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  Editoriale Numero 171, Marzo 2018   
Sull'Inutilità della Degustazione SensorialeSull'Inutilità della Degustazione Sensoriale  Sommario 
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Sull'Inutilità della Degustazione Sensoriale


 State tranquilli. Non sono impazzito, non ho perso il senno e non ho nemmeno cambiato idea o, per meglio dire, cambiato il mio modo di confrontarmi con il vino e come lo considero. La premessa – credo doverosa – ha lo scopo di rassicurare chi, leggendo il titolo qui sopra, possa avere pensato a un mio cambio di direzione o comunque a un cambiamento radicale di questa pubblicazione e che ho fondato sedici anni fa. Si tratta, evidentemente, di una provocazione poiché – per quello che mi riguarda – l'analisi sensoriale e la degustazione organolettica del vino è essenziale per la sua comprensione. Non solo da un punto di vista organolettico, ma anche da quello enologico, viticolturale e territoriale. Lo stesso, non da meno, lo sostengo con pari convinzione e certezza per qualunque cibo o bevanda: birra, tè, caffè, olio, distillati, cioccolato, formaggi, miele, cucina, cibo, acqua e ogni cosa che produca uno stimolo sensoriale.


 

 La provocazione, o se preferite, la riflessione, nasce sia dalle domande che ricevo da parte di appassionati su questo tema, sia da quello che leggo in articoli e commenti pubblicati in internet o nelle pubblicazioni di settore. La cosa che mi sorprende – e che comunque mi sorprende sempre meno – è l'atteggiamento critico mostrato da alcuni, che si ritengono, nemmeno a dirlo, “esperti”, e giudicano la degustazione sensoriale come un inutile esercizio riservato ai principianti che di vino, evidentemente, capiscono poco o nulla. Per contro, trovano molto competente ed esperto, raccontare un vino alla stregua di un viaggio bucolico e agreste, perfino onirico, che – a mio parere – racconta qualunque cosa tranne il vino. Al limite descrivono le sensazioni e le emozioni soggettive e personalissime che un vino può suscitare in seguito all'assaggio e che, com'è ben noto, sono fortemente influenzate dallo stato d'animo e da altri coinvolgimenti psicologici. Questo, a quanto pare, lo sanno tutti, tranne certi “esperti”.

 A volte il racconto del vino di questi “altezzosi esperti”, suscitano in me sincera ilarità, in particolare per il contorto esercizio di discutibile e buffo lessico aulico. In fin dei conti, cos'è un vero esperto di vino se non qualcuno capace di costruire una favoletta riccamente infarcita di paesaggi bucolici e fiabeschi, dove ogni cielo è azzurro, sconfinato e terso, le farfalle e le api volano felici di fiore in fiore, ogni principessa corona il proprio sogno d'amore e va in sposa al tanto anelato principe azzurro? Parlare di quanto un vino stimoli la percezione tattile dell'astringenza e come questa si associ al resto, oppure le sensazioni analitiche che si percepiscono dal calice – non scherziamo – è roba da principianti che nulla sanno di vino. Questi si devono, al limite, considerare con la pietà che si dimostra a chi non sa e – misero lui – non ha ancora ricevuto l'illuminazione della verità rivelata, la benedizione divina che svela a questi eletti la Via, la saggezza e la conoscenza assoluta dei segreti di Bacco. Passati, presenti e futuri, ovviamente.

 Per questi apostoli di Bacco dal lessico disinvolto, leggere che nei vini si possono riconoscere banana, ciliegia, mandorla, violetta o chiodo di garofano, è un sacrilegio di noia infinita oltre che segno inequivocabile dell'incompetenza che è propria del principiante, impudente per avere osato tanto. Chissà cosa direbbero, invece, qualora i profumi di un vino fossero descritti come acetato di isoamile, cinnamato di etile, benzaldeide, alfa-ionone o eugenolo. Vale a dire elencando le sostanze chimiche che determinano, in tutto o in parte, i profumi dei frutti, fiori e spezie indicati sopra. Chiunque può raccontare una favola partendo da qualunque cosa – vino compreso – elaborando e sviluppando ogni singolo elemento, anche per mezzo di metafore, costrutti evocativi e figure retoriche, fino a raggiungere il lieto fine. Con il risultato, almeno per me, di avere parlato di tutto tranne che di vino: è semplicemente il racconto dell'emozione e dell'umore di chi lo ha assaggiato e da questo ricava, per associazione, un'immagine o una condizione suggestiva. In altre parole, si crea un racconto con il pretesto di parlare di vino senza descriverlo affatto.

 Si tratta, evidentemente, di modi diversi di descrivere un vino poi – come sempre – ognuno segue ciò che sente più vicino o affine alla propria cultura, interesse, obiettivi, competenza e conoscenza. La degustazione sensoriale – e non solo del vino – è un esercizio che richiede concentrazione, dedizione, studio, pratica, memoria, esperienza, metodo e tecnica, tanto per citare alcuni dei principali elementi. Soprattutto, è una disciplina nella quale non si finisce mai di imparare: ogni nuovo vino rappresenta – di fatto – un mondo a sé che va analizzato e compreso. Nemmeno a dirlo, non ci sono mai vini uguali e ognuno è diverso – spesso diversissimo – da qualunque altro. A volte, anche due bottiglie del medesimo vino mostrano sfumature sensoriali o differenze sostanziali. Non si tratta, ovviamente, di ricominciare da capo ogni volta che si degusta un vino: l'esperienza, la memoria e la tecnica sono sempre di fondamentale aiuto, tuttavia mai abbastanza.

 La cosa sorprendente è che coloro i quali producono vino – gli enologi – sono soliti valutare il risultato del loro lavoro attraverso l'analisi sensoriale e chimica. Sì, esatto, anche con l'analisi chimica, cioè quella cosa orrenda – così lontana dal fiabesco mondo degli unicorni e degli elfi – che si fa in un laboratorio pieno di provette e sostanze chimiche. Ho il privilegio e il piacere di conoscere molti enologi e mai ho sentito uno di loro definire un vino con intricati racconti inverosimili, usare figure retoriche o un linguaggio evocativo. Piuttosto, quando li ascolto mentre descrivono i loro vini, li sento parlare di metossipirazine, aldeidi, acidità fissa, anidride solforosa libera e antocianine. Visto che descrivono il vino in questo modo, non è che gli enologi sono solamente dei principianti che nulla sanno di vino? Il dubbio credo sia quanto meno legittimo. Devono essere certamente soggetti che, non potendo fare diversamente per palese incompetenza, a volte fanno incautamente riferimento a riconoscimenti olfattivi – riferendosi a fiori e frutti – esattamente come un qualunque inesperto o ignaro principiante. Deve essere senz'altro così. Dopotutto la degustazione e valutazione sensoriale di un vino – così dicono i veri esperti – è noiosa e inutile. Qualcosa che si deve considerare, e con penosa compassione, ad appannaggio di poveri principianti che ancora non hanno capito nulla di voli di farfalle innamorate e cime tempestose. Deve essere per forza così.

Antonello Biancalana



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