Qualche tempo fa mi è capitato, come tante altre volte, di visitare una cantina
e di intrattenermi con il proprietario a parlare di vino, di come lo produce,
delle sue scelte enologiche e viticolturali, del modo con il quale
commercializza i frutti dei suoi vigneti. È sempre interessante visitare cantine
- ma soprattutto i vigneti - guardare il suolo, ammirare il panorama e come la
vite si esprime in quel contesto. Si parla del territorio, di comprenderlo prima
ancora di incontrarlo nel calice, del rapporto del produttore con la sua terra e
con le sue uve, la sua visione di fare vino. Argomenti tutti interessantissimi e
avvincenti, carichi della passione di un lavoro e di una cultura antica che si
rinnovano con l'arrivo di ogni nuova stagione. Si assaggia in cantina, si spilla
vino giovane dalle vasche e dalle botti, spesso infante, immaturo e acerbo ma
già carico di strepitose promesse. Si stappano bottiglie, si susseguono i
calici, si parla, si annusa, si assaggia e si discute, si esprimono opinioni e
pareri, tutti sul vino, quel vino.
Argomento strettamente legato al vino, almeno per chi lo produce e di questa
attività ne ha fatto anche un'impresa - che comprensibilmente necessita di
procurare profitti - è la commercializzazione. Si parla di prezzi, si chiedono
opinioni sul prezzo che si è disposti a pagare per quella o quell'altra
bottiglia. Si parla anche di come posizionare sul mercato un vino e come
comunicare al consumatore quel vino. Un tempo considerato erroneamente da molti
come un fattore marginale, oggi anche i produttori più piccoli e modesti,
comprendono la fondamentale strategia della comunicazione per il successo del
loro lavoro. E per comunicazione non si intende solamente quello che si scrive
nel materiale promozionale, negli opuscoli e nei pieghevoli
pubblicitari o nelle etichette. Si intende anche l'immagine, di come si presenta
visivamente un prodotto, in altre parole, dal tipo di abito scelto per
vestire un vino. Sembra banale, eppure spesso determina il successo del
lavoro di un intero anno.
Dopo alcune bottiglie, questo produttore mi presenta quello che è fra i suoi
vini più rappresentativi: stappa la bottiglia e ne versa il contenuto nel mio
calice. Osservo il calice, lo annuso e infine lo assaggio, sotto l'attento
sguardo di questo produttore intento a scorgere nelle mie reazioni e nella mia
gestualità quello che potrebbe essere il mio giudizio su quel vino. «Allora?
Come trovi questo vino?», mi chiede. «Ottimo, come sempre. Qui l'annata 2006
regala un'eleganza ancor più affascinante», rispondo. Sorride compiaciuto ma poi
si fa subito serio: «Eppure, contrariamente al passato, quest'anno faccio molta
fatica a vendere questo vino». Sarà la crisi economica di questi anni - penso -
oppure ha cambiato distributore, forse meno capace rispetto al precedente. Mi
conferma che la crisi di certo non aiuta e che il distributore è esattamente lo
stesso da anni. Confessa però che è cambiata la bottiglia, una necessità imposta
dal rinnovo della linea di imbottigliamento.
Molti, probabilmente, penseranno che questo produttore abbia iniziato a
imbottigliare il suo ottimo vino in bottiglie con il tappo a vite o altro
sistema alternativo, abbandonando il sughero. Niente di tutto questo: il tappo
di sughero è ancora li. Ciò che è invece è cambiato è il tipo di bottiglia.
Questo vino è stato imbottigliato per anni in bottiglie di stile bordolese,
quelle che tecnicamente si definiscono a spalla alta e che si distinguono dalle
bordolesi normali per essere più alte di circa due centimetri e,
generalmente, di vetro più spesso. Per il resto, tutto come prima: stessa
etichetta, stesso sughero, stessa capsula, stesso prezzo. «Com'è possibile che
il passaggio dalla bordolese a spalla alta a quella a spalla bassa abbia
provocato un calo delle vendite?» - gli chiedo - «Deve esserci sicuramente
dell'altro». Il produttore alza sconsolato le spalle e dice che questo è quello
che gli è stato riferito dal distributore, riportando le impressioni dei loro
clienti ristoratori e delle enoteche.
La saggezza popolare ci ricorda che L'abito non fa il monaco, eppure in
questo caso sembrerebbe che è proprio l'abito a fare il monaco. Di certo viviamo
in tempi piuttosto bizzarri, la nostra società ha attribuito all'apparenza
un valore esagerato ed esasperato, annullando tragicamente il merito. E questo
vale anche per il vino, non c'è dubbio. La vista di una bottiglia alta e
imponente fa pensare a un vino di migliore qualità; una bottiglia più bassa, a
un vino minore e di minore pregio. In fin dei conti, va da sé, è ciò che il
produttore mette in quella bottiglia a fare grande un vino, non certo come lo
presenta. Quello che è accaduto a questo produttore non è comunque un caso
isolato. Più volte mi è capitato di ascoltare il rimpianto di produttori che
lamentavano un calo di vendite in seguito al cambiamento di un dettaglio
estetico o funzionale della bottiglia.
Ovvio che cambiamenti simili non significano sempre un sostanziale cambiamento
in negativo sull'andamento delle vendite, ma è interessante notare questo tipo
di reazione da parte dei consumatori. Ad onore del vero, ci sono anche
produttori che hanno visto aumentare in modo significativo le vendite di un vino
in seguito al totale cambiamento dell'etichetta e della bottiglia. Mentre è
comprensibile che il cambiamento dell'etichetta può disorientare in modo
evidente il consumatore, l'altezza della bottiglia - non la sua forma - dovrebbe
influire di meno. Il cambiamento di un dettaglio nel vestito di un vino non
disorienta e non allontana i consumatori affezionati a quel determinato vino:
questi lo comperano per il contenuto della bottiglia e non per come si presenta.
Ma è anche vero che la bottiglia, in sé, quando è esposta in uno scaffale di un
negozio, deve competere con le altre così da guadagnarsi la preferenza del
consumatore. E si sa, l'occhio vuole la sua parte, ma accontentarsi solo di come
si presenta la bottiglia, non è proprio una gran bella parte.
Antonello Biancalana
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