State tranquilli. Non sono impazzito, non ho perso il senno e non ho nemmeno
cambiato idea o, per meglio dire, cambiato il mio modo di confrontarmi con il
vino e come lo considero. La premessa – credo doverosa – ha lo scopo di
rassicurare chi, leggendo il titolo qui sopra, possa avere pensato a un mio
cambio di direzione o comunque a un cambiamento radicale di questa
pubblicazione e che ho fondato sedici anni fa. Si tratta, evidentemente, di una
provocazione poiché – per quello che mi riguarda – l'analisi sensoriale e la
degustazione organolettica del vino è essenziale per la sua comprensione. Non
solo da un punto di vista organolettico, ma anche da quello enologico,
viticolturale e territoriale. Lo stesso, non da meno, lo sostengo con pari
convinzione e certezza per qualunque cibo o bevanda: birra, tè, caffè, olio,
distillati, cioccolato, formaggi, miele, cucina, cibo, acqua e ogni cosa che
produca uno stimolo sensoriale.
La provocazione, o se preferite, la riflessione, nasce sia dalle domande che
ricevo da parte di appassionati su questo tema, sia da quello che leggo in
articoli e commenti pubblicati in internet o nelle pubblicazioni di settore. La
cosa che mi sorprende – e che comunque mi sorprende sempre meno – è
l'atteggiamento critico mostrato da alcuni, che si ritengono, nemmeno a dirlo,
esperti, e giudicano la degustazione sensoriale come un inutile esercizio
riservato ai principianti che di vino, evidentemente, capiscono poco o nulla.
Per contro, trovano molto competente ed esperto, raccontare un
vino alla stregua di un viaggio bucolico e agreste, perfino onirico, che – a
mio parere – racconta qualunque cosa tranne il vino. Al limite descrivono le
sensazioni e le emozioni soggettive e personalissime che un vino può suscitare
in seguito all'assaggio e che, com'è ben noto, sono fortemente influenzate
dallo stato d'animo e da altri coinvolgimenti psicologici. Questo, a quanto
pare, lo sanno tutti, tranne certi esperti.
A volte il racconto del vino di questi altezzosi esperti, suscitano in me
sincera ilarità, in particolare per il contorto esercizio di discutibile e buffo
lessico aulico. In fin dei conti, cos'è un vero esperto di vino se non
qualcuno capace di costruire una favoletta riccamente infarcita di paesaggi
bucolici e fiabeschi, dove ogni cielo è azzurro, sconfinato e terso, le
farfalle e le api volano felici di fiore in fiore, ogni principessa corona il
proprio sogno d'amore e va in sposa al tanto anelato principe azzurro? Parlare
di quanto un vino stimoli la percezione tattile dell'astringenza e come questa
si associ al resto, oppure le sensazioni analitiche che si percepiscono dal
calice – non scherziamo – è roba da principianti che nulla sanno di vino.
Questi si devono, al limite, considerare con la pietà che si dimostra a chi non
sa e – misero lui – non ha ancora ricevuto l'illuminazione della verità
rivelata, la benedizione divina che svela a questi eletti la Via, la saggezza e
la conoscenza assoluta dei segreti di Bacco. Passati, presenti e futuri,
ovviamente.
Per questi apostoli di Bacco dal lessico disinvolto, leggere che nei
vini si possono riconoscere banana, ciliegia, mandorla, violetta o chiodo di
garofano, è un sacrilegio di noia infinita oltre che segno inequivocabile
dell'incompetenza che è propria del principiante, impudente per avere osato
tanto. Chissà cosa direbbero, invece, qualora i profumi di un vino fossero
descritti come acetato di isoamile, cinnamato di etile,
benzaldeide, alfa-ionone o eugenolo. Vale a dire elencando
le sostanze chimiche che determinano, in tutto o in parte, i profumi dei
frutti, fiori e spezie indicati sopra. Chiunque può raccontare una favola
partendo da qualunque cosa – vino compreso – elaborando e sviluppando ogni
singolo elemento, anche per mezzo di metafore, costrutti evocativi e figure
retoriche, fino a raggiungere il lieto fine. Con il risultato, almeno
per me, di avere parlato di tutto tranne che di vino: è semplicemente il
racconto dell'emozione e dell'umore di chi lo ha assaggiato e da questo ricava,
per associazione, un'immagine o una condizione suggestiva. In altre parole, si
crea un racconto con il pretesto di parlare di vino senza descriverlo affatto.
Si tratta, evidentemente, di modi diversi di descrivere un vino poi – come
sempre – ognuno segue ciò che sente più vicino o affine alla propria cultura,
interesse, obiettivi, competenza e conoscenza. La degustazione sensoriale – e
non solo del vino – è un esercizio che richiede concentrazione, dedizione,
studio, pratica, memoria, esperienza, metodo e tecnica, tanto per citare alcuni
dei principali elementi. Soprattutto, è una disciplina nella quale non si
finisce mai di imparare: ogni nuovo vino rappresenta – di fatto – un mondo a
sé che va analizzato e compreso. Nemmeno a dirlo, non ci sono mai vini uguali e
ognuno è diverso – spesso diversissimo – da qualunque altro. A volte, anche
due bottiglie del medesimo vino mostrano sfumature sensoriali o differenze
sostanziali. Non si tratta, ovviamente, di ricominciare da capo ogni volta che
si degusta un vino: l'esperienza, la memoria e la tecnica sono sempre di
fondamentale aiuto, tuttavia mai abbastanza.
La cosa sorprendente è che coloro i quali producono vino – gli enologi –
sono soliti valutare il risultato del loro lavoro attraverso l'analisi
sensoriale e chimica. Sì, esatto, anche con l'analisi chimica, cioè quella cosa
orrenda – così lontana dal fiabesco mondo degli unicorni e degli elfi – che
si fa in un laboratorio pieno di provette e sostanze chimiche. Ho il privilegio
e il piacere di conoscere molti enologi e mai ho sentito uno di loro definire
un vino con intricati racconti inverosimili, usare figure retoriche o un
linguaggio evocativo. Piuttosto, quando li ascolto mentre descrivono i loro
vini, li sento parlare di metossipirazine, aldeidi, acidità
fissa, anidride solforosa libera e antocianine. Visto che
descrivono il vino in questo modo, non è che gli enologi sono solamente dei
principianti che nulla sanno di vino? Il dubbio credo sia quanto meno
legittimo. Devono essere certamente soggetti che, non potendo fare diversamente
per palese incompetenza, a volte fanno incautamente riferimento a
riconoscimenti olfattivi – riferendosi a fiori e frutti – esattamente come un
qualunque inesperto o ignaro principiante. Deve essere senz'altro così.
Dopotutto la degustazione e valutazione sensoriale di un vino – così dicono i
veri esperti – è noiosa e inutile. Qualcosa che si deve considerare, e con
penosa compassione, ad appannaggio di poveri principianti che ancora non hanno
capito nulla di voli di farfalle innamorate e cime tempestose. Deve essere per
forza così.
Antonello Biancalana
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