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Numero 168, Dicembre 2017 |
Sommario |
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Alle Origini del Vino |
Il vino non finirà mai di sorprenderci. Il suo legame con l'uomo e la sua storia sono così forti e consolidati, tanto da rendere difficile sapere quando l'amore per la bevanda di Bacco sia iniziata nel tempo. Gli autori del passato ci hanno lasciato, attraverso i loro scritti, numerosissime testimonianze sia sul vino sia sulla sua origine o presunta tale. Un segno inequivocabile che già agli albori della civiltà il vino era parte fondamentale della cultura dell'uomo, protagonista ed elemento essenziale di molti aspetti della vita, sia sacri sia profani. Non esiste epoca, infatti, della storia dell'umanità nella quale il vino non sia citato nei documenti di quei tempi, sottolineando sempre il ruolo fondamentale e centrale per gli uomini e le loro società. Non è l'unica bevanda, ovviamente, ad avere ricoperto un ruolo così fondamentale nella storia dell'uomo - basti pensare, ad esempio, alla birra, al tè e caffè - tuttavia è innegabile che il vino ricopra un ruolo speciale. Nel suo lungo rapporto con il vino, l'uomo ha cercato di mantenere una memoria e di tramandare ai posteri le emozioni e le testimonianze dei luoghi e delle uve protagoniste dei vini che si versavano nei loro calici, coppe e bicchieri. Da sempre ha cercato di scoprire - per quanto possibile - quando, dove e come abbia avuto origine la bevanda di Bacco. Una ricerca evidentemente difficile e, spesso, determinata dal caso e da scoperte inaspettate e che hanno permesso progressivamente di individuare in modo più attendibile la sua nascita. In ogni epoca, infatti, l'uomo ha sempre cercato di svelare il mistero dell'origine del vino, portando sia fatti concreti, provati e attendibili, sia leggende e storie fantasiose. La ricerca sulle origini del vino continua ancora oggi e, proprio come in passato, si aggiungono nuovi elementi al complicato quadro della sua storia, cercando di definire in modo sempre più attendibile l'epoca della sua nascita. L'archeologia, ovviamente, è fra le principali discipline che consentono di viaggiare indietro nel tempo alla scoperta delle abitudini e delle organizzazioni sociali di tempi remoti. La preziosa attività archeologica, in senso generale, quindi non solo riferita al vino, ci consente infatti di meglio comprendere l'evoluzione dell'uomo e come siamo arrivati fino a qui. Ci consente, per quanto concerne il vino e l'alimentazione, di conoscere l'evoluzione del gusto, delle tecniche di produzione e di coltivazione. Oltre a stabilire, ovviamente, la nascita - o per meglio dire - le evidenze più antiche che consentono di comprendere le origini delle abitudini degli esseri umani. Nel tempo, grazie all'archeologia, siamo infatti riusciti - e di certamente continueremo a farlo - a collocare l'origine del vino in epoche e luoghi remoti, ogni volta consentendo di tornare indietro nel tempo anche di molti millenni. Questo è quello che è accaduto recentemente, grazie al ritrovamento di nuovi reperti di epoche remoti e che, inequivocabilmente, sono legati al vino. In due siti archeologici della Georgia - esattamente a Gadachrili Gora e Shulaveris Gora, non molto distanti dalla capitale Tbilisi - sono state ritrovate delle giare nelle quali, inequivocabilmente, era contenuto vino. Il fatto sorprendente è che si tratta di vino come lo intendiamo noi oggi, cioè prodotto esclusivamente dalla fermentazione del succo d'uva di viti appartenenti alla specie Vitis Vinifera Sativa, cioè la vite da vino, la stessa che usiamo ancora noi oggi. Le giare, o meglio, le tracce di vino che queste contenevano, collocano la scoperta al 5800-6000 AC e riportano il primato dell'origine alla Georgia. Va detto, infatti, che precedenti scoperte archeologiche avevano spostato l'origine del vino in Iran, con reperti risalenti al 5400-5000 AC e che, a sua volta, aveva sottratto il primato proprio alla Georgia. La scoperta assume un significato enorme se si pensa che sposta l'origine del vino indietro nel tempo di circa mille anni. Questo significa che l'uomo, già ottomila anni fa, coltivava la vite per ottenere le uve