrogante superficialità di
chi crede che fare vino sia cosa semplice e che, in fin dei conti, basti solo
la tradizione e un po' di denaro, quando c'è. Del resto, è sufficiente avere
delle uve, ricavarne mosto, metterlo in cantina, fare qualcosa e aspettare.
La tradizione sarà certamente capace di compiere l'ennesima magia di Bacco e il
vino pronto per essere versato e raccontato come l'unica meraviglia del mondo.
Semplice, no? D'accordo: de gustibus non disputandum est. Lo so. Come so
bene che, per fortuna, il mio gusto personale e la mia visione del vino non
rappresentano un riferimento assoluto. È pur vero che negli ultimi anni -
probabilmente complice anche la moda e il buon momento che sta vivendo il vino
- vedo troppe bottiglie frutto di un'evidente approssimazione e superficialità.
Quel che è peggio, orrendi difetti sostenuti a spada tratta come tipicità e
tradizione di un territorio, offrendo - non da meno - l'immagine di una
squallida qualità attribuita della propria terra. Il vino ha molti volti ed è
uno degli aspetti entusiasmanti della bevanda di Bacco. Tanti territori, tanti
produttori, infinite combinazioni e interpretazioni. Ultimamente anche troppi
difetti, perfino imbarazzanti che - per decenza e onestà - andrebbero, quanto
meno, tenuti nascosti nelle cantine proprio per il bene della propria terra.
Antonello Biancalana
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