Una storia vecchia quanto quella del vino, probabilmente nata il giorno che la
bevanda di Bacco ha fatto il suo ingresso nella cultura e nell'evoluzione
dell'uomo. Più volte ho parlato di questo aspetto - che probabilmente non fa
proprio bene al vino in generale - ma, a quanto pare, non riesce a trovare una
pacifica soluzione. Dispute, diatribe, discussioni - spesso a sproposito e senza
nessuna competenza o conoscenza in materia - accendono gli animi fra gli
appassionati di vino, spesso innescate dagli stessi produttori. Le discussioni
sul vino seguono il destino delle mode che, periodicamente, si affacciano nei
calici degli appassionati e ne alimentano accese battaglie. Strenui sostenitori
si schierano dall'una o dall'altra parte, spesso la scelta delle parti va ben
oltre le semplici due alternative, facendo nascere scontri - spesso puramente
ideologici, quasi religiosi - che sembrano non finire mai. E se finiscono, è
spesso perché se ne sono aggiunti altri, sostituendo mode e orgogli, ma con il
risultato di mantenere vive le urla dei tanti, indaffarati a fare prevalere le
proprie ragioni su quelle degli altri.
Si muovono accuse, si lanciano invettive, tutte con il solo e palese obiettivo:
dimostrare, spesso in modo cieco e ipocrita, di avere ragione e chi non la pensa
allo stesso modo è persona brutta, cattiva e disonesta. Cominciamo dai
produttori, premettendo - in modo chiaro - che, in ogni caso, anche quando non
mi trovo d'accordo con le loro posizioni, rispetto sempre, comunque e in ogni
caso, il loro lavoro e i vini che producono, anche quando, a titolo
esclusivamente personale, non mi piacciono. Il rispetto, prima di tutto e sopra
tutto, l'arroganza, invece, mai giustificata. Mai giustificata nemmeno la
speculazione, né ideologica, né economica. Sia chiaro, ancora una volta, che
produrre vino, vino di qualità, è oneroso in termini economici e di risorse,
pertanto è più che legittimo, anche auspicabile, che si pensi al proprio
profitto. Una cantina, in fin dei conti, non è una società di volontariato con
sinceri e nobili fini umanistici e sociali: è un'impresa. Questo è qualcosa che
dovrebbero capire anche in consumatori, soprattutto quelli che riservano al vino
solo sentimenti naturali, aulici e romantici.
I produttori, per così dire, sono in un certo senso costretti a sostenere il
proprio lavoro e i loro vini. Una scelta inevitabile e comprensibile, almeno
quando è sostenuta in modo sincero e onesto: se non sono loro i primi a credere
nel loro lavoro, non potranno di certo essere i loro consumatori. Inoltre,
quando queste scelte sono sostenute con sincerità e onestà, i produttori tendono
ad essere molto polemici e feroci contro i produttori che non condividono le
stesse scelte, lo stesso modo di fare e vedere il vino. Si arriva a veri e
propri scontri ideologici, accusandosi a vicenda sulla rispettiva
disonestà, erigendosi a baluardi, come unici difensori del vero vino e
del vero modo di fare vino. Ognuno di questi, si pone come autentico
depositario di un'arte - che si realizza anche attraverso la scienza e la
conoscenza, entrambe mai abbastanza, mai esatte - strenuo difensore della
natura e di una presunta integrità morale, culturale e intellettuale. Fa
sorridere, certo, soprattutto se si pensa che il vino non esiste in natura, non
è un'invenzione di Madre Natura, ma semplicemente una bevanda creata dall'uomo
interagendo con i processi che da sempre la Natura mette in atto a proprio
vantaggio.