dalle quali produrre vino. Non sappiamo, ovviamente, l'uso che si faceva ai quei tempi del vino, certamente consumato come bevanda, tuttavia non conosciamo il suo ruolo sociale e alimentare. Il fatto che queste giare - per meglio dire, nei frammenti di otto di queste - contenessero vino ci consente di comprendere che, già a quei tempi, il vino era parte integrante della vita dell'uomo. Va detto, per onore di completezza, che non si tratta comunque della scoperta più antica che riguarda l'uso del succo d'uva fermentato. Questo primato, in accordo alle attuali scoperte archeologiche, spetta alla Cina dove sono stati trovati reperti legati alla produzione di bevande fermentate a base di succo d'uva. Si tratta di scoperte che fanno risalire questi reperti al 7000 AC, evidenziando l'uso del succo d'uva fermentato unito a miele, riso e bacche di biancospino. Insomma, quello che oggi potremmo chiamare vino aromatizzato oppure bevanda a base di vino, pertanto non si tratta di vino puro cioè unicamente prodotto dalla fermentazione del mosto d'uva. Ho sempre avuto un forte interesse per la storia e l'archeologia e una notizia come questa è per me entusiasmante. Se si pensa alla storia del vino e al suo ruolo nella cultura e nell'umanità, una notizia come questa ci consente di comprendere meglio cosa versiamo nei nostri calici oggi e soprattutto perché lo facciamo. È sorprendente sapere che l'uomo ha stretto in tempi remoti un legame così forte con il succo dell'uva fermentato, tanto da farne bevanda dall'alto significato culturale e sociale, ancora oggi inalterato. L'uomo produce e consuma vino da almeno 8000 anni, qualcosa che è semplicemente sorprendente. Il magnifico e fondamentale contributo che l'archeologia ci ha dato e continuerà a darci è semplicemente strepitoso. Sono sicuro che riuscirà - per caso o meno, non ha importanza - a raccontarci l'origine del vino, viaggiando nel tempo alla scoperta della nascita di questa straordinaria e unica bevanda. E pensare che si tratta semplicemente di succo d'uva fermentato e che da almeno 8000 anni è parte dell'uomo e della sua storia. Antonello Biancalana
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Contrasti di Rossese e Uva di TroiaLiguria e Puglia a confronto nei calici della degustazione per contrasto di questo mese. Due uve di carattere per vini di interessante personalità |
Liguria e Puglia si incontrano nei calici della degustazione per contrasto di questo mese, mettendo a confronto due varietà a bacca rossa tipiche delle rispettive regioni. Bagnate dal mare per la totalità della loro estensione, l'influsso del clima marittimo è spesso evidente nei vini prodotti in queste due regioni in modi ed espressioni diverse. Liguria e Puglia producono vini con caratteristiche molto distanti fra loro, dovuti sia al clima sia alle uve generalmente coltivate nei rispettivi vigneti. In termini generali, i vini della Puglia - sia bianchi sia rossi - hanno un carattere decisamente più imponente rispetto a quelli della Liguria, una caratteristica particolarmente vera per i vini rossi. Il sole e la temperatura svolgono evidentemente un ruolo significativo, ricordando - appunto - che la Puglia è una delle regioni con la maggiore quantità di ore assolate d'Italia e alte temperature. Rossese e Uva di Troia sono le uve protagoniste della degustazione per contrasto di questo mese. Due varietà a bacca rossa molto diverse fra loro, con differenze evidenti in ogni aspetto della valutazione sensoriale. Sono infatti questo genere di differenze che ci permettono, grazie all'immediato riscontro dei contrasti, una migliore comprensione delle rispettive qualità e peculiarità enologiche. La struttura dei vini che si ottiene con Rossese e Uva di Troia rappresenta una differenza sostanziale, certamente non l'unica visto che si rilevano notevoli diversità anche in altri aspetti organolettici. Uno di questi è certamente il profilo olfattivo nel quale l'orientamento dei profumi riconducibili a frutta esprime caratteristiche di intensità e qualità molto diverse. Anche al gusto Rossese e Uva di Troia rivelano caratteristiche distinte e diverse, soprattutto nell'astringenza e nella struttura, non da ultimo, l'effetto dell'alcol.
