Gli italiani lo fanno meglio, non c'è dubbio. Il vino, ovviamente! In una terra
dove il vino ha accompagnato la storia e le tradizioni della sua gente, questo
potrebbe essere anche normale. Quanto meno per il vantaggio di una lunga
esperienza dalla quale imparare sempre, fonte di nuovi suggerimenti e idee.
Eppure, nonostante il vino abbia vissuto una lunga storia in Italia, il passato
del bel paese - dal punto di vista enologico - non è stato sempre
splendente e nei calici molto spesso finivano vini di qualità piuttosto
discutibile. Strano ma vero, venti anni fa - come molti sanno - trovare un vino
degno di qualità in Italia era piuttosto difficile: il paese sembrava essere
sommerso da un oceano di vino che nella maggioranza dei casi si poteva definire,
al massimo, mediocre. C'erano poi straordinarie eccezioni, cantine e
produttori che avevano ben chiaro il concetto di qualità e per il quale erano
pronti a dare tutto, produttori e cantine che hanno fatto la storia enologica
d'Italia e che ancora oggi sono uno straordinario punto di riferimento per
tutti.
La storia recente del vino italiano non è stata ovviamente scritta solo dagli
storici produttori di qualità: negli ultimi anni sono stati molti i produttori -
spesso di giovane età - che hanno cavalcato il sogno di produrre un grande vino,
e molti di loro ci sono anche riusciti. Per compiere il miracolo del vino
italiano è stato necessario acquisire una nuova cultura e un nuovo rapporto con
il vino, soprattutto, una nuova mentalità commerciale ed enologica. Per anni il
vino in Italia era visto, nella maggioranza dei casi, come un prodotto che si
esprimeva unicamente nelle quantità: più ce n'era è meglio era. Questo concetto
- che trae le sue origini dal mondo contadino di un tempo, dove la sopravvivenza
era un problema piuttosto serio e non sempre si riusciva a mettere qualcosa di
sostanzioso nel piatto e nel bicchiere - il vino era considerato alla stregua
del cibo, pertanto si badava più alla quantità, mentre la qualità era
semplicemente un fattore marginale, o quanto meno, non indispensabile.
Ovviamente il vino buono piaceva anche a quei tempi e a quella gente, non è
certamente una questione di gusto rozzo, semplicemente si trattava di una
questione di necessità. Questo concetto è stato poi acquisito - per cultura e
per abitudine - da gran parte dei produttori di vino e che per anni hanno
continuato a produrre vino in quantità, con scarsa o poca attenzione per la
qualità. È stato necessario un cambio generazionale, nuove idee e, soprattutto,
un nuovo approccio e rapporto con il vino e con il modo di fare un prodotto
commerciale. Il vino è uscito dal suo ruolo di bevanda-alimento, complice anche
il benessere dei tempi moderni, assumendo il ruolo di bevanda
elitaria e non più indispensabile per il sostentamento, espressione di
una cultura a volte ricca di atteggiamenti snob, principalmente tesa
al concetto del poco ma buono. In realtà, questo ruolo il vino lo ha sempre
svolto, con l'unico difetto che la cultura della qualità era qualcosa che
solo le classi benestanti si potevano permettere.
Mentre nell'altro grande paese vinicolo del mondo - la Francia - il concetto di
qualità è stato da sempre un presupposto fondamentale e identificativo del vino,
in Italia questa caratteristica è stata spesso lasciata da parte, sia per
ragioni sociali, sia per ragioni politiche e storiche. In un contesto
commerciale che si sviluppa sempre più a livello internazionale e nella
competizione con produttori di altri paesi, la sopravvivenza del profitto è
spesso garantita dalla qualità, sempre per chi può permettersela. In Italia è
stato quindi necessario rivedere completamente la mentalità legata alla
produzione del vino e all'acquisizione di nuove tecnologie e pratiche enologiche
moderne, quasi totalmente importate dalla vicina Francia, da sempre modello di
qualità enologica per ogni paese del mondo. Oggi, dopo oltre venti anni di
rivoluzione enologica, la qualità del vino italiano ha toccato vette
altissime, certamente capace di competere ad armi pari con il vino francese,
spesso superandolo pure.
Gli italiani lo fanno meglio, senza ombra di dubbio, molto meglio degli anni
passati, tanto che il vino che si produce oggi in molte cantine non assomiglia
nemmeno lontanamente agli stessi loro prodotti del passato. E gli italiano lo
fanno certamente meglio di tanti altri: anche su questo non c'è il minimo
dubbio. Anche rispetto agli anni passati, l'attenzione dei produttori è
finalmente e fortemente concentrata sulle uve autoctone, tanto che le varietà
meno note e minori cominciano finalmente ad emergere, anche grazie a
criteri di produzione di qualità. Ed è proprio sulle uve autoctone che i
produttori italiani dovrebbero mostrare al mondo le potenzialità dell'immenso
patrimonio ampelografico, una ricchezza che non ha pari in nessun altro paese.
Continuare a concentrarsi sulle solite uve note che dalla Francia si sono
diffuse ovunque nel mondo, significa scontrarsi con una concorrenza agguerrita e
di massa, senza dimenticare che - guarda caso - i migliori Merlot, Cabernet
Sauvignon e Chardonnay, tanto per citare le uve internazionali più famose,
provengono appunto dalla Francia.
Ma non ci si deve nemmeno cullare sugli allori, come spesso accade agli
italiani che si credono sempre più furbi del resto del mondo, poiché anche
il mondo non resta li a guardare. Paesi che un tempo si ritenevano totalmente
incapaci di produrre vini, o dove si producevano - al massimo - vini scadenti,
stanno facendo passi da gigante, stanno acquisendo tecnologie e conoscenze,
ottenendo ogni anno risultati sempre più convincenti e competitivi. Per certi
aspetti, questi paesi stanno ripercorrendo la strada che già l'Italia ha
percorso trenta anni fa, affidandosi prevalentemente a varietà internazionali e
famose, tuttavia non devono pagare il prezzo che l'Italia ha pagato sostituendo
le proprie varietà autoctone con le uve che promettevano miracoli. A causa di
questa scelta, l'Italia oggi paga un altro prezzo, cambiando rotta - più o meno
decisamente - tornando a impiantare vigneti di varietà locali, oggi rivalutate
dalle tecnologie enologiche e dall'esperienza che ha consentito di comprendere
gli errori di un tempo. Quanto meno, si è compreso che l'uva non è l'unica cosa
- seppure fondamentale - per fare vino di qualità. Viva il vino italiano,
quindi, ma ricordiamoci anche che gli altri non stanno fermi e continuano a
guardare e a guardarci. E talvolta riescono a fare anche meglio di noi.
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