Alla Natura non interessa affatto il vino, nemmeno all'umile vite, che abbiamo
costretto a vivere in un modo, in un ambiente e per una finalità che di certo
non le appartengono e che la Natura non le ha dato. Certo, siamo tutti ben
felici di sapere che dai dorati e purpurei grappoli dell'uva si possa ottenere
una bevanda nobile e inebriante come il vino. Oppure un condimento forte e
vigoroso come l'aceto. Ma anche un succo dolce e piacevole, da bere così come
sgorga dagli acini appena spremuti. Intorno a quello che l'uomo riesce a
ottenere dalla vite si scatenano guerre feroci, tutte tese all'affermazione
della stessa cosa, seppure espressa in forme diverse: dimostrare di essere il
migliore. Molto spesso, non si riesce a comprendere, nemmeno ad avere il
sospetto, che se proprio esiste il migliore, di certo non esiste un solo e
assoluto modo di esserlo. C'è chi sostiene che il vino deve essere lontano dalla
chimica, dimenticando che il vino è anche l'inevitabile risultato di processi
chimici. C'è chi sostiene che la tecnologia moderna è il male assoluto del vino
e si dovrebbero mantenere le tradizioni di un tempo che fu, dimenticando
che i tempi passati restano tali e, qualora fosse possibile, probabilmente
nessuno sarebbe disposto a viverli nuovamente al prezzo della rinuncia di quello
che il progresso e tempo hanno portato. Compreso quello che ha portato al vino,
alla viticoltura e all'enologia.
Oltre che acceso e feroce, il dibattito degenera velocemente poiché tante,
decisamente troppe, sono le correnti di pensiero, filosofie, sette enologiche
illuminate, ognuna - nella sua logica - esatta e indiscutibile. Come le
religioni, in fin dei conti. Le diatribe trovano un naturale megafono
attraverso i canali di comunicazione più diversi, a partire dalle reti sociali -
i cosiddetti social network - dove tanti, forse troppi, e, non da ultimo,
senza alcuna competenza o conoscenza in materia, da fiato alla propria
tromba, correndo in aiuto e perorando quella causa che diviene intimamente
propria. La differenza e la diversità sono patrimoni inestimabili, un'infinita
ricchezza a beneficio di tutti, una risorsa straordinaria per il confronto, per
la crescita e per il miglioramento. Le parole dette solo perché si devono
dire, senza nemmeno essere nella condizione di supportarle o di argomentarle in
modo concreto, non servono a niente. Dimostrano unicamente la sudditanza da
servitore sciocco al servizio di altri, con l'illusione, grama e vuota, di
sentirsi importanti, parte di un gruppo di eletti che in quel momento si
crede essere più comoda e conveniente.
Questi soggetti, spesso assumono atteggiamenti presuntuosi e di
disgustosa arroganza, convinti che quello dicono sia la verità
incontrovertibile, assoluta e rivelata. Il conflitto assume la forma del
personalissimo orgoglio, con l'unico obiettivo di tutelare la propria posizione
e uscire vincitori dallo scontro. A nulla serve esprimere il proprio parere: se
è contrario a quello di qualcun altro, l'invettiva entra in scena a difendere la
lesa maestà. In tutto questo, cosa c'entra il vino? Niente. Proprio
niente. Alla fine ognuno resta fermo nella propria posizione, ognuno continua a
preferire l'uno o l'altro vino, l'una o l'altra religione enologica, anche per
continuare a sostenere il proprio orgoglio e continuare a dimostrare di essere
dalla parte del giusto. Quello che resta è un'infinita discussione che lascia
infinite macerie, macerie del nulla. A leggere certe lotte viene da pensare:
ma siamo proprio sicuri di avere compreso cosa sia il vino? Siamo proprio sicuri
che questi scontri infiniti dove ognuno resta comunque irremovibile nella
propria posizione, faccia veramente bene al vino? Io sono convinto di no.
Servono punti di incontro e unione di intenti, perché se il vino e i loro
territori hanno fallito in qualche modo, è soprattutto a causa delle eterne
divisioni - di produttori, consumatori e scrittori - nel sostenere, stupidamente
e ciecamente, che l'erba del vicino è certamente meno verde della propria.
Antonello Biancalana
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