L'Italia è un grande Paese, quanto meno, se lo valutiamo per le sue risorse
agroalimentari, la sua arte, cultura, storia, monumenti e tradizioni. Chi ci ha
preceduto, grazie anche al privilegio che madre Natura ha concesso alle nostre
terre e al genio della nostra gente, ha lasciato testimonianze immense,
altissimi e nobili esempi di civiltà e cultura. Esempi così alti e nobili che
hanno avuto il potere di influire e cambiare il corso delle cose e della storia
anche in Europa e nel mondo. Basti pensare alle tante espressioni artistiche
che i figli del nostro Paese hanno saputo esprimere nei secoli, così come gli
esempi culturali e sociali che hanno così fortemente segnato la storia
dell'umanità nei secoli scorsi. Segni inequivocabili che ancora oggi hanno la
stessa potenza, la stessa bellezza, la stessa immutata e profonda cultura. Un
patrimonio immenso che, nel bene e nel male, è giunto fino a noi con la
responsabilità morale di conservarlo e lasciarlo alla ricchezza dei posteri.
Gli italiani di questi tempi - a me pare fin troppo evidente - non sono così
consapevoli di questa responsabilità e del patrimonio che hanno il dovere di
mantenere, merito di chi ci ha preceduto e ha voluto consegnarci un dono
immenso. Non è facile trovare un altro luogo del mondo con così tante
testimonianze storiche e artistiche, così tante da sembrare ovvie e scontate,
un'abitudine come tante, dimenticando che si tratta di un patrimonio unico e
irripetibile. Ce ne ricordiamo solo quando andiamo all'estero facendo esercizio
di vanità nell'intento di sostenere la nostra identità di italiani. Poi,
tornati in Patria, torniamo a dimenticarcene, anzi, siamo noncuranti del nostro
patrimonio tanto che alcuni di questi - ed è una tristissima tragedia - a causa
dell'incuria rischiano di scomparire per sempre. Solo in quel momento riusciamo
a mostrare un certo disappunto, mostriamo la rabbia di un orgoglio di comodo e
solo quando è troppo tardi per rimediare alle nostre leggerezze. Se il rimedio
è possibile, in genere il prezzo da pagare è enorme, puntualmente la colpa è
sempre degli altri o di qualcos'altro. Chi è causa del suo male, pianga
sé stesso, recita un noto e saggio proverbio.
Molti si staranno chiedendo cosa c'entri tutto questo con il vino. A parte il
fatto che anche il vino - il nostro vino - è innegabilmente patrimonio e
ricchezza culturale di questo Paese, per certi aspetti, la sua storia non è
così diversa dal resto delle nostre risorse uniche. Il nostro patrimonio, dal
punto di vista ampelografico ed enologico è, a dir poco, imponente e
sfarzosamente ricco, come in nessun altro paese del mondo. Non intendo
ovviamente sostenere che il vino italiano è il migliore del mondo poiché, sono
fermamente convinto, ogni paese vinicolo ha qualcosa di unico e irripetibile
da offrire. Questo vale per il vino, per la cucina e per qualunque altro
aspetto della cultura e della tradizione di ogni luogo del mondo, senza
eccezione alcuna. Del resto, come si dice, la differenza è una grande ricchezza
e questo vale anche per il vino, senza dubbio.
Secondo il Registro Nazionale delle Varietà di Vite, disponibile anche nel sito
WEB del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il numero
di varietà di uve da vino censite nel nostro Paese è attualmente 475.
Quattrocentosettantacinque! Questo numero, va detto, include tutte le varietà
coltivate nel nostro Paese, pertanto si compone di uve autoctone e alloctone,
le cosiddette internazionali. Si tratta di un patrimonio enorme, una
straordinaria ricchezza generosamente distribuita in tutto il territorio, in
ogni regione, in ogni luogo. Quello che rende ancor più incredibile questa
condizione è che ogni regione, ogni luogo, possiede varietà autoctone e che,
spesso, sono presenti solo in quelle terre. Va detto, a onore del vero, che in
ogni regione sono comunque ben presenti molte delle varietà internazionali e
che spesso si uniscono a quelle autoctone.
La ricchezza del patrimonio ampelografico d'Italia mi fa pensare a quello che
accade con l'enorme patrimonio storico, artistico e culturale del nostro Paese.
Queste uve - nello specifico, le uve autoctone - presenti nel nostro Paese
da tempo immemore e per lungo tempo ignorate, addirittura denigrate, in diverse
occasioni hanno seriamente corso il rischio di scomparire per sempre. Per
molto tempo questo patrimonio è stato ignorato in favore di varietà alloctone,
considerate migliori - e molte di loro sono certamente grandissime uve -
convinti che il segreto di un buon vino fosse l'uva. Ci sono voluti illuminati
e caparbi personaggi che, in modo assolutamente rivoluzionario, hanno creduto
in quello che le loro terre da sempre offrivano. Alcune varietà italiane sono
oggi considerate giganti dell'enologia anche a livello mondiale, altre sono
ancora da scoprire e da rivalutare, piccole perle in attesa di essere
lucidate così da rivelare tutto il loro splendore.
Questo, del resto, è già accaduto e fare un elenco delle varietà autoctone
italiane che sono arrivate a scalare la vetta dell'Olimpo di Bacco sarebbe
piuttosto lungo. Il celebre adagio latino nemo profeta in patria - che
sembra appropriato in questo caso - suggerisce che ci siano ancora varietà
autoctone in attesa di essere ascoltate e valorizzate per le loro qualità
enologiche. Quattrocentosettantacinque varietà non sono poche e di certo molte
di queste avrebbero straordinarie storie da raccontare, restituendo loro quella
dignità che già molte di loro hanno espresso grazie a caparbi vignaioli. I
tempi sono cambiati, non c'è dubbio, e se un tempo si guardava alle uve
internazionali come la soluzione, oggi quel ruolo è principalmente assegnato
alle varietà autoctone. Con un'unica e incrollabile certezza: il patrimonio
ampelografico d'Italia è una straordinaria ricchezza che merita di essere
valorizzata e compresa. Compresa, soprattutto.
Antonello Biancalana
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