Da settimane non si parla d'altro e l'argomento coronavirus ha
praticamente colonizzato la totalità del mondo dell'informazione, oltre la vita
delle persone in modi ed esiti diversi. L'enorme diffusione di questo virus ha
inoltre determinato la dichiarazione di stato di pandemia da parte
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Le conseguenze derivate dalla
diffusione di questo virus hanno imposto cambiamenti radicali nei comportamenti
delle persone con un notevole impatto nell'economia di tutti i paesi. Si tratta
di misure preventive – pertanto auspicabili e comprensibili nell'interesse di
tutti, nessuno escluso – con lo scopo di limitare la diffusione di questo
virus, confidando possa essere sconfitto presto. Le misure di
contenimento non sono state semplici – come del resto, non è semplice la
situazione attuale – chiedendo a tutti, per così dire, sacrifici che
hanno cambiato totalmente i nostri stili di vita, sebbene in modo temporaneo.
A sostenere l'immane peso di questa condizione, innegabilmente, è il sistema
sanitario di tutti i paesi e che costringe il personale coinvolto – medici,
infermieri e figure di supporto ospedaliero – a turni estenuanti e
orrendamente faticosi, in una terrificante sfida con lo scopo di
salvare vite umane. In Italia – sebbene la misura sia stata inizialmente
irrisa da altri paesi – si è addirittura giunti alla decisione di bloccare
l'intero Paese, imponendo alla popolazione misure preventive ingenti,
tuttavia semplici, come quello di restare a casa con lo scopo limitare il
contagio. Questa misura, certamente drastica, unitamente a provvedimenti
sanitari e preventivi adottati in Italia, sono adesso seguiti anche da altri
paesi e riferiti come modello italiano. La decisione di imporre alle
persone di restare a casa e di non uscire, se non per provate necessità,
comporta inevitabilmente uno stravolgimento sociale ed economico. Insomma, un
pesantissimo danno per l'intero Paese in ogni ambito della vita sociale,
produttiva ed economica.
Il divieto di uscire di casa e, non da meno, evitare assembramenti e riunioni
di persone, porta inevitabilmente alla chiusura di quelle attività commerciali
e produttive che si basano, appunto, sui comportamenti sociali e ricreativi
delle persone. Questi provvedimenti hanno infatti imposto la chiusura di
cinema, teatri, ristoranti, enoteche, bar e gran parte delle attività
commerciali ritenute non essenziali. Le conseguenze economiche sono
spaventosamente ingenti e, certamente, gli effetti provocati da questi
provvedimenti continueranno anche quando questa emergenza sarà finita. La
chiusura di una determinata attività commerciale o produttiva, si riflette,
infatti, direttamente su tutte le altre che da questa dipendono: una catena
praticamente infinita che coinvolge tutti. Le conseguenze in ambito economico
sono – e saranno – enormi, qualcosa che riguarda tutti, nessuno escluso,
compresi quelli (e forse, soprattutto) che considerano l'economia come un
l'espressione negativa, ancor peggio, deleteria, della società.
La salute delle persone viene innegabilmente prima di tutto ed è un bene
collettivo a vantaggio di tutti. La mancanza del buono stato di salute di una
società, non consente evidentemente né lo sviluppo né il benessere, di ogni
tipo, economico compreso, dell'intero Paese. A questo proposito, da italiano,
sono certamente orgoglioso del sistema sanitario del nostro Paese, capace di
assicurare e garantire a chiunque la possibilità di essere curato e assistito,
indipendentemente dalla sua condizione sociale o economica. È, senza ombra di
dubbio, un magnifico, grandioso e innegabile segno di civiltà. Tutto questo,
ovviamente, ha un costo e la sua sostenibilità dipende anche dalla salute
economica del Paese. Imporre alla popolazione di restare a casa, significa
limitare sia la produttività sia i consumi, conseguenze che influiscono su
tutti i comparti produttivi ed economici del Paese, vino compreso. Un
ristorante chiuso, per esempio, non vende vino e pertanto non lo vende nemmeno
chi lo produce, cioè le cantine.
Il mondo del vino, comunque, non è solamente quello della vendita, sebbene sia
– evidentemente – il fine di ogni produttore. Ci sono infatti anche le
manifestazioni, le fiere, il turismo e, certo, i clienti che acquistano il
vino, come ristoranti ed enoteche. La condizione attuale ha già imposto agli
organizzatori di eventi e fiere dedicate al vino di annullare o posticipare la
manifestazione. Il turismo, non solo quello enogastronimico, è, in questo
periodo, praticamente inesistente, le cantine hanno visto diminuire
drasticamente gli ordini, le vendite sono crollate. Tutto questo introduce
delle criticità economiche rilevanti e ingenti, certamente non banali, i cui
esiti, probabilmente, si protrarranno anche dopo il 2020. Tutte le attività
produttive, comprensibilmente, stanno cercando di adottare misure tali da
limitare – per quanto possibile – i danni provocati dalla perdita economica,
quindi dal minore profitto e dall'inevitabile mantenimento dei costi.
Molte cantine, a quanto pare, stanno cercando di limitare gli effetti del calo
delle vendite di questo periodo proponendosi direttamente ai clienti privati,
soprattutto mediante il commercio elettronico. In termini quantitativi e di
volume, non è certamente come vendere a ristoranti ed enoteche, tuttavia – per
così dire – è sempre meglio di niente. Come se non bastasse, le cantine devono
inoltre affrontare un deciso e netto calo delle vendite nelle esportazioni, una
quota spesso fondamentale nel bilancio di molti produttori italiani. Tempi
decisamente difficili le quali conseguenze, fin troppo facile da prevedere,
avranno un effetto sostanziale per un lungo periodo. Difficile, infatti,
prevedere adesso la portata reale sia delle perdite sia della possibilità di
recupero, considerando inoltre che la produzione e il commercio del vino
rappresentano una quota importante dell'economia italiana.
Perché se è vero che gli effetti di questa pandemia sono già tangibili e
devastanti in questo momento, le conseguenze a livello sociale ed economico
saranno determinabili solamente in un futuro ancora incerto, non solo per il
mondo del vino. Qui in Italia continuiamo a ripeterci che andrà tutto bene.
Anch'io credo andrà tutto bene, soprattutto per il fatto che deve e dovrà
andare bene, nonostante sia anche convinto il prezzo da pagare – in termini
umani, sanitari, sociali, economici e produttivi – sarà enorme. Alla fine,
quando tutto sarà solamente un brutto ricordo – che non dobbiamo comunque
dimenticare – ci rialzeremo in piedi e riprenderemo il nostro cammino
guardando avanti. Lo dobbiamo a noi stessi e a chi si sta impegnando in prima
persona facendo di tutto per superare questo periodo difficile – soprattutto
negli ospedali – per il bene, la salute e l'interesse di tutti noi, nessuno
escluso. Lo dobbiamo, in particolare, al nostro Paese, a tutti quelli che non
saranno più con noi e che abbiamo perso a causa di questa pandemia. Quel
giorno, il nostro brindisi, con il nostro vino e il calice in alto, sarà anche
e soprattutto per loro.
Antonello Biancalana
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