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Il Rossese è una varietà a bacca rossa diffusa nel territorio della Liguria ed è principalmente noto per essere parte dei vini a Denominazione d'Origine Controllata Rossese di Dolceacqua e Riviera Ligure di Ponente Rossese. Questa varietà è principalmente legata alla località di Dolceacqua, in provincia di Imperia, non molto distante dalla Provenza in Francia. Da sempre considerata la principale varietà a bacca rossa della Liguria, la presenza del Rossese in questa regione è registrata da diversi secoli, nonostante la sua origine non sia del tutto chiara. Per lungo tempo si è infatti sostenuto che il Rossese fosse un'uva di origine greca, tuttavia si trattava di una supposizione priva di certezze. La teoria era anche supportata dal tipico metodo di coltivazione del Rossese - ad Alberello - una tecnica molto diffusa in zone calde, come il meridione d'Italia. Questo antico metodo di coltivazione ha infatti fatto supporre una probabile introduzione del Rossese in Liguria da parte di coloni greci. In realtà l'adozione del sistema ad alberello è una scelta obbligata a causa dei terreni scoscesi e impervi della Liguria, assicurando, inoltre, una buona conservazione dell'umidità alla base della pianta grazie all'ombra prodotta dalla chioma delle foglie. Oggi possiamo affermare, grazie alle ricerche condotte sul DNA del Rossese, che questa varietà corrisponde al Tibouren, uva diffusa nella Provenza francese, permettendo finalmente di stabile l'origine greca o, forse, dal Medio Oriente. Se nel versante francese l'uva è principalmente usata per la produzione di vini rosati, in terra di Liguria il Rossese è prevalentemente usato per i rossi e con risultati di estremo interesse. Il Rossese, in Liguria, è vinificato sia in contenitori inerti sia in contenitori di legno, barrique inclusa. Può evolvere per alcuni anni in bottiglia, restituendo vini di discreta complessità, tuttavia si tende maggiormente ad apprezzare i vini da uve Rossese durante la gioventù così da coglierne la finezza organolettica.
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Fra le più rappresentative e significative varietà rosse di Puglia, l'Uva di Troia ha saputo - soprattutto in tempi recenti - dimostrare tutto il suo valore enologico regalando vini di notevole pregio. In passato, com'è accaduto anche per altre varietà della Puglia, l'Uva di Troia era sovente impiegata per conferire colore e struttura ad altri vini più deboli, uso che in tempi passati era frequente per molte uve dell'Italia meridionale. L'Uva di Troia è prevalentemente diffusa nelle province di Foggia e Barletta-Andria-Trani ed è probabilmente da questo territorio che l'uva ha origine. Questa varietà è infatti presente in molti dei vini a Denominazione d'Origine Controllata di queste terre, fra i più noti quelli di Castel del Monte e del Cacc'e Mmitte di Lucera. In questi vini l'Uva di Troia è unita ad altre varietà della Puglia, tuttavia è utilizzata con successo e con risultati di rilievo anche in vini monovarietali, risultando anche molto versatile nella vinificazione in botte e con buona capacità di affinamento nel tempo. Sull'origine dell'Uva di Troia si sono fatte molte supposizioni, tuttavia non esiste certezza in nessuna di queste. L'ipotesi più ricorrente è che si tratti di una varietà di origine greca, introdotta in tempi passati in queste terre. Una delle teorie, ma si farebbe meglio a parlare di leggenda, vuole che sia stato Diomede - personaggio della mitologia greca, uno dei principali eroi della guerra di Troia - a introdurre questa varietà in terra di Puglia. Una teoria più credibile è che quest'uva prenda il nome da Troia, località in provincia di Foggia, non lontano da Lucera, e dove ancora oggi è presente. Un'altra teoria ritiene che provenga da Kruja, in Albania, nella prefettura di Durazzo, anticamente detta Croia quindi adattata al dialetto pugliese in Troia. L'ipotesi dell'origine pugliese, potrebbe essere inoltre rafforzata dai nomi con i quali si identifica l'Uva di Troia, fra questi Uva di Canosa, Vitigno di Barletta e Nero di Troia, località che si trovano - appunto - in Puglia. I vini prodotti con l'Uva di Troia sono caratterizzati da colori intensi e profondi - ragione che la vedeva usata un tempo impiegata per i tagli - piuttosto alcolici, una freschezza piuttosto contenuta e apprezzabile astringenza.
