Cultura e Informazione Enologica dal 2002 - Anno XXII
×
Prima Pagina Eventi Guida dei Vini Vino del Giorno Aquavitae Guida ai Luoghi del Vino Podcast Sondaggi EnoGiochi EnoForum Il Servizio del Vino Alcol Test
DiWineTaste in Twitter DiWineTaste in Instagram DiWineTaste Mobile per Android DiWineTaste Mobile per iOS Diventa Utente Registrato Abbonati alla Mailing List Segnala DiWineTaste a un Amico Scarica la DiWineTaste Card
Chi Siamo Scrivici Arretrati Pubblicità Indice Generale
Informativa sulla Riservatezza
 
☰ Menu


   Condividi questo articolo     Sommario della rubrica Editoriale Gusto DiVino 
  Editoriale Numero 64, Giugno 2008   
Lambrusco? Perché no?Lambrusco? Perché no?  Sommario 
Numero 63, Maggio 2008 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 65, Estate 2008

Lambrusco? Perché no?


 L'Italia enologica vanta un patrimonio unico al mondo, un patrimonio fatto di centinaia di uve autoctone che da secoli colorano i vigneti del Bel Paese. Non sempre queste uve indigene hanno goduto del favore dei produttori. Nonostante si cerchi da qualche anno la rivalutazione di queste varietà, ancora oggi sono molti i produttori che si affidano alle uve da tempo considerate alloctone, prevalentemente di origine francese, che utilizzano sia in purezza sia miscelate alle uve del proprio territorio. Sarà pure per un fatto di “moda” - o più semplicemente per un fatto commerciale - ma se si considerano i vini prodotti attualmente in Italia, molti di questi prevedono l'uso di uve “internazionali”. Inutile negarlo: nomi come Merlot, Chardonnay, Sauvignon Blanc e Cabernet Sauvignon - tanto per citare alcuni degli esempi più comuni - esercitano un certo fascino nei consumatori e nella psicologia dei sensi, inutile negarlo, spesso rappresentano la chiave vincente per il successo commerciale.


 

 Le uve autoctone italiane sono quindi poco adatte a fare vini commerciabili e interessanti per i consumatori? Certamente no. Ci sono così tanti esempi in Italia - dalla Valle d'Aosta alla Sicilia - di eccellenti vini che possono testimoniare l'eccellenza delle varietà autoctone d'Italia. Tuttavia, fra le tante uve indigene del Bel Paese, esistono innegabilmente posizioni di privilegio, uve autoctone che godono di una fama elevata, mentre altre - e spesso ingiustamente - sono relegate al ruolo di brutto anatroccolo, di uve adatte solamente a produrre vini “ordinari” e di scarso interesse enologico. Questa considerazione è, ovviamente, molto discutibile. Quante uve secondarie e di scarso interesse enologico sono state trasformate in autentici attori protagonisti per opera di enologi “visionari” e produttori “testardi”, affidandosi - in primis - al criterio della qualità e ottenendo risultati strepitosi? La qualità. Una parola che può fare la differenza in ogni cosa, vino compreso.

 Va anche detto - ad onore del vero - che molte uve autoctone, certamente troppe, sono state letteralmente svilite, persino abusate, solo con lo scopo di produrre vini di bassa qualità, tutto all'insegna della quantità e della produzione di massa: più ce n'è, più se ne può vendere. A causa di questo atteggiamento puramente speculativo, molte uve non hanno mai conosciuto il criterio di qualità, favorendo lo sviluppo di una cultura denigratoria verso queste uve, portando inevitabilmente a pensare che “certe” uve siano adatte unicamente a fare pessimo vino. Le uve autoctone italiane ingiustamente considerate “minori” sia dai consumatori sia dall'industria enologica sono tante, condannate ingiustamente al ruolo di Cenerentola senza alcuna speranza di potere dimostrare il loro reale valore. Fra le tante uve che si potrebbero portare ad esempio, una in particolare è da anni considerata uva minore e che ultimamente - per fortuna - alcuni produttori stanno cercando di rivalutare: il Lambrusco.

