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  Editoriale Numero 176, Settembre 2018   
La Bellezza della Degustazione SensorialeLa Bellezza della Degustazione Sensoriale  Sommario 
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La Bellezza della Degustazione Sensoriale


 Tutto è iniziato con il mio interesse per la filosofia antica cinese e la pratica delle arti marziali, il Méi Huā Quán e il Tài Jí Quán. A quei tempi, in Italia e comunque nel cosiddetto mondo occidentale, qualunque arte marziale cinese era semplicemente e genericamente detta Kung Fu (più propriamente, Gōng Fu), anche se sarebbe stato più corretto dire Wŭ Shù. In modo più specifico, tutto è iniziato con il mio interesse e passione per il tè. Le pregiate foglioline della Camellia Sinensis, infatti, sono citate in molti libri e scritti dell'antica Cina, una pianta – e una bevanda – che hanno segnato profondamente la cultura e la filosofia di quelle terre e della sua gente, arti marziali comprese. Io, in continua ricerca di quello che, in fatto di tè, il mio Paese, l'Italia, non avrebbe mai potuto offrirmi – siamo nella prima metà degli anni 1980 – ero costretto a cercare altrove per soddisfare la mia sete di conoscenza sul tè.


 

 Non c'era ancora Internet – o meglio, la celebre rete telematica esisteva già da anni, ma non era ancora il fenomeno di massa che è diventato oggi – pertanto stabilire e reperire contatti non era esattamente semplice o alla portata di un click. Non restava che usare il telefono e spedire lettere ovunque nel mondo – tante, tantissime lettere – e sperare che qualcuno rispondesse. Vi chiederete, probabilmente, cosa c'entrino la filosofia antica cinese, le arti marziali e il tè con il vino. Di certo, per la maggioranza, non c'entrano nulla o poco, per me, in verità, molto. Perché è stato grazie al mio spasmodico interesse per il tè – la continua ricerca e degustazione di tè sempre più pregiati e rari – a educarmi all'analisi sensoriale. Una disciplina che richiede – fra le tante – dedizione, studio, passione, rigore, metodo, concentrazione, pratica infinita: esattamente come il Wŭ Shù o qualunque altra arte marziale, senza distinzione alcuna.

 La degustazione sensoriale del tè è – per molti aspetti – più complessa e vasta di quella del vino poiché introduce elementi del tutto estranei alla bevanda di Bacco. Non è mia intenzione sminuire la grandezza del vino – nella sua interezza e per tutto quello che rappresenta – poiché la sua degustazione sensoriale non è evidentemente né banale né semplice, tuttavia ritengo il tè sia decisamente più complesso. Ammetto, comunque, che gli anni trascorsi a praticare e studiare la degustazione sensoriale del tè hanno determinato enormemente il modo con il quale degusto il vino. Lo stesso posso dire per tutte le altre cose che sono parte dei miei interessi sensoriali, fra questi birra, caffè, olio extravergine d'oliva, formaggi, distillati, cibo e cucina, più in generale, la vita così come i sensi che sono la vita e fanno vivere la vita. Un viaggio infinito che concede l'effimera illusione della conoscenza e nella quale, in realtà, si camuffa sempre e abilmente una crescente, desolante e incolmabile ignoranza, il più delle volte resa invisibile da un insospettabile, sciocco e patetico orgoglio.

 La degustazione sensoriale – del vino, di qualunque altra cosa capace di stimolare emozioni e sensi – determina fortemente ciò che si percepisce in modo più o meno consapevole e cosa rappresenta per noi stessi nel profondo. Si tratta evidentemente di una scelta – consapevole o meno – che determina chiaramente il modo con il quale ci confrontiamo o ascoltiamo il vino e le cose. Sono consapevole che non a tutti interessa ascoltare il vino o le cose – del resto, è così squisitamente legato al proprio concetto di conoscenza e curiosità – e per alcuni la gratificazione di bere un calice è più che sufficiente. Così come per alcuni è sufficiente celebrare sé stessi attraverso il vino e quello che si vuole fargli raccontare o dire. Sono scelte, appunto, come quella, per così dire, di accontentarsi di poco. La degustazione sensoriale, ovviamente, non è una scienza esatta poiché inevitabilmente condizionata dal soggetto che la esegue, dalla sua capacità ed esperienza, sensibilità e allenamento dei propri sensi, attitudine psicologica e intellettuale, non da meno, cultura, memoria e talento. E onestà. L'onestà di ascoltare sinceramente i propri sensi senza permettere a stimoli e coinvolgimenti alieni di inquinarli.

 La degustazione sensoriale è un viaggio verso la bellezza. Nel corso di questo viaggio, non sempre si fanno conoscenze che fanno pensare al “bello” – e mi riferisco, nello specifico, ai difetti – tuttavia è anche grazie a quello che si considera brutto se si arriva a una migliore comprensione del bello. Del resto, si può considerare qualcosa come buono o bello – vino compreso – quando lo si riconosce come tale. Questo presuppone, infatti, l'esercizio critico del confronto fra quello che è, o consideriamo, brutto e ciò che riteniamo bello. Senza la conoscenza o l'esistenza di quello che consideriamo brutto, non sarebbe possibile definire e riconoscere ciò che per noi è bello. In fin dei conti, un mondo fatto solamente di vini buoni sarebbe perfino noioso. Un'utopia, ovviamente, ma anche un'irrealizzabile perfezione poiché impossibile da realizzare in modo oggettivo proprio perché fortemente condizionata dalla percezione soggettiva di ognuno di noi. La bellezza è parte della cultura: per ognuno assume una forma di espressione distinta e diversa, pertanto non opinabile.

 La degustazione sensoriale è anche bellezza di un rito – una cerimonia – che si ripete sempre con la medesima suggestione e, per certi aspetti, mistero. Mi riferisco, ovviamente, alla degustazione sensoriale eseguita con il cosiddetto metodo “alla cieca”, cioè senza alcuna conoscenza preventiva di quello che si ha nel calice. Perché la bellezza della degustazione sensoriale è proprio questa: trovarsi di fronte uno sconosciuto ed essere costretti – per così dire – a guardarlo, osservarlo, ascoltarlo, comprenderlo e confrontarsi con esso, cercando di scoprire e cogliere i suoi segreti, la sua storia e quella di chi lo ha prodotto, la sua terra. Un'esperienza nella quale non si può mai essere superficiali: l'attenzione e la dedizione sono la chiave di tutto. È un viaggio senza fine e, probabilmente, senza ritorno, poiché quando si ascolta il vino attraverso la degustazione sensoriale, non si torna a guardarlo come prima. Anche questo è il bello della degustazione sensoriale: il racconto infinito di un libro senza tempo, nel quale ciò che conta realmente è l'emozione del nuovo che si rinnova, della bellezza di ritrovare il rassicurante senso che conduce a nuovi orizzonti. E vale per tutte le cose, non solo per il vino.

Antonello Biancalana



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