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Nella nostra degustazione per contrasto prenderemo in esame, come di consueto, vini prodotti rispettivamente con le due varietà oggetto del nostro studio - Rossese e Uva di Troia - in purezza. La ricerca di vini prodotti con queste varietà in purezza potrebbe non essere semplice, poiché nei disciplinari dov'è previsto il loro impiego, possono essere usate anche altre uve. Per quanto riguarda il Rossese, la nostra scelta sarà per il Rossese di Dolceacqua, zona che produce certamente i migliori vini da questa varietà. Il vino prodotto con l'Uva di Troia che sceglieremo per la nostra degustazione appartiene a un'importante Denominazione d'Origine Controllata della Puglia: Castel del Monte Nero di Troia, da non confondere con la versione Riserva che, fra l'altro, è vino DOCG. Faremo attenzione che i due vini siano vinificati in contenitori inerti, come la vasca d'acciaio, così da assicurare la migliore integrità organolettica possibile e appartenenti all'ultima annata prodotta, con un massimo due anni di affinamento. I due vini saranno serviti in calici da degustazione alla temperatura di 17 °C. Dopo avere versato i vini nei due calici, possiamo iniziare la degustazione per contrasto dalla valutazione dell'aspetto, cioè colore, sfumatura e trasparenza. Il primo vino che prenderemo in esame è il Rossese di Dolceacqua, osservando il colore alla base del calice e mantenendolo inclinato sopra una superficie bianca. Il vino ligure mostra un colore rosso rubino brillante e, ponendo un oggetto a contrasto fra il calice e la superficie bianca, noteremo una trasparenza moderata. La sfumatura, osservata all'estremità del calice, verso l'apertura, rivela un colore rosso rubino, spesso di tonalità chiara. Passiamo ora alla valutazione dell'aspetto del Castel di Monte Nero di Troia, sempre mantenendo il calice inclinato sopra la superficie bianca. Il vino pugliese mostra un colore decisamente più intenso e cupo rispetto al Rossese e la trasparenza, ponendo un oggetto a contrasto sotto il calice, è evidentemente inferiore. La sfumatura del vino prodotto con Uva di Troia, osservata all'estremità del calice, dove il vino si fa più sottile, mostra un colore rosso rubino intenso. Rossese e Uva di Troia producono vini con profili olfattivi molto diversi fra loro. I profumi espressi dal Rossese sono generalmente freschi e diretti, mentre nell'Uva di Troia si percepiscono aromi più complessi e pieni. I vini prodotti con l'uva rossa della Liguria si fanno apprezzare generalmente per i profumi di frutti rossi nei quali si riconoscono la ciliegia, lampone, fragola e mirtillo. Non mancano, ovviamente, profumi che ricordano i fiori e, in questo senso, il Rossese esprime aromi di violetta e ciclamino. Ben diverso il profilo olfattivo dei vini prodotti con l'Uva di Troia, nei quali si percepiscono profumi decisamente più pieni e scuri. I vini prodotti con l'uva rossa di Puglia esprimono generalmente profumi che ricordano l'amarena, prugna, mora e mirtillo, spesso complessi e maturi. Per quanto riguarda l'espressione floreale dell'Uva di Troia, nei suoi vini troviamo principalmente la violetta. Continuiamo la nostra degustazione per contrasto analizzando i profili olfattivi dei due vini, iniziando dal Rossese di Dolceacqua. Manteniamo il calice in posizione verticale e senza rotearlo, eseguiamo la prima olfazione così da valutazione dell'apertura del vino, cioè gli aromi iniziali che emergono dal calice. Si percepiscono piacevoli e intensi aromi di ciliegia, lampone e fragola ai quali si aggiunge quello del ciclamino. Dopo avere roteato il calice, così da favorire lo sviluppo degli altri aromi, il profilo olfattivo del Rossese si completa con mirtillo, prugna, ribes e, talvolta, la rosa. Passiamo ora al calice del Castel del Monte Nero di Troia e valutiamo l'apertura del vino. Dal calice percepiamo aromi più densi di amarena, prugna e mora seguiti dalla violetta. Dopo avere roteato il calice, il profilo olfattivo del Castel del Monte Nero di Troia si completa con mirtillo, fragola, lampone, spesso un piacevole accenno di carruba. Passiamo ora all'assaggio dei due vini e valutiamo il loro profilo gustativo, iniziando, come nelle precedenti fasi, dal Rossese di Dolceacqua. Prendiamo un sorso di questo vino e valutiamo il suo attacco, cioè le sensazioni gustative preliminari che si percepiscono in bocca. Si percepisce una piacevole astringenza, non molto intensa ma comunque equilibrata con le altre sensazioni, una morbidezza moderata e una freschezza non particolarmente intensa. L'alcol è ben percettibile e in bocca rileviamo i sapori di ciliegia, lampone e fragola. Prendiamo ora un sorso del Castel del Monte Nero di Troia e valutiamo il suo attacco. Qui la morbidezza è chiaramente più elevata e l'astringenza è più aggressiva, l'acidità è poco percettibile anche a causa dell'effetto dell'alcol che procura una decisa sensazione calda. La corrispondenza con il naso è decisamente molto buona: si percepiscono, infatti, sapori intensi e puliti di amarena, mora e prugna. L'ultima fase della nostra degustazione per contrasto è relativa alle sensazioni finali che i vini lasciano in bocca dopo averli deglutiti. Il finale del Rossese di Dolceacqua è persistente, lasciando in bocca piacevoli sapori di ciliegia, fragola e lampone, con una buona sensazione di pulizia e spesso una nota amarognola, molto piacevole. In bocca si percepisce inoltre il buon equilibrio fra morbidezza e astringenza dei tannini. Il finale del Castel del Monte Nero di Troia è anch'esso persistente, tuttavia in questo caso la sensazione di morbidezza e di struttura è maggiore rispetto al vino ligure. Si percepiscono nettamente i sapori di amarena, prugna e mora, oltre a una piacevole astringenza che è comunque equilibrata dall'alcol e dalla morbidezza. Concludiamo la nostra degustazione prendendo un ultimo sorso dei due vini, prima il Rossese di Dolceacqua quindi il Castel del Monte Nero di Troia: le differenze sono evidenti sotto ogni aspetto.
