La domanda può sembrare stupida e forse lo è veramente: chiunque saprebbe
rispondere - senza esitazione - a un semplice quesito come questo. Con minore
esitazione saprebbero rispondere gli appassionati della bevanda di Bacco.
Nonostante l'apparente semplicità di una domanda simile, crediamo che la
risposta non sia così semplice, con molta probabilità questa è una domanda che
richiede diverse risposte e per nulla semplici. Il vino è una bevanda, e su
questo, probabilmente, siamo tutti d'accordo. Tuttavia non è una bevanda
qualunque: il vino ha svolto un ruolo culturale, tradizionale e, molto spesso,
rituale nelle società dove era prodotto e si continua a produrre. Ma il vino è
anche innegabilmente una bevanda popolare, indispensabile supporto della vita
delle campagne e delle aree dedite all'agricoltura, in quei luoghi dove da
sempre lo si è prodotto e che spesso rappresentava molto più di una semplice
bevanda, elevato addirittura a ruolo di alimento.
Oggi l'immagine del vino è cambiata radicalmente, probabilmente non ha mai
ricevuto così tante attenzioni in tutta la sua storia come in questi
tempi. Si parla di vino ovunque, fra amici, nei giornali, in televisione, alla
radio, nella pubblicità: il vino è ovunque. Non solo se ne parla: se ne fa un
argomento elitario, uno di quegli argomenti che conferiscono alle persone
una dignità più intelligente e raffinata. Probabilmente di vino se n'è
parlato anche a sproposito, spesso utilizzando linguaggi che hanno avuto come
risultato quello di allontanare la gente dal vino piuttosto che avvicinarla.
Certi termini e certe forme di linguaggio hanno innegabilmente contribuito a
fare credere che il vino fosse qualcosa di complicato, di
incomprensibile, tanto che spesso - leggendo certi commenti e certe espressioni
- pare si stia parlando di tutto tranne che di vino. Termini spocchiosi,
spesso ridicoli, hanno solamente confuso i consumatori, spesso facendoli
ridere di gusto.
La ragione di così tanto interesse è certamente legata a fattori culturali e
tradizionali, perfino di passione, ma è innegabile che uno dei fattori
principali responsabili di tanto interesse sia quello economico. Inutile girarci
intorno: nel mondo del vino ci sono interessi economici colossali - sia legati
alla produzione sia all'immagine - e pertanto è bene che questo interesse
rimanga vivo. Che ci sia interesse per il vino, ovvio, è qualcosa che qualunque
appassionato della bevanda di Bacco auspica, tuttavia, quando questo interesse
è, per così dire, inquinato, allora la cosa potrebbe anche diventare fastidiosa.
Esperti di ogni genere - o presunti tali - si affidano all'ostentazione di una
ingombrante saccenza, fatta di parole improbabili e ridicole che hanno come
unico risultato quello di allontanare la gente dal vino piuttosto che di
avvicinarla. Eppure il vino, nella sua innegabile complessità, ha come qualità
principale la semplicità dell'immediatezza che non ha nessuna pretesa se non
quella di regalare un'emozione o di soddisfare una necessità, a seconda dei
punti di vista e di ciò che si cerca in un vino.
A tale proposito, è pressoché impossibile resistere dalla tentazione di citare
il divertentissimo personaggio del sommelier ideato dal bravo attore comico
Antonio Albanese: un'intelligente caricatura nella quale si potrebbero
facilmente riconoscere gli atteggiamenti spocchiosi e ridicoli di molti
esperti. In questo senso, Antonio Albanese ha proprio colto nel segno,
seppure nella lecita esasperazione che il teatro concede quando si sottolineano
certi comportamenti e si vuole renderli ridicoli. Lungi dal criticare la
professionalità e l'importanza dei sommelier: il loro lavoro, quando svolto con
discrezione, competenza e, soprattutto, savoir-faire, è certamente
importante per la diffusione e la conoscenza del vino. Però è innegabile che
certi comportamenti altezzosi non fanno altro che rendere distanti e incerti
i consumatori che, al momento della scelta di un vino, nel timore di sbagliare o
di fare brutta figura, lo evitano indirizzandosi su altre bevande
semplici e che non hanno bisogno di tante complicazioni.
Che cos'è quindi il vino? Una bevanda che affonda le sue radici nella tradizione
e nella cultura, semplice e immediata, oppure una bevanda che si vuole rendere a
tutti i costi complicata e distante dalla gente? Sarà forse che per raccontare
un vino si devono necessariamente usare parole complicate, comportamenti al
limite del ridicolo e ostentare saccenza, che spesso è considerato
ingombrante e complicato? Il vino è certamente una bevanda
complessa, ma nella sua complessità può anche essere estremamente semplice:
dipende da cosa si cerca in un calice di vino. Una cosa è comunque certa: fino a
quando si farà del vino una bevanda complessa, dal punto di vista culturale e
informativo, la gente crederà di non essere all'altezza di comprenderlo e
quindi terrà il vino a una certa distanza, come qualcosa che distingue
chi lo apprezza - ma non chi ne abusa - senza mai avvicinarsi veramente.
Questo non deve comunque significare che il vino deve essere svilito o
banalizzato: l'effetto sarebbe ancora peggiore, aumentando - forse - l'abitudine
di farne un consumo sconsiderato ed eccessivo. Ma anche fare del vino una
bevanda elitaria, complicata per forza, non è la cosa migliore da fare.
Il vino è un patrimonio culturale e tradizionale dei luoghi dove da sempre è
presente nella vita della gente e, come tale, deve essere patrimonio di tutti,
non di pochi o di quelli che lo vogliono per forza trasformare in qualcosa di
diverso e che con il vino non ha nulla in comune. Le parole sono importanti,
hanno la funzione primaria di rendere comprensibile a tutti un concetto, non di
renderlo incomprensibile. Se qualcosa è incomprensibile diventa anche inutile:
nessuno sa cosa farsene di qualcosa che non comprende o non sa come usare. Può,
eventualmente, fare finta di capirlo o di usarlo, ma certamente non è la stessa
cosa e di certo questo non è utile alla diffusione della cultura enologica.
Perché il vino è cultura, perché il vino è semplicemente vino.
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