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  Editoriale Numero 107, Maggio 2012   
Un Difetto è Sempre un DifettoUn Difetto è Sempre un Difetto  Sommario 
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Un Difetto è Sempre un Difetto


 Capita sempre più spesso di assaggiare vini che appartengono ai cosiddetti naturali, categoria non sempre ben definita e che già vede correnti di pensiero piuttosto divergenti anche fra gli stessi produttori. Fra questi - e lo dico con soddisfazione e ammirazione - ci sono tanti prodotti di notevole pregio, ben fatti e, non meno importante, senza difetti. Altri invece, e da quello che posso dire, sono la maggioranza, presentano difetti piuttosto imbarazzanti, così grossolani che, non più di dieci anni fa, sarebbero stati bocciati senza appello da qualunque appassionato di vino. In questi casi, faccio molta fatica a considerare un difetto come un pregio solo perché quel vino è naturale tanto da trasformarlo in una questione elitaria. In altre parole, non comprendo l'esaltazione dei vini naturali facendo di questa caratteristica produttiva l'unico pregio da considerare nella qualità di un prodotto: se è naturale è meglio, a prescindere.


 

 Ho il sospetto che i cosiddetti vini naturali rappresentino - di fatto - l'ennesima moda del vino, fenomeno che ogni espressione e ogni prodotto ha bisogno per tenersi vivo e per fare mantenere alta l'attenzione. Il vino non fa eccezione: negli ultimi venti anni di mode se ne sono viste anche troppe, nate, cresciute, morte e, infine, sepolte, dimenticate, perfino rinnegate. Mi piace ricordarlo ancora una volta: non si tratta di essere contrari ai vini naturali; un vino genuino è in ogni caso un obiettivo da favorire e da supportare. Non sono però d'accordo sulle correnti di pensiero, alla stregua di crociate religiose che sostengono una “verità assoluta” e che, spesso, hanno solo il bieco interesse di nascondere la “verità vera”, raccontando pietose bugie. Mi sconcertano le correnti di pensiero arroganti, chiuse e sorde, convinte sempre di essere dalla parte del giusto, ripudiando perfino i metodi dalle quali derivano, tacendo e negando di farne uso anche quando è palese.

 Facile e utopistico dire che un vino naturale è quello prodotto secondo natura - e si dovrebbe ricordare che il vino non esiste in natura - quando è noto a tutti che l'unico percorso naturale del succo d'uva è quello di diventare aceto. L'intervento dell'uomo è indispensabile per alterare il processo naturale così da evitare quello che la natura ha insegnato ai batteri per garantire loro la sopravvivenza. Questa alterazione, innegabile, si ottiene attraverso la tecnologia, cioè processi ideati dall'uomo e che gli hanno consentito di meglio comprendere cosa sia il vino e come questo si produce interagendo con i processi naturali. Rinnegare la tecnologia e considerarla il “male assoluto” è pura follia: anche i vini naturali sono il frutto di “tecnologia”. La tecnologia non è né buona né cattiva, caso mai è l'uso che se ne fa a renderla buona o cattiva. Sarebbe come dire che un rasoio a mano libera è cattivo solo perché affilato e può provocare ferite gravi, quando - in verità - è lo strumento più efficace in assoluto per la rasatura e rispettoso per la pelle. È l'uso che si fa delle cose a renderle buone o cattive.

 Cercare nuove possibilità di mercato, ricavando magari delle particolari nicchie, è chiaramente l'obiettivo di qualunque impresa per assicurarsi sia la notorietà sia il profitto. Non c'è niente di male in questo, tuttavia quando si trasforma in speculazione, facendo addirittura passare per pregi dei difetti palesi, lo trovo poco corretto, persino ridicolo. Un difetto è comunque un difetto, che sia naturale o della peggiore specie industriale, resta comunque un difetto. Non accetto come giustificazione che un vino ha un difetto per il fatto che è “naturale”. Quel difetto - in quanto tale - è innegabile fattore a detrimento della qualità, qualcosa che, in ogni caso, mette in secondo piano il fatto che si tratti di un vino “naturale”, o di qualunque altra origine o tecnica produttiva. Nemmeno la presunta genuinità mi rende quel difetto accettabile: se per vino genuino si intende un vino con difetti, piuttosto che preferire un vino sofisticato o industriale, mi concedo eventualmente un sano bicchiere d'acqua.

 Il mio lavoro - fortuna mia, mia benevola sorte - mi concede il privilegio di assaggiare e valutare vini quotidianamente. Fra questi, inevitabile, ci sono anche molti vini che i produttori si affrettano a classificare come “naturali”, o comunque prodotti con tecniche vinicole e colturali che, a vario titolo, si definiscono “naturali”. Spesso l'assaggio fa rilevare difetti grossolani e imbarazzanti, ossidazioni al naso e al gusto, contaminazioni evidenti di brettanomiceti, evidenti difetti di spunto derivanti da batteri acetici, palesi “rotture” e ossidazioni che regalano al vino un colore e un aspetto per nulla attraente. Questi vini mi riportano alla mente quelli che, con palese disprezzo, si definiscono vini del contadino, quelli che nessuno vorrebbe avere nel proprio calice. Certi vini naturali mi ricordano molto quel genere di vini: poco curati, difetti che li rendono sgraziati e per nulla gradevoli, dalla vista al gusto. Mi è anche capitato di assaggiare un vino con evidenti odori dovuti all'eccesso di anidride solforosa. Quando l'ho fatto notare al produttore, sentirsi rispondere che con poca anidride solforosa il vino si ossida ed è soggetto a difetti, è stato, quanto meno, bizzarro. Non molto diverso dal sincretismo che si applica nelle religioni e filosofie: semplicemente si prende e si ripudia quello che, in quel momento, fa comodo.

 Sarà forse che nel vino - è innegabile - ci sia stata, e continua ad esserci, una noiosa omologazione delle qualità organolettiche, risultato della ricerca e del progresso enologico che hanno messo a disposizione di tutti tecnologie e conoscenza. Non ho difficoltà ad ammettere che, spesso, questi ausili tecnologici sono piuttosto ingombranti tanto da nascondere, o cancellare, molte delle qualità tipiche di un'uva e di un territorio. Ho invece maggiore difficoltà nell'accettare che un difetto possa essere visto come espressione di un'uva o di un territorio. Un difetto, a mio modesto parere, è semplicemente l'espressione dell'incapacità e l'imperizia di chi ha prodotto quel vino, naturale o industriale, non fa differenza. Se questo deve essere poi visto come un pregio, ancor peggio, la verità rivelata a beneficio di un ristretto gruppo di enoappassionati che - beati loro - sono convinti di essere gli unici ad avere compreso il vino, eletti apostoli del benevolo Bacco e depositari della verità assoluta, la cosa mi fa sorridere. Sia chiaro: un vino genuino, espressione di un territorio e delle sue uve, rispettoso per la salute e il benessere dei consumatori, è un presupposto nobile e altamente auspicabile. Non cambia comunque il fatto che un difetto è sempre un difetto. Naturale o industriale, è comunque un difetto.

Antonello Biancalana






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