Lo scorso agosto è entrata in vigore la cosiddetta nuova riforma europea OCM
(Organizzazione Comune di Mercato) e che riguarda, come noto, il mondo del vino.
Nonostante gli accesi dibattiti che questa riforma ha suscitato - in particolare
da parte dei principali paesi produttori di vino dell'Europa come Italia,
Francia e Spagna - la riforma è esecutiva e pertanto le leggi dei singoli paesi
dovranno recepire la nuova direttiva adattando o modificando le leggi nazionali
vigenti. Ovviamente anche l'Italia si dovrà adeguare a questa nuova riforma e
pertanto si dovrà procedere con i relativi cambiamenti e adattamenti. Sono stati
molti i punti stabiliti da questa riforma a suscitare perplessità nel mondo del
vino, fra questi la possibilità di aggiungere zucchero al mosto e la produzione
di vino dealcolizzato, cioè privato - per mezzo di apposite procedure -
dell'alcol.
Una riforma che - nelle parole del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari
e Forestali Luca Zaia - «non abbiamo condiviso, ma ereditato» e che pertanto
richiederà un adeguamento delle norme interne che regolano il settore
vitivinicolo ed enologico. Sono molti, nel mondo del vino Italiano, a sostenere
che l'Italia non ha fatto abbastanza, in sede comunitaria, per fare valere le
proprie ragioni e le proprie posizioni, contrariamente a quello che invece è
riuscita a fare la Francia, per esempio. Recriminazioni del giorno dopo a
parte, la riforma OCM è stata varata e pertanto ora rimane solamente una cosa da
fare e alla quale non ci si potrà sottrarre - tranne che per alcuni punti - cioè
procedere con il suo recepimento. Per questo motivo, verso la fine di
settembre, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha
reso noto la proposta per la modifica della Legge n° 164 del 10 febbraio 1992 -
in breve, legge 164/1992 - la legge che è alla base e regolamenta il settore
vitivinicolo ed enologico in Italia.
L'obiettivo del Ministero è quello di fare approvare la proposta di legge entro
sei mesi, periodo durante il quale si effettueranno gli opportuni incontri e
confronti con gli operatori del settore e le associazioni di categoria. La Legge
164/1992 regolamenta il sistema di qualità italiano, cioè stabilisce, fra l'altro,
i punti essenziali per la determinazione delle aree a Denominazione di Origine.
Questa legge, che ha certamente contribuito a sviluppare e migliorare la qualità
dei vini in Italia, è stata da sempre oggetto di critiche da parte di molti
produttori. Sono molti a sostenere che, seppure definisca i criteri basilari
della qualità secondo legge, in realtà consente interpretazioni piuttosto
ampie con la conseguenza di adattare i requisiti alle diverse circostanze e
produrre un vino perfettamente legale ma certamente lontano dal concetto di
qualità oggettiva. Come dire fatta la legge, trovato l'inganno.
Si ricorderà, ancora oggi, la scelta di certi produttori che, vedendo i propri
vini equiparati ad altri di evidente inferiorità qualitativa, ma appartenenti
alla stessa categoria di qualità definita per legge, declassarono i loro
vini a un livello di qualità legale inferiore. Molti produttori in passato
decisero infatti di escludere i propri vini dalle categorie DOC (Denominazione
d'Origine Controllata) e DOCG (Denominazione d'Origine Controllata e Garantita)
e includerli nella più generica e, dal punto di vista legale, inferiore IGT
(Indicazione Geografica Tipica). Addirittura, alcuni scelsero per i propri vini
la definizione più bassa e generica del sistema di qualità italiano: Vino da
Tavola. Difficile non essere d'accordo con questi produttori: a guardare i
risultati che la legge consente di ottenere, è spesso imbarazzante
confrontare alcuni vini che hanno titolo legale di appartenere a una certa
denominazione con altri vini analoghi e appartenenti alla stessa denominazione.
Intendiamoci, questo non è un atteggiamento contrario e disfattista contro
l'Italia e la sua legge sul vino, è semplicemente una constatazione dimostrata
dai fatti. E va inoltre detto che in altri paesi le cose, in merito alla
regolamentazione e alla produzione di vino, sono certamente peggiori rispetto
all'Italia: in certi paesi le leggi che regolano la produzione di vino sono -
nella migliore delle ipotesi - inutili, permissive e vaghe. Questo però non
significa che le cose non si possano migliorare nel reale interesse della
qualità, non da ultimo dei consumatori (che, non dimentichiamolo, sono quelli
che fanno realmente il mercato) anziché favorire chiaramente gli interessi
commerciali ed economici dei produttori e delle corporazioni, interessi che sono
certamente legittimi e comprensibili. Se guardiamo oggi l'elenco dei vini e
delle aree che hanno diritto alle denominazioni di qualità (41 DOCG, 316 DOC,
120 IGT) molte di queste sono piuttosto discutibili, facendo pensare a un
riconoscimento determinato da desolanti logiche politiche e speculative,
piuttosto che basato sulla reale qualità del territorio e dei suoi vini.
Che si debbano tutelare le tradizioni e le tipicità enologiche dell'Italia, su
questo, siamo tutti d'accordo. Ogni regione, ogni più piccola zona di questo
paese può vantare tradizioni e tipicità in fatto di vino e di produzioni
agricole. Questo però non significa che ogni tradizione e ogni tipicità esprime
implicitamente qualità. Anche perché la qualità - come la moralità e la legalità
- è, prima di tutto, un presupposto coscientemente adottato da chi intende
perseguirla, il risultato e la consapevolezza di una cultura. Una legge, di per
sé, non potrà mai stabilire una reale qualità, ma può certamente definire i
fattori fondamentali che devono essere rispettati per ottenerla. Nei prossimi
mesi l'Italia dovrà adeguare la propria legge sul vino alla nuova riforma OCM e
- come detto - è stata già rilasciata una proposta di modifica della legge.
Siamo certi che il Ministero delle Politiche Agricole lavorerà nell'interesse
per la tutela dell'Italia e dei suoi vini. Ma visto che ci sono, perché non
rendere la legge e i vari disciplinari di produzione più concreti e meno vaghi,
limitando le possibilità che i soliti quattro furbi usano per speculare
sulle denominazioni a danno di tutti? Anche questo significa lavorare per la
qualità, per la tutela delle tradizioni e della tipicità, concetti tanto cari
agli italiani, spesso solo nelle parole e non nei fatti.
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