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  Editoriale Numero 139, Aprile 2015   
Il Vino fra Etica, Ambiente e TradizioneIl Vino fra Etica, Ambiente e Tradizione  Sommario 
Numero 138, Marzo 2015 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 140, Maggio 2015

Il Vino fra Etica, Ambiente e Tradizione


 In tutti questi anni trascorsi nel mondo del vino, ho avuto straordinarie opportunità, ho assaggiato migliaia di vini diversi, sia di magnifico valore enologico, sia di valore decisamente più modesto, in ogni caso utili per comprendere meglio la bevanda di Bacco. Ho conosciuto tanta gente che opera nel mondo del vino così come genuini appassionati, inoltre persone di indiscussa competenza tecnica enologica e viticolturale: tutti mi hanno insegnato qualcosa, a tutti parimenti va il mio ringraziamento. Con molti è nato un sincero sentimento di reciproca stima e amicizia, qualcosa che arricchisce e rende ancor più prezioso il semplice rapporto fra professionisti che guardano al vino, seppure con finalità diverse. Capita sovente, infatti, che approfitti della loro pazienza, ponendo loro domande con lo scopo di comprendere il loro punto di vista sull'argomento vino e viticoltura, ovviamente, anche per mio personale beneficio.


 

 Mi piace, infatti, ogni volta che è possibile, ascoltare le persone che lavorano nel mondo del vino, quelli che il vino lo fanno per davvero e lo apprezzano sinceramente, non solo per il fatto che è parte del loro lavoro. Ad ascoltare gli appassionati racconti di vignaioli ed enologi, emerge sempre un fattore comune in tutti i casi: la passione per il proprio lavoro e per il vino, la volontà di offrire un prodotto di qualità e sano, il rispetto per il territorio e l'ambiente. Sono consapevole che alcuni, leggendo queste parole, potrebbero non trovarsi d'accordo, soprattutto se valutate secondo i criteri di certe “visioni enologiche”. Mi riferisco, in modo particolare, alla visione “assoluta” che spesso si manifesta in produttori e appassionati, così forti e indiscutibili, tali da opporre un netto rifiuto a qualunque altro modo di interpretare il vino.

 Non mi riferisco a nessuna visione “enologica” in particolare, consapevole che ognuna di queste, valutate nei loro principi, sono tutte “esatte”, capaci di proporre un metodo e una filosofia viticolturale ineccepibile. Non voglio entrare nel merito di nessuna, pur rilevando atteggiamenti e posizioni non proprio dissimili dalle religioni o dalle dottrine ideologiche e politiche: continuo a credere il vino sia molto superiore a questioni così povere e frivole. Ho sempre considerato il vino come l'espressione delle persone che lo producono e, di conseguenza, della loro visione del territorio e delle uve: semplicemente, il vino, senza l'intervento dell'uomo, non esisterebbe. Si tratta, indiscutibilmente, di bevanda creata per il nostro piacere e non avrebbe altrimenti ragione di esistere, visto che non ricopre nessuna utilità biologica ed evolutiva né per la vite né per la terra.

 Rilevo spesso che per il vino, molto più che per altre produzioni attinenti all'agricoltura, si tende ad essere più rigorosi ed esigenti, perfino più intransigenti e integralisti. Si esprimono considerazioni piuttosto rigide e si pretendono “condotte morali” ineccepibili, sia dal punto di vista ambientale, sia da quello tecnico, qualcosa che difficilmente si verifica in altri ambiti. Si pretende che il vino sia rispettoso per la salute e l'ambiente, che segua delle pratiche viticolturali ed enologiche rigorose, si creano vere e proprie fazioni che ripudiano tutto il resto, spesso considerato poco salutare e perfino dannoso. Al vino si chiede, praticamente senza eccezione, di rappresentare la tradizione di una cultura e di un territorio: l'innovazione è spesso vista come una sofisticazione lesiva per la tradizione di altri tempi, piuttosto che elemento migliorativo.

 Il vino subisce spesso il peso della tradizione, una zavorra che lo mantiene fermo a un tempo che non esiste più ma che, per semplici motivi nostalgici, ci fa piacere rievocare. Dovremmo ricordare che una tradizione è semplicemente un'innovazione che ha avuto successo e che, a suo tempo, è riuscita a modificare un'altra tradizione. Si chiama progresso ed è quello che ci ha permesso di arrivare fino a qui ed è la ragione per la quale il vino di oggi non è come quello che producevano gli antichi romani. Anche sui trattamenti fitosanitari in vigna vige, più o meno, lo stesso atteggiamento. Secondo la tradizione, il trattamento operato con zolfo e solfato di rame costituisce il fondamento per la viticoltura sana e rispettosa per la salute e l'ambiente. Eppure, il rame è un metallo pesante e non è esattamente così semplice da smaltire una volta assorbito dal suolo. Più di una volta mi è stato offerto questo spunto di riflessione: chi inquina più, quello che fa dieci trattamenti di zolfo e solfato di rame, oppure quello che ne fa uno solo ma usando altri prodotti fitosanitari?

 Già sento molti replicare sul fatto che i prodotti fitosanitari moderni sono espressione della chimica e certamente nocivi per la nostra salute. Può anche essere - del resto, io non ho competenza per affermare il contrario - tuttavia, non mi risulta che lo zolfo e il rame siano salutari per l'organismo. C'è una cosa che, in ogni caso, ho potuto percepire dalle parole dei produttori e dei tecnici con i quali ho il piacere di scambiare opinioni sul vino: tutti hanno il rispetto del proprio territorio, della vite e dell'ambiente. Sono tutti consapevoli della responsabilità di offrire ai propri clienti un prodotto sano e di qualità, rispettando, prima di tutto, il proprio vigneto, visto che è da li che si genera il loro lavoro. Poi, ognuno ha le proprie visioni su come raggiungere questo obiettivo, sia di ordine etico sia tecnico, ma tutti riconoscono priorità assoluta e indiscussa alla vigna e al territorio, come conservarlo e rispettarlo nel migliore dei modi. E di tutte le cose frivole che vedo intorno al mondo del vino, questa, probabilmente, mi pare quella più concreta e sostenibile.

Antonello Biancalana






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