Da qualche tempo in Italia si è diffusa la notizia sulla possibilità di produrre
vino senza alcol o dealcolizzato, privato cioè di una parte di alcol. Questa
ipotesi, promossa e supportata da Francia e Spagna nelle Istituzioni dell'Unione
Europea, ha sollevato in Italia una lunga, e probabilmente inutile, serie di
polemiche tanto da fare scattare l'ennesimo allarme vino. Molti
sostengono che questa iniziativa sarebbe utile a limitare i nefasti e
preoccupanti effetti dell'alcol e della sua dipendenza, in particolare le
tragiche conseguenze delle azioni di sconsiderati soggetti che hanno l'abitudine
di bere troppo prima di mettersi alla guida di un veicolo. Certamente
ogni iniziativa rivolta alla prevenzione di atti così gravi e rischiosi per la
salute e l'incolumità della gente va sostenuta e divulgata. Siamo tuttavia
convinti che il rimedio più efficace sia una migliore cultura ed
educazione, qualcosa che spesso le Istituzioni dimenticano -
probabilmente per incapacità o per pigrizia - e si affidano unicamente al
divieto, confidando poi in un miracolo.
C'è inoltre chi sostiene che la produzione di vino senza alcol sia un segno di
libertà di scelta, un'ulteriore possibilità offerta ai consumatori e che
potrebbe portare alla creazione di un nuovo segmento di mercato. Su questo,
nulla da eccepire. Se ci sono consumatori che preferiscono consumare vino senza
alcol, perché negare loro questa possibilità? E non si tratta solo di essere
moralisti, è probabile che un vino come questo sia ben gradito alle
persone che per motivi di etica personale o di salute non possono consumare
bevande alcoliche. In questo senso, non c'è nulla di negativo nella possibilità
di offrire delle scelte: è un segno di civiltà e di libertà. Inoltre, è una
nuova possibilità per i produttori che in questo modo potrebbero aumentare i
loro profitti economici. Se uno preferisce consumare vino senza alcol è libero
di farlo, così come è libero il consumatore che preferisce e sceglie un vino
come da millenni lo si produce, cioè con l'alcol.
In virtù di questo, non si capisce davvero quale sia il problema. In molti
sostengono che questa iniziativa rappresenterebbe l'ennesimo attacco contro il
vino italiano, un palese tentativo di sofisticazione imposto per legge. In
realtà nessuno sta vietando all'Italia - così come a nessun altro paese - di
produrre vino come da sempre lo si produce, si sta solo pensando alla
possibilità di produrre un nuova bevanda che potrebbe soddisfare alcuni
consumatori. E se il problema della sofisticazione è davvero così sentito e
importante, perché allora non si rende il vino completamente trasparente
agli occhi dei consumatori, indicando nell'etichetta l'elenco di tutti gli
ingredienti e di tutti gli additivi chimici che si utilizzano durante il
processo di produzione? Il vino è innegabilmente il risultato di un processo
chimico, anche quando è prodotto con i più rigorosi e scrupolosi metodi
naturali. Ovviamente, non tutti i fenomeni chimici sono uguali e non
tutti sono spontanei o naturali.
Esistono diversi casi celebri di prodotti snaturati e che non hanno
minimamente alterato o minacciato la dignità e l'immagine di quelli
reali. Si guardi, per esempio, al caffè, al tè e alla birra. Da anni si
producono caffè e tè decaffeinati così come birra senza alcol, eppure il mercato
di questi prodotti non ne ha risentito affatto. Se uno desidera concedersi il
piacere di un caffè decaffeinato, nonostante questa scelta non sia condivisibile
da un purista, perché scandalizzarsi di questa scelta? Per non parlare
della birra. Nonostante si siano introdotte sul mercato birre analcoliche e
senza alcol, il consumo della bevanda di Cerere è ultimamente cresciuto,
arrivando quasi ad eguagliare quello del vino. Il gusto del caffè decaffeinato
non è uguale a quello del caffè normale, così come il gusto della birra
senza alcol non è uguale a quello della birra tradizionale: di fatto sono
prodotti simili ma comunque diversi.
Se davvero esiste un problema, a nostro avviso questo è rappresentato dal
concreto rischio della confusione. Soprattutto la confusione che ne deriverebbe
qualora il vino dealcolizzato sia commercializzato con il nome di vino. Il
vino deve essere vino: se si sceglie consapevolmente di consumare vino, deve
essere e rappresentare tutto quello che da millenni rappresenta, alcol compreso.
Perché se è vero che è giusto riconoscere il diritto di scelta di consumare un
vino senza alcol, parimenti va riconosciuto il diritto di consumare quello con
alcol. Questo nuovo prodotto non deve e non può chiamarsi vino. Se si vuole
creare una bevanda derivata dal vino, utilizzando un processo industriale capace
di eliminare o ridurre l'alcol prodotto dalla fermentazione del mosto d'uva,
questa non può chiamarsi vino. Soprattutto nel caso in cui si sostiene la
produzione di questa bevanda proprio per limitare gli effetti dell'alcol: per
evitare qualunque forma di confusione, non può e non deve chiamarsi vino.
Volete produrre una bevanda senza alcol derivata dal vino? Nessun problema, ma
non chiamatela vino!
Se consideriamo poi l'aspetto sensoriale e organolettico, è risaputo e fin
troppo evidente che l'alcol svolge un ruolo fondamentale sia nell'equilibrio del
vino sia nella percezione gustativa e tattile. Un vino senza alcol avrà
inevitabilmente un sapore e un profumo diverso dal vino reale, pertanto è un
prodotto diverso e come diverso va trattato e considerato. Sia chiaro, non
stiamo cercando di sostenere l'alcol e il suo consumo, ancor meno, il suo abuso.
Il consumo sconsiderato di bevande alcoliche - vino compreso - non può essere né
condiviso né supportato: da sempre siamo convinti che il miglior apprezzamento
del vino sia favorito dalla moderazione. E siamo anche contrari alle
speculazioni, soprattutto quando sono evidentemente adottate per confondere o
approfittarsi dei consumatori. Peggio ancora, quando sono utilizzate per
realizzare deplorevoli profitti commerciali. Fatevi pure la vostra bevanda senza
alcol derivata dal vino, ma lasciate che il vino rimanga sempre vino - con tutto
il suo alcol, la sua tradizione e cultura - perché è così che noi lo apprezziamo
e desideriamo apprezzarlo. Con moderazione, sempre.
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