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I Vini del Mese |
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Notiziario |
In questa rubrica sono pubblicate notizie e informazioni relativamente a eventi e manifestazioni riguardanti il mondo del vino e dell'enogastronomia. Chiunque sia interessato a rendere noti avvenimenti e manifestazioni può comunicarlo alla nostra redazione all'indirizzo e-mail.
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Trionfo di Marco Casadei al Primo Master dell'Albana |
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La sfida è quindi proseguita nel pomeriggio, con una gara davvero avvincente, durante la quale si sono alternate prove di degustazione, di abbinamento gastronomico, di servizio e di comunicazione. Tutte con un unico tema per mostrare e scoprire la incredibile e positiva complessità dell'Albana, capace di regalare sempre nuove emozioni e piacevolezze. Una sfida a tre piena di fascino anche per il pubblico, che ha potuto apprezzare fra l'altro le altissime capacità professionali dei partecipanti, che hanno svolto la loro performance mostrando un profondo rispetto per gli altri concorrenti e hanno saputo far risaltare le qualità del vitigno Albana e il valore di chi la produce. Non è stato semplice per la Giuria, composta da esperti sommelier e rappresentanti delle istituzioni locali, decretare il vincitore, poiché tutti e tre i concorrenti si sono dimostrati molto bravi. Ci sono stati però alcuni elementi decisivi che hanno fatto emergere Marco Casadei, romagnolo come quell'Albana di cui sarà ambasciatore nei prossimi mesi. Quella di Marco è una vittoria importante perché segue la conquista del titolo di Master del Sangiovese che il sommelier ha ottenuto lo scorso febbraio, alla 16ª edizione del Trofeo Consorzio Vini di Romagna - Master del Sangiovese 2017. È stata, in effetti, la sua eccellente preparazione e il suo modo fresco e immediato di raccontare il vino che stava degustando, a portarlo al trionfo in questa prima tappa di una competizione realizzata dalla collaborazione fra il Comune di Bertinoro, l'Associazione Italiana Sommelier Romagna e Consorzio Vini di Romagna, e intesa a valorizzare e promuovere questo vitigno d'eccellenza. Al vincitore, oltre al compenso in denaro, è stato consegnato dal Grand Hotel Terme della Fratta un soggiorno premio per due persone presso l'importante struttura termale, per offrirgli una possibilità ulteriore di studio e conoscenza del territorio di produzione dell'Albana. Mirko Capuano, Vice Sindaco del Comune di Bertinoro, Roberto Giorgini, Presidente di A.I.S. Romagna, e Giordano Zinzani, Presidente del Consorzio Vini di Romagna, convengono nel riconoescere che questa prima edizione è stata davvero un successo per tutta la Romagna. Nei diversi momenti in programma si è registrata sempre una buonissima presenza di pubblico e, soprattutto, grazie a questa iniziativa l'Albana di Romagna ha un buon numero di nuovi ambasciatori, capaci di raccontare con passione la personalità e la straordinarietà di questo nostro vitigno unico al mondo anche al di fuori dei confini nazionali. Tutti i concorrenti, in effetti, hanno dimostrato di essersi preparati in modo davvero preciso e approfondito. Questa speciale esperienza ci spinge a prevedere che questo appuntamento diventerà uno dei punti di riferimento del vino romagnolo per i prossimi anni. Per il momento complimenti vivissimi a Marco Casadei, trionfatore di questa prima edizione del Master dedicato al più romagnolo dei nostri vitigni. |
AquavitaeRassegna di Grappe, Distillati e Acqueviti |
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Wine Guide ParadeSettembre 2017
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