Capita sempre più spesso di assaggiare vini che appartengono ai cosiddetti
naturali, categoria non sempre ben definita e che già vede correnti di
pensiero piuttosto divergenti anche fra gli stessi produttori. Fra questi - e lo
dico con soddisfazione e ammirazione - ci sono tanti prodotti di notevole
pregio, ben fatti e, non meno importante, senza difetti. Altri invece, e da
quello che posso dire, sono la maggioranza, presentano difetti piuttosto
imbarazzanti, così grossolani che, non più di dieci anni fa, sarebbero
stati bocciati senza appello da qualunque appassionato di vino. In questi casi,
faccio molta fatica a considerare un difetto come un pregio solo perché quel
vino è naturale tanto da trasformarlo in una questione elitaria. In altre
parole, non comprendo l'esaltazione dei vini naturali facendo di questa
caratteristica produttiva l'unico pregio da considerare nella qualità di un
prodotto: se è naturale è meglio, a prescindere.
Ho il sospetto che i cosiddetti vini naturali rappresentino - di fatto -
l'ennesima moda del vino, fenomeno che ogni espressione e ogni prodotto ha
bisogno per tenersi vivo e per fare mantenere alta l'attenzione. Il vino non fa
eccezione: negli ultimi venti anni di mode se ne sono viste anche troppe, nate,
cresciute, morte e, infine, sepolte, dimenticate, perfino rinnegate. Mi piace
ricordarlo ancora una volta: non si tratta di essere contrari ai vini
naturali; un vino genuino è in ogni caso un obiettivo da favorire e da
supportare. Non sono però d'accordo sulle correnti di pensiero, alla stregua di
crociate religiose che sostengono una verità assoluta e che, spesso, hanno
solo il bieco interesse di nascondere la verità vera, raccontando pietose
bugie. Mi sconcertano le correnti di pensiero arroganti, chiuse e sorde,
convinte sempre di essere dalla parte del giusto, ripudiando perfino i metodi
dalle quali derivano, tacendo e negando di farne uso anche quando è palese.
Facile e utopistico dire che un vino naturale è quello prodotto secondo natura -
e si dovrebbe ricordare che il vino non esiste in natura - quando è noto a tutti
che l'unico percorso naturale del succo d'uva è quello di diventare aceto.
L'intervento dell'uomo è indispensabile per alterare il processo naturale
così da evitare quello che la natura ha insegnato ai batteri per garantire loro
la sopravvivenza. Questa alterazione, innegabile, si ottiene attraverso la
tecnologia, cioè processi ideati dall'uomo e che gli hanno consentito di meglio
comprendere cosa sia il vino e come questo si produce interagendo con i
processi naturali. Rinnegare la tecnologia e considerarla il male
assoluto è pura follia: anche i vini naturali sono il frutto di
tecnologia. La tecnologia non è né buona né cattiva, caso mai è l'uso che se
ne fa a renderla buona o cattiva. Sarebbe come dire che un rasoio a mano libera
è cattivo solo perché affilato e può provocare ferite gravi, quando - in verità
- è lo strumento più efficace in assoluto per la rasatura e rispettoso per la
pelle. È l'uso che si fa delle cose a renderle buone o cattive.
Cercare nuove possibilità di mercato, ricavando magari delle particolari
nicchie, è chiaramente l'obiettivo di qualunque impresa per assicurarsi sia la
notorietà sia il profitto. Non c'è niente di male in questo, tuttavia quando si
trasforma in speculazione, facendo addirittura passare per pregi dei difetti
palesi, lo trovo poco corretto, persino ridicolo. Un difetto è comunque un
difetto, che sia naturale o della peggiore specie industriale, resta comunque un
difetto. Non accetto come giustificazione che un vino ha un difetto per il fatto
che è naturale. Quel difetto - in quanto tale - è innegabile fattore a
detrimento della qualità, qualcosa che, in ogni caso, mette in secondo piano il
fatto che si tratti di un vino naturale, o di qualunque altra origine o
tecnica produttiva. Nemmeno la presunta genuinità mi rende quel difetto
accettabile: se per vino genuino si intende un vino con difetti, piuttosto che
preferire un vino sofisticato o industriale, mi concedo eventualmente un sano
bicchiere d'acqua.
Il mio lavoro - fortuna mia, mia benevola sorte - mi concede il privilegio di
assaggiare e valutare vini quotidianamente. Fra questi, inevitabile, ci sono
anche molti vini che i produttori si affrettano a classificare come
naturali, o comunque prodotti con tecniche vinicole e colturali che, a vario
titolo, si definiscono naturali. Spesso l'assaggio fa rilevare difetti
grossolani e imbarazzanti, ossidazioni al naso e al gusto, contaminazioni
evidenti di brettanomiceti, evidenti difetti di spunto derivanti da batteri
acetici, palesi rotture e ossidazioni che regalano al vino un colore e un
aspetto per nulla attraente. Questi vini mi riportano alla mente quelli che, con
palese disprezzo, si definiscono vini del contadino, quelli che nessuno
vorrebbe avere nel proprio calice. Certi vini naturali mi ricordano molto quel
genere di vini: poco curati, difetti che li rendono sgraziati e per nulla
gradevoli, dalla vista al gusto. Mi è anche capitato di assaggiare un vino con
evidenti odori dovuti all'eccesso di anidride solforosa. Quando l'ho fatto
notare al produttore, sentirsi rispondere che con poca anidride solforosa il
vino si ossida ed è soggetto a difetti, è stato, quanto meno, bizzarro. Non
molto diverso dal sincretismo che si applica nelle religioni e filosofie:
semplicemente si prende e si ripudia quello che, in quel momento, fa comodo.
Sarà forse che nel vino - è innegabile - ci sia stata, e continua ad esserci,
una noiosa omologazione delle qualità organolettiche, risultato della ricerca e
del progresso enologico che hanno messo a disposizione di tutti tecnologie e
conoscenza. Non ho difficoltà ad ammettere che, spesso, questi ausili
tecnologici sono piuttosto ingombranti tanto da nascondere, o cancellare, molte
delle qualità tipiche di un'uva e di un territorio. Ho invece maggiore
difficoltà nell'accettare che un difetto possa essere visto come espressione di
un'uva o di un territorio. Un difetto, a mio modesto parere, è semplicemente
l'espressione dell'incapacità e l'imperizia di chi ha prodotto quel vino,
naturale o industriale, non fa differenza. Se questo deve essere poi visto come
un pregio, ancor peggio, la verità rivelata a beneficio di un ristretto gruppo
di enoappassionati che - beati loro - sono convinti di essere gli unici ad avere
compreso il vino, eletti apostoli del benevolo Bacco e depositari della verità
assoluta, la cosa mi fa sorridere. Sia chiaro: un vino genuino, espressione di
un territorio e delle sue uve, rispettoso per la salute e il benessere dei
consumatori, è un presupposto nobile e altamente auspicabile. Non cambia
comunque il fatto che un difetto è sempre un difetto. Naturale o industriale, è
comunque un difetto.
Antonello Biancalana
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