Spesso mi chiedono quale sia il mio vino preferito o la mia uva preferita. Č
una domanda che mi sento ripetere in molte occasioni, spesso per semplice
curiosità, a volte per avere una conferma alle proprie preferenze o, al limite,
per ottenere un suggerimento sulla prossima bottiglia da aprire. Lungi da me
l'idea di mettermi su un pulpito con l'ipocrita quanto pietosamente
superficiale convinzione di credere che la gente penda dalle mie labbra e dai
miei pensieri, la risposta non è mai semplice. Sono troppe infatti le variabili
che determinano la scelta di un vino, una serie di fattori che in un momento
specifico rappresentano la bottiglia preferita, certamente perfetta. Qualora
non dovessi considerare altre implicazioni o fattori, fra i miei vini preferiti
un posto speciale è riservato al Marsala, Jerez e Porto, ai vini fortificati in
genere e dalla lunghissima maturazione. Grandissimi vini, rappresentano una
straordinaria complessità sensoriale, sempre nuova, emozionante e avvincente.
Mi è comunque difficile assegnare il ruolo di preferito assoluto, ma di certo
non nego di avere delle preferenze che, necessariamente, non si limitano a una
sola scelta. Anche perché la vastità di uve e vini esistenti - e non solo in
Italia - rende la scelta ardua e complessa, visto che ogni uva e ogni vino
possono esprimere qualità certamente uniche. Ammetto anche che, in certi
periodi, rivolgo la mia attenzione a particolari uve che, ciclicamente, si
ritrovano per ragioni diverse, o per caso, nel mio calice. In questi frangenti
mi dedico a loro in modo pressoché esclusivo, senza dimenticare - per quanto
possibile - anche il resto del mondo di Bacco. Ho, per così dire, degli
interessi ciclici che si ripresentano ogni tanto, uve e vini che riprendono
totalmente la mia attenzione e studio, allietando il mio calice per lungo
tempo. Spesso è come se incontrassi un vecchio amico che non ho visto da
tanto tempo: alcune volte lo riconosci, altre volte capisci che è cambiato ed è
diventato un'altra persona. E il cambiamento non sempre è positivo.
Fra le tante uve che si ripresentano puntualmente a rapire completamente la mia
attenzione c'è il Fiano, gigante dell'enologia italiana, una delle varietà che
seguo con interesse. Ho sempre avuto una predilezione particolare per il Fiano,
un colpo di fulmine avvenuto tanti anni fa quando assaggiai un Fiano di
Avellino, a quei tempi ancora lontano dal riconoscimento della DOCG. Ammetto
quella bottiglia non era esattamente quello che si potrebbe definire
degno rappresentante, ma certamente sufficiente per capire che si
trattava di un'uva dalle grandi potenzialità. A quei tempi le bottiglie di
Fiano che si potevano reperire fuori dai confini della Campania erano tutte
appartenenti alla zona dell'Irpinia, terra che, allora, si faceva
principalmente conoscere per il Greco di Tufo. Iniziò per me un cammino di
scoperta continua, soprattutto quando cominciai ad assaggiare i vini da uve
Fiano provenienti da altre zone e regioni.
Negli ultimi anni - più o meno una decina - noto, con piacere, uno
straordinario miglioramento generale nei vini prodotti con il Fiano, qualcosa
che non riguarda solo l'Irpinia e la Campania. Perché va detto che il Fiano non
si trova unicamente in Campania e interessanti risultati si apprezzano anche in
Basilicata, Puglia e Molise. Il Fiano è inoltre presente, seppure in termini
marginali, in altre regioni d'Italia, tuttavia quella che ha reso grande questa
varietà è la Campania, sua terra di origine. Il Fiano, in questa regione, non è
solamente Irpinia, ovviamente, anche se, innegabilmente, questo è il territorio
che lo ha reso famoso ovunque. Si devono infatti ricordare almeno altre due
grandi terre della Campania dove il Fiano ha saputo dare magnifiche
interpretazioni: Cilento e Sannio. In queste terre, alle quali si aggiungono
chiaramente anche quelle fuori dalla Campania, il Fiano è capace di produrre
vini dal carattere diversissimo, in ogni caso, sempre elegante e pregevole.
Questa grande uva, certamente fra le più grandi varietà a bacca bianca
d'Italia, dimostra inoltre una straordinaria versatilità enologica. Non solo
vini bianchi, ma anche spumanti e vini dolci da uve appassite. I produttori,
nel corso degli ultimi anni, sembrano avere compreso il Fiano in modo più
approfondito e cosciente, probabilmente anche grazie alle tante ricerche
tecniche che si sono fatte in questo tempo. I produttori, infatti, sono
riusciti a dare al Fiano così tante interpretazioni, da vini immediati e
diretti, fino a esempi di potenza e complessità, capaci di sfidare il tempo e
divenire migliore. Va infatti detto che, quando prodotto con questo esplicito
scopo, il Fiano regala vini capaci di maturare e migliorare per molti anni,
sviluppando qualità organolettiche entusiasmanti e complesse. Non è un caso,
infatti, assaggiare dei Fiano affinati in bottiglia per oltre dieci anni e
trovarsi nel calice un vino ancora vivo e strepitoso, a volte perfino
giovane.
Una magia, quella del Fiano, che stupisce sempre, anche grazie alla sua
capacità di interpretare il territorio in modo evidente. Basti pensare,
infatti, all'influsso del suolo di origine vulcanica dell'Irpinia confrontato
con i vini che si producono in Cilento e il suo celebre flysch.
Territori così diversi che regalano due interpretazioni distanti della stessa
uva. Una magia che si esprime anche nelle tante bollicine prodotte con il Fiano
che, soprattutto in tempi recenti, cominciano a farsi conoscere, sia in
autoclave sia con il metodo classico. Un successo che, va detto, non nasce per
caso e non solo per merito del Fiano. Si tratta anche di una maggiore
consapevolezza dei produttori che, finalmente, comprendono le enormi
potenzialità della loro terra che, fra l'altro, è inoltre generosa di uve
rosse, Aglianico su tutte. Il Fiano, signore e signori, è uva capace di
emozionare sempre, un talento che è risaputo sin dai tempi remoti, viste le
lodi che cronisti del passato hanno espresso per i suoi vini. Una magia che si
rinnova a ogni vendemmia e che merita ben più di un elogio. Un monumento, direi.
Antonello Biancalana
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