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Tutti Contro Tutti


 Il mercato, con le sue regole e le sue leggi, si sa, è agguerrito e spietato, il buon senso, che dovrebbe favorire a una cordiale convivenza, è spesso sostituito da una meno nobile concorrenza. Per meglio dire, la concorrenza - in sé - non avrebbe niente di male se fosse utilizzata in modo costruttivo, tuttavia il confine fra il “lecito” e il “meno lecito”, fra la “correttezza” e una “minore correttezza”, è spesso confuso. Tutto questo per perseguire il lecito obiettivo del profitto, un traguardo che è l'insieme di diversi fattori, non solo economici, anche se tutti i fattori puntano essenzialmente al conseguimento del profitto economico. Questo vale per ogni settore di mercato, indipendentemente dal tipo di attività svolta. Il vino rappresenta un'eccezione a tutto questo? Per trovare la risposta, basta guardare negli scaffali delle enoteche e dei supermercati, nelle “belle parole” dei produttori e il modo in cui sono “vestite” le bottiglie per capire che il vino non rappresenta certamente un'eccezione. Tutt'altro, la concorrenza in questo settore è piuttosto serrata e agguerrita.


 

 Nel mondo del vino si può parlare di cultura, di tradizione, di passione e di qualità, di storie nobili e romantiche, ma è innegabile - e certamente comprensibile - che i produttori di vino devono necessariamente guardare anche ai loro profitti. Non se ne può fare certamente una colpa: è comprensibile. In una società come la nostra, nella quale - inutile negarlo, e certamente non rappresenta un aspetto nobile - il denaro ha un'importanza fin troppo elevata, la ricerca del profitto è comprensibile. Quello che è meno comprensibile, o meglio, meno condivisibile, è il modo in cui si maschera la ricerca del profitto, anche a costo di vendere ai consumatori un'illusione, qualcosa che è ben diverso e che spesso è decisamente inferiore al valore reale dell'oggetto che rappresenta l'acquisto. E questo accade anche per il vino, non c'è dubbio. Ci sono così tante bottiglie in giro vendute a prezzi piuttosto discutibili e che una volta versati nel calice esprimono una qualità deludente e piuttosto “ordinaria”, non cattivi, ma certamente lontani dal loro valore di mercato.

 La delusione è ancora più grande quando si scopre che esistono vini venduti a prezzi inferiori e che oggettivamente esprimono una qualità superiore. Bella cosa il confronto, quando si ha la possibilità di farlo. Nel caso specifico del vino, sono tanti i fattori che possono dare origine a un confronto qualitativo: produttori, aree, uve e paesi, tanto per citarne alcuni. La possibilità di fare confronti potrebbe compromettere in molti casi il raggiungimento di un profitto nel caso in cui risulti sfavorevole. Se si sceglie una cosa, probabilmente non si sceglie, o non si sceglie più, l'altra. In un mondo “allargato”, dove il vino si produce in molti paesi, le possibilità di confronto aumentano a dismisura, soprattutto quando i prodotti della concorrenza sono venduti a prezzi inferiori. Con l'aumentare dell'offerta, aumenta anche la disponibilità dei prodotti da scegliere, la concorrenza diviene quindi più serrata, combattuta spesso con qualunque mezzo, pur di emergere rispetto agli altri e con lo scopo di essere scelti, in altre parole, di fare profitto.

 La concorrenza è certamente un fatto positivo se utilizzata in modo intelligente per migliorare sé stessi, se utilizzata in modo critico, aiuta a migliorare la qualità delle cose. Ma poiché viviamo in un mondo imperfetto, a volte troppo imperfetto, la concorrenza, nella sua peggiore delle espressioni, porta spesso a confrontarsi in modo non proprio nobile, dove l'unica cosa che si riesce a vedere, in questa ottusa cecità, è unicamente il proprio profitto e interesse. E non si tratta solamente dell'interesse puramente economico, ma anche di quello culturale, tradizionale e storico: non è solo per il denaro che ci si scontra. Gli uomini, nel creare contrasti con lo scopo di affermare sé stessi e le loro “culture” nei confronti degli altri, sono straordinariamente bravi. Millenni di storia ci raccontano di quanto “civile” sia stato, e continua ad essere, il progresso sociale in questo senso. L'uomo non sembra capire che è meno faticoso ascoltare e comprendere, avere il vantaggio dalla ricchezza delle reciproche differenze e cercare di convivere senza contrasti, piuttosto che fare la guerra. Ecco allora che si mettono in atto contromisure che inizialmente riguardano un numero ristretto di concorrenti che si trovano nella stessa zona, per poi dilagare nelle zone vicine, in un processo che progressivamente arriva a interessare un'intera regione, un paese intero, il mondo intero.

