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  Editoriale Numero 99, Settembre 2011   
Prosecco: Il Prezzo del SuccessoProsecco: Il Prezzo del Successo  Sommario 
Numero 98, Estate 2011 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 100, Ottobre 2011

Prosecco: Il Prezzo del Successo


 All'inizio fu un vino prodotto nelle campagne del trevigiano, umile e semplice agli occhi di molti, fatto rifermentare nella bottiglia - operazione che produceva un copioso sedimento di “fecce” - tanto da dovere essere caraffato prima di essere servito. Poi arrivò la rifermentazione in autoclave - metodo noto come Charmat, ideato dall'Italiano Federico Martinotti e successivamente ripreso e brevettato dal francese Eugène Charmat - cambiando il destino del celebre vino di Conegliano-Valdobbiadene. Il nuovo metodo consentiva di produrre un vino con le bollicine in tempi decisamente più brevi e senza sedimento, a costi minori, assicurando quindi il successo commerciale del Prosecco e di tanti altri vini prodotti con lo stesso metodo. Molti dei produttori di Prosecco si convertirono al nuovo metodo, mentre altri rimasero fedeli alla tradizione e cominciarono a diffondersi due prodotti che si differenziavano dal tipo di tappo usato per chiudere la bottiglia.


 

 I vini prodotti con il metodo Charmat erano riconoscibili dal tappo a “fungo”, quello tipico degli spumanti, mentre il tradizionale Prosecco rifermentato in bottiglia era riconoscibile per il cosiddetto tappo raso, cioè interamente inserito nel collo della bottiglia, trattenuto da uno spago così da evitare l'espulsione a causa della pressione interna. Poi, anche il Prosecco tappo raso perse questa sua caratteristica e diventò all'improvviso limpido e senza sedimento, lasciando completamente la scena all'unico stile di Prosecco conosciuto in tutto il mondo, quello prodotto con il metodo Charmat e con il tappo a fungo. Un successo planetario, un marchio che identifica non solo Conegliano e Valdobbiadene, ma tutta l'enologia italiana. Il Prosecco è quindi diventato un marchio identificativo di uno stile di vino - ancora oggi sono in molti a chiamare “Prosecco” o, peggio, Prosecchino, qualunque vino con le bollicine - tanto da portare a un incremento esponenziale della produzione, tanta era la sete nel mondo delle bollicine di Valdobbiadene.

 Doverosa, a questo punto, una precisazione fondamentale. Il nome potrebbe causare in effetti una certa confusione, fare pensare a un vino tendenzialmente secco, senza poi esserlo effettivamente, confusione generata dal nome della principale uva con il quale si produce questo vino. Prosecco è il nome dell'uva, nome che ne ha determinato il grande successo - forse anche merito della confusione che ha causato - tanto che oggi i produttori, per legge, chiamano quest'uva con il suo “antico” nome, cioè Glera. Le conseguenze di questo cambiamento, in verità, possono fare sorridere. I produttori che per decenni hanno chiamato quest'uva Prosecco - e con questo nome hanno ottenuto un successo planetario - sono pronti a correggere l'interlocutore se erroneamente la chiama con il suo nome più conosciuto: con atteggiamento serio e solenne fanno notare che il nome è Glera, come se l'uva Prosecco con fosse mai esistita. Prosecco, nome che probabilmente trae la sua origine dall'omonima cittadina in provincia di Trieste, località dalla quale si presume l'uva sia originaria, oggi è diventato all'improvviso ingombrante. Il Prosecco non c'è più, benvenuto Glera, rigorosamente declinato al maschile.

 La necessità di cambiare l'immagine del Prosecco è evidente. Tale è stata - e continua ad essere - la notorietà di questo vino nel mondo che ha portato a innumerevoli esempi di speculazione e di tentativi di copia. Conseguenza quasi inevitabile: è molto più facile sfruttare il successo altrui piuttosto che guadagnarselo per meriti propri, soprattutto quando non ce ne sono. Questo ha portato a deplorevoli tentativi di speculazione nel mondo, e - per onore di onestà - questo fenomeno ha riguardato anche il territorio di produzione del Prosecco. Un esempio su tutti, la produzione di Prosecco di qualità piuttosto discutibile e che di certo non ha fatto onore al buon nome della qualità di questo vino e dei produttori che invece l'hanno saputa dimostrare con quello che mettevano in bottiglia. Sarà forse anche per questo motivo che spesso si identifica questo vino con l'odioso termine Prosecchino, come se fosse vino minore, cosa da poco, bollicina ordinaria di poco conto. Questo è anche il risultato per avere curato poco l'immagine e la tutela di un prodotto, pensando - forse e unicamente - all'ebbrezza del successo e del profitto.

 Che fare quindi? Il successo è stato importante per il Prosecco e per tutta l'area di Conegliano e Valdobbiadene, tanto da diventare ingombrante e poco qualificante. Si ricomincia da capo. O meglio: si ricomincia dalla storia e dalle origini. Ecco quindi che esce di scena l'uva Prosecco e rientra il Glera: esattamente la stessa uva, ma tanto basta a creare la novità, o forse, la confusione. Nel frattempo, per tutelare maggiormente la qualità e l'immagine di un territorio, è arrivato anche il riconoscimento della Denominazione d'Origine Controllata e Garantita (DOCG), riservata unicamente al Prosecco Superiore che, per l'occasione, assume semplicemente il nome di Conegliano-Valdobbiadene DOCG, prevedendo le espressioni territoriali del Superiore di Cartizze e dei Rive. Insomma, pare che il termine Prosecco sia diventato sconveniente, tanto da conferirgli un ruolo secondario e accessorio al nome del vino, lasciandolo unicamente alle produzioni a Denominazione d'Origine Controllata (DOC). Stessa sorte per la produzione della vicina Asolo, anch'essa promossa a DOCG, che abbandona il vecchio nome “Colli Asolani Prosecco” a favore di “Asolo DOCG”.

 E poi ci sono altri produttori che guardano fermamente alla vecchia tradizione del Prosecco - pardon, Glera - quello rifermentato in bottiglia e lasciato maturare sui propri lieviti. Questa tecnica produce il tipico sedimento che, a differenza dei metodo classico, è lasciato all'interno della bottiglia. Questo deposito è parte integrante del vino ed è caldamente consigliato di versarlo nei calici così da rendere il vino ancor più personale e ricco, anche se questo porta a un'evidente velatura della limpidezza. Ricco di profumi e di sapori, non c'è dubbio, e se poi appare velato, poco male. Per certi aspetti, molto più ricco e interessante del Prosecco prodotto con la tecnica della spumantizzazione in autoclave. In tutta onestà, dovessi dire qual è il tipo di Prosecco che preferisco, o che forse, ho sempre preferito, è proprio questo rifermentato in bottiglia e servito con il sedimento dei lieviti, Sur Lie, come talvolta viene chiamato. Proprio perché è il tipo di Prosecco più lontano da quella speculazione che gli ha regalato così tanto successo - e infiniti esempi di anonima ordinarietà - e anche perché è quello che dimostra una maggiore personalità. Insomma, fuori dal coro dell'omologazione che - francamente - non è per nulla interessante, come spesso non lo sono le mode. E nemmeno nel vino.

Antonello Biancalana






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