 Immaginiamo che molti dei nostri lettori, leggendo il nome “Lambrusco”, pensino a vini molto ordinari, talvolta esageratamente frizzanti e con un sapore marcatamente dolce, qualcosa da considerare come un vino senza speranza e che mai potrà esprimere qualità e stupore. Vero, ed è inutile negarlo: la maggioranza dei vini prodotti con uve Lambrusco non ispira certamente a pensieri di qualità o a qualcosa capace di esprimere qualità. Ma è anche vero che la generalizzazione porta unicamente alla nascita di pregiudizi e non consente di comprendere le cose, spesso allontana anche dal tentativo di volere comprendere. Se è vero che la maggioranza dei Lambrusco non rende certamente giustizia a quest'uva, va anche detto che ci sono produttori che hanno ottenuto risultati eccellenti, dimostrando che anche il Lambrusco è capace di grandi cose, esattamente come tante altre uve. E quando la qualità incontra il Lambrusco, il risultato è sorprendente, tanto da fare dimenticare in un attimo quell'oceano di Lambrusco poco rappresentativo e che di certo non rende onore a quest'uva.

 Il Lambrusco - e con questo intendiamo tutte le varietà di uve Lambrusco - non è un'uva minore e certamente merita molto più di quello che troppo spesso si trova nelle bottiglie. Probabilmente il fatto che la quasi totalità del Lambrusco sia prodotto nello stile frizzante, non aiuta a rivalutare quest'uva. Infatti, se è vero che le bollicine siano considerate nobili negli spumanti - in particolare nei “metodo classico” - diventano per niente nobili quando si parla di vini frizzanti. Complice anche i metodi “discutibili” utilizzati per la produzione di vini frizzanti di scarsa qualità, il fatto che il Lambrusco sia “frizzante” non aiuta a sostenere la sua causa. Frizzante, dolce o secco che sia, il Lambrusco - per opera di alcuni lodevoli produttori - sta dimostrando che è capace di produrre vini di ottima qualità. In effetti, l'uva Lambrusco ha tutto quello che serve per produrre un ottimo vino, anche se la tradizione della sua terra lo vuole sempre brusco, cioè frizzante.

 Anche l'etimologia sembrerebbe, secondo alcune teorie, legare il Lambrusco alle bollicine. Il nome Lambrusco potrebbe infatti derivare dal latino Lab, che significa labbro, e ruscus, cioè qualcosa che punge il palato - quindi frizzante - termine dal quale deriva anche brusco. Un'altra teoria ritiene che Lambrusco derivi dal latino Labrum, cioè margine, poiché era una vite cresceva spontaneamente e tipicamente ai margini di un campo - quindi una specie selvatica - cioè in quelle parti meno dedite alla coltivazione. Il Lambrusco è principalmente diffuso in Emilia Romagna - in particolare nelle provincie di Modena e Reggio Emilia - e in Lombardia, nella provincia di Mantova. Le più importanti varietà sono il Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa e Lambrusco Salamino, tuttavia la famiglia si completa con Lambrusco Marani, Lambrusco Maestri, Lambrusco Montericco e Lambrusco Viadanese, oltre alle meno conosciute Lambrusca di Alessandria, Lambrusco a foglia frastagliata e l'oramai scomparso Lambrusco Oliva. Ognuna di queste varietà, nelle tipiche zone di coltivazione, produce vini molto interessanti quando la qualità è il primario fattore, purtroppo raro e adottato da pochi produttori. Il Lambrusco è un'uva - e un vino - che va certamente compreso e riscoperto, capace di regalare belle emozioni al pari dei più blasonati vini. Lambrusco? Certamente sì! Produttori ed enologi, a voi la parola: vestite il Lambrusco della dignità che si merita!

 




   Condividi questo articolo     Sommario della rubrica Editoriale Gusto DiVino 
  Editoriale Numero 64, Giugno 2008   
Lambrusco? Perché no?Lambrusco? Perché no?  Sommario 
I Sondaggi di DiWineTaste
Come consideri la tua conoscenza del vino?


Risultato   Altri Sondaggi

 Condividi questo sondaggio   
Come scegli il vino da abbinare al cibo?


Risultato   Altri Sondaggi

 Condividi questo sondaggio   
Quale tipo di vino preferisci consumare nel mese di Aprile?


Risultato   Altri Sondaggi

 Condividi questo sondaggio   


☰ Menu

Informativa sulla Riservatezza

Scarica la tua DiWineTaste Card gratuita  :  Controlla il tuo Tasso Alcolemico  :  Segui DiWineTaste Segui DiWineTaste su Twitter Segui DiWineTaste su Instagram

Scarica DiWineTaste
Copyright © 2002-2024 Antonello Biancalana, DiWineTaste - Tutti i diritti riservati
Tutti i diritti riservati in accordo alle convenzioni internazionali sul copyright e sul diritto d'autore. Nessuna parte di questa pubblicazione e di questo sito WEB può essere riprodotta o utilizzata in qualsiasi forma e in nessun modo, elettronico o meccanico, senza il consenso scritto di DiWineTaste.