 Nel mondo del vino, questa concorrenza si esprime in modi diversi, e c'è da chiedersi, quando la si esprime unicamente nella negativa forma del contrasto, quanto faccia bene al vino e a coloro che lo apprezzano. Chardonnay contro Sauvignon Blanc, Gewürztraminer contro Riesling, Merlot contro Sangiovese, Cabernet Sauvignon contro Zinfandel: ce n'è per tutti i gusti. Non solo, il conflitto si estende anche in altri ambiti: un produttore contro un altro, una zona vinicola contro un'altra, una regione contro un'altra, un paese contro l'altro, tutti convinti che quello che hanno sia migliore di tutto il resto. A rendere la cosa ancor più desolante, spesso non ci si rende nemmeno conto che si conosce poco quello che si possiede, ancor meno quello che possiedono gli altri. Se si cominciasse a comprendere che tutti hanno qualcosa da imparare da chiunque, e che ogni cosa ha innegabilmente pregi e difetti, qualità che la rendono assolutamente unica, forse si avrebbe meno paura di ciò che non si conosce. Lo Chardonnay, tanto per fare un esempio, è un'uva che ha pregi e difetti, e lo stesso vale per il Sauvignon Blanc e per ogni altra uva. Con quale criterio assoluto si può stabilire quale delle due sia migliore tanto da sostenere una santa crociata?

 Il gusto, certamente importante e capace rispondere a questa domanda, non costituisce - di fatto - un criterio assoluto: è semplicemente un'opinione relativa e soggettiva. Tuttavia, poiché si tratta di un'opinione nella quale si riconosce anche la personalità di chi la esprime, il contrasto nasce anche fra gli appassionati. Tanto per fare un esempio, ci sono persone che credono l'unico vino ad essere degno di essere considerato come tale è solamente quello rosso, il resto non lo si vede nemmeno. Ciò che è peggio, spesso si tratta di considerazioni che si esprimono senza cognizione di causa, poiché ignorando le qualità degli altri tipi di vino, semplicemente vengono esclusi senza nemmeno conoscerli. Contrasti di questo genere si possono vedere anche per certi vini, considerati dai propri sostenitori come gli unici degni di considerazione, tanto da non volere nemmeno pensare di guardare oltre, come se fosse qualcosa di lesivo per la propria dignità e integrità di esperto. Tutti contro tutti, solo per il semplice scopo di affermare sé stessi e qualcosa che si considera migliore di tutto il resto. Ma questo, serve veramente al vino?

 



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La Posta dei Lettori


 In questa rubrica vengono pubblicate le lettere dei lettori. Se avete commenti o domande da fare, esprimere le vostre opinioni, inviate le vostre lettere alla redazione oppure utilizzare l'apposito modulo disponibile nel nostro sito.

 

Che cos'è che fa buono un vino? Secondo me dipende dalle condizioni meteorologiche dell'annata, mentre il mio compagno sostiene che dipende dal contenuto di alcol. Chi ha ragione?
Nicola Parker -- Malaga (Spagna)
La domanda, nella sua semplicità, è complessa e richiederebbe un'altrettanto complessa risposta. Le condizioni meteorologiche dell'anno rappresentano uno dei tanti fattori - certamente fra i più importanti - che consentono di fare un buon vino. Ci sono poi altri fattori indispensabili alla produzione di un buon vino, fra questi i più importanti sono la qualità dell'uva - che dipende anche dalle condizioni meteorologiche dell'anno - la zona di produzione, la tecnica di vinificazione e quindi l'intervento dell'uomo. La quantità di alcol in un vino, da sola, non basta a definire la qualità. Sarebbe come affermare che tutti i vini liquorosi, che hanno volumi alcolici anche del 19%, fossero implicitamente buoni, cosa che non corrisponde chiaramente a verità. Il volume alcolico è comunque essenziale nella qualità del vino, sia per assicurare un buon equilibrio organolettico, sia per migliorare lo sviluppo e la percezione degli aromi.



Qual è la differenza fra grappa e acquavite d'uva?
Gianluca Matteini -- Siena (Italia)
Nonostante la grappa e l'acquavite d'uva siano entrambi prodotte con l'uva, o per meglio dire, con specifiche parti dell'uva opportunamente lavorate, sono due distillati diversi. La grappa è prodotta unicamente dalla distillazione delle vinacce dell'uva, cioè dalle bucce, ricche di preziosi aromi che conferiranno alla grappa il suo profumo, opportunamente fermentate. Nella produzione della grappa si utilizzano sia vinacce di uve bianche, sia vinacce di uve rosse. Poiché le vinacce delle uve bianche vengono separate dal mosto prima della fermentazione alcolica che lo trasformerà in vino, è indispensabile che queste siano fermentate prima della distillazione in modo da produrre alcol. Poiché nella produzione di vino rosso le vinacce vengono fatte macerare con il mosto durante la fermentazione, quando queste saranno separate dal vino, conterranno alcol, in altre parole, sono già fermentate e pronte per la distillazione. L'acquavite d'uva è invece prodotta dalla distillazione del fermentato d'uva, cioè dal mosto appena fermentato. In questo caso specifico, l'uva viene considerata - giustamente - alla stregua di qualsiasi altro frutto impiegato per la produzione di distillati di frutta. Nonostante la grappa sia un'acquavite, questa non può essere mai definita come acquavite d'uva, proprio a causa delle diversità di produzione dei due distillati. La grappa può essere invece correttamente definita acquavite di vinaccia.



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