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  Editoriale Numero 157, Dicembre 2016   
Vino, Dolce VinoVino, Dolce Vino  Sommario 
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Vino, Dolce Vino


 Ammetto di avere un rapporto particolare con il gusto dolce e sono perfettamente consapevole non sarà condiviso da molti. So bene che la passione per il gusto dolce è irresistibile per molti, per alcuni è perfino ossessione e può rasentare la dipendenza. Ovviamente non è mia intenzione criticare gli altri, intendo solo dire che, personalmente, non ho una predilezione per il dolce, un gusto che - a volte - trovo perfino monotono e noioso. Intendiamoci: non evito i cibi dolci, di certo li mangio, perfino con soddisfazione, ma se non ci sono non li cerco. Dal punto di vista sensoriale, riferito al cibo, trovo maggiore soddisfazione e gratificazione da cibi non dolci che trovo più complessi e interessanti rispetto al “solito e prevedibile” gusto dolce. Sono uno di quelli che adora un buon caffè senza zucchero, cioè - secondo l'opinione di molti - amaro, quando poi è ben noto a quelli che preferiscono il caffè in questo modo che non è affatto amaro. Per meglio dire, non è solo amaro, poiché il gusto del caffè si esprime con una complessità tale da non potere essere semplificata unicamente con il gusto amaro che, fra l'altro, non è nemmeno quello dominante.


 

 Con i vini, però, il mio interesse è ben diverso. Intendo dire che i vini cosiddetti dolci catturano totalmente il mio interesse e la mia attenzione. Non è, in verità, il loro gusto dolce a rendere questi vini particolarmente apprezzati, piuttosto le straordinarie complessità sensoriali che questi riescono a esprimere. Perché va detto nel vino, come in qualunque altro stile enologico, c'è dolce e dolce. Non mi basta, infatti, che un vino sia dolce per appassionarmi a lui, consapevole che, in certi casi, questo sapore può essere conferito in modo non propriamente nobile. Il dolce, da solo, chiaramente non mi basta, proprio in virtù del fatto la dolcezza in un vino si può ottenere in modi diversi, compresi metodi piuttosto discutibili ai fini della qualità. Senza nulla togliere alla categoria dei vini dolci - di qualunque stile o procedimento viticolturale ed enologico - il mio interesse è verso quei vini che sono prodotti con uve appassite e, ancor meglio, impreziosite dalla Botritys Cinerea, la cosiddetta muffa nobile.

 A tale proposito, va detto che esistono diversi modi per fare appassire un grappolo di uva e questo si può fare anche senza favorire l'appassimento in pianta oppure lasciare i grappoli in ambienti aerati. Tanto per citare l'esempio più eclatante, si può ricorrere all'uso di celle a temperatura e umidità controllata nelle quali si mettono i grappoli maturi e si aspetta la magia. Una tecnica, com'è noto, ampiamente utilizzata anche per la frutta e la verdura così da farle maturare “durante il viaggio” e arrivare “pronte” nei luoghi di vendita. Queste celle consentono anche di nobilitare certe uve mediante lo spargimento di spore della Botritys Cinerea che, ovviamente, attaccheranno i grappoli collocati al loro interno. Si tratta, di fatto, di un sistema a basso costo che consente di ottenere uve appassite, e magari botritizzate, escludendo tutti i rischi che comporta la fase di appassimento all'aria o in pianta.

 L'uso della cella, per esempio, consente di evitare gli eventuali danni causati da condizioni meteorologiche avverse - muffa e marciume in particolare - cosa che può invece accadere qualora si lasciasse l'uva ad appassire nella madre vite. E il risultato? In termini generali, un vino prodotto con uve appassite o botritizzate in cella è sovente riconoscibile all'assaggio. Soprattutto quelli che si fregiano di essere prodotti con uve affette da Botritys Cinerea, che - a dirla tutta - già alla prima olfazione emergono concreti dubbi sia sulla reale qualità delle uve sia sull'esecuzione enologica. Vini difficili da produrre, dal punto di vista economico e tecnico, l'uso di metodi più sicuri tali da garantire un risultato “decente” limitando i rischi, può essere certamente allettante per alcuni produttori. Le difficoltà della produzione di vini dolci da uve appassite comincia dalla vendemmia - operazione che chiede estrema cura, soprattutto per le uve affette da Botritys Cinerea - e in cantina le difficoltà non sono certamente da meno.

 Fermentazioni lunghe, spesso lunghissime che durano mesi, il rischio concreto dell'eccessivo sviluppo dell'acidità volatile - a nessuno piace trovare aceto nel proprio calice, vero? - pratiche enologiche meticolose che perdonano pochi errori. La perdita di acqua all'interno dell'acino dell'uva durante l'appassimento rappresenta un fattore economico di non poco conto, un calo che può superare facilmente oltre la metà del peso. Una diminuzione che, va detto, è fondamentale nella produzione di questi vini poiché determina anche la concentrazione del succo e delle sostanze che lo compongono, zuccheri compresi. Questo significa anche che la quantità di mosto che si ottiene dalla pigiatura delle uve sarà decisamente inferiore rispetto alla stessa uva pigiata a maturazione e usata per un vino da tavola. Un fattore economico di enorme impatto nella produzione di questi vini e che, inevitabilmente, determinano il loro prezzo finale. Insomma un vino dolce da uve appassite, quando è prodotto in modo rigoroso e onesto, è impossibile che costi meno - addirittura molto meno - di un normale vino da tavola.

 Quando questi magnifici capolavori sono prodotti con lo scrupolo e il riguardo che meritano, l'apoteosi dei sensi è assicurata. Sono un susseguirsi senza sosta di raffinate emozioni, a volte intense e violente, altre volte sottili e garbate, come se si volessero nascondere fra le pagine di un libro che aspetta solo di essere letto completamente. Mi rammarica vedere i vini dolci da uve appassite non riscuotere oggi il successo che meritano. Difficili da produrre e da vendere, anche i produttori non puntano molto su questo tipo di vino, continuando a produrli più per motivi di tradizione del luogo o del marchio, piuttosto che per un concreto motivo commerciale. Eppure in tempi passati questi vini godevano della più alta e nobile considerazione, donando gloria enologica alle terre dove si producevano e ancora oggi si producono. Oggi sembrano ricoprire un ruolo marginale, riscuotendo un consenso modesto da parte dei consumatori, forse anche a causa del prezzo e, più probabilmente, per un fatto di moda. Un vero peccato perché quando va in scena la nobile eleganza espressa da infinite sensazioni, che si vestono di complesse e profonde emozioni, in dolce e raffinata veste - signore e signori - che meraviglia!

Antonello Biancalana






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