A distanza di anni – più di venti, oramai – c'è ancora un argomento che mi fa
riflettere tutte le volte qualcuno mi chiede un parere a riguardo. Spesso mi
fa pensare che intorno a questo argomento – la degustazione sensoriale e
analitica – insiste una confusione talvolta perfino disarmante. Mi rendo conto
che per certi appassionati di vino, per così dire, più o meno preparati,
assistere all'esercizio della degustazione sensoriale svolto da un degustatore
è un'esperienza al limite della stregoneria, affascinati dal fiume di
descrittori che sono elencati durante l'analisi del contenuto del calice. Il
degustatore, o presunto tale, è spesso visto e considerato come un individuo
speciale, dotato di chissà quali poteri sovrannaturali, capace di raccontare
qualunque segreto di un vino e, apparentemente, con disinvolta leggerezza e
senza sforzo alcuno. Per molti, inoltre, rasenta il trascendente vedere
qualcuno che, perfino con spocchiosa sicumera, afferma di percepire dal calice
suadenti effluvi che vanno dalla pesca alla mirra, come se stesse celebrando un
rito riservato o concesso a pochi eletti.
La cosa che mi fa riflettere maggiormente, in ogni caso, è la perplessità
mostrata da alcuni circa l'utilità della degustazione sensoriale e analitica,
cioè – per semplificare le cose – a cosa serve realmente concentrarsi così
tanto sulla percezione qualitativa dei profumi o le sensazioni gustative di un
vino. Tutte le volte, comunque, arrivo alla stessa conclusione: per tutti
l'utilità della degustazione sensoriale – oltre a permettere di fare
bella figura con gli amici – è quella di riuscire a snocciolare con
sicurezza un elenco di descrittori strabilianti e indiscutibili. Nessuno,
invece, si sofferma su quello che per me è di gran lunga più utile e, credo,
difficile: l'analisi dei difetti, cioè l'aspetto maggiormente critico e
fondamentale per definire la qualità di un vino. Inoltre, molti sono convinti
che per diventare bravi degustatori sia molto importante assaggiare vini
costosissimi, presumendo, quindi che questi siano anche molto buoni oltre che
impeccabili.
Personalmente, invece, ritengo che per diventare bravi degustatori sia molto
più importante – aggiungerei, fondamentale – assaggiare vini cattivi, quelli
che hanno difetti, soprattutto quando sono presenti in forma lieve e subdola.
Intendiamoci, assaggiare vini di qualità elevatissima è parimenti importante e
fondamentale poiché consentono di costruire un'educazione al riferimento di
qualità enologica oggettiva. Perché si deve anche aggiungere che un bravo
degustatore non può consentire al proprio gusto personale – che evidentemente
ha – di prevalere sul criterio oggettivo di qualità e attraverso questo
penalizzare i vini che non incontrano il suo gusto, pur tuttavia essendo
qualitativamente buoni. Se è vero che si riconosce un vino buono perché si
conosce il vino buono, è altrettanto vero – e forse ancor più vero – che si
riconosce un vino cattivo perché si sa cos'è un vino cattivo. In particolare,
si conoscono i criteri enologici che definiscono, tecnicamente,
organoletticamente e qualitativamente, sia i pregi sia i difetti di un vino e
come questi si realizzano e si manifestano.
L'esperienza, esattamente come per qualunque altra attività o arte, è
fondamentale e, in questo senso, non esistono strade brevi o
trucchi del mestiere, poiché l'unico modo per acquisirla è esercitare
continuamente i sensi, degustando quanto più possibile nel tempo. Poi, non
meno importante, la memoria. Perché degustare un vino significa anche fare
tesoro delle sensazioni che produce – visive, olfattive e gustative – per poi
ricordarle e farne buon uso, quando applicabile, a ogni degustazione. Come già
detto, si riconosce un vino buono perché si conosce il vino buono. Per fare
questo, appunto, serve il continuo esercizio pratico, teorico e cosciente della
degustazione e della memoria. Forse, come qualcuno ha già detto, serve anche il
talento. Del resto, poiché considero la degustazione sensoriale – e non solo
del vino – un'arte capace di stimolare i sensi e suscitare emozioni,
certamente il talento svolge un ruolo determinante. Tuttavia, tutti sono dotati
di sensi, a meno che non si soffra di specifiche patologie che ne limitino o
impediscano l'uso, pertanto è anche una questione di allenamento e di pratica.
Come ben sanno gli atleti, più ci si allena e più probabilità si hanno di
ottenere risultati migliori.
La degustazione sensoriale di un vino è molto importante, certamente lo è per
me che la considero non solo un prezioso esercizio personale e professionale,
ma anche uno strumento utile per il racconto di un vino. Una descrizione ben
diversa dal racconto emozionale, quindi soggettivo e che, secondo me, è poco
utile all'effettiva comprensione di un vino per quello che è realmente.
Questione di punti di vista, ovviamente, poiché per alcuni è noioso e inutile
il racconto sensoriale analitico di un vino esattamente come per me lo è quello
del resoconto emozionale di altri. Mi posso rallegrare e compiacere di quello
che qualcuno ha provato nel degustare un vino, ma a me non dice nulla di
concreto su com'è fatto quel vino e cosa trovo nel calice. L'utilità e il senso
della degustazione sensoriale vanno comunque ben oltre al racconto di un vino.
Eseguita in modo corretto – e con adeguata esperienza, concentrazione e
metodo – è possibile determinare molte caratteristiche di un vino, comprese le
uve con le quali è stato prodotto, il territorio, le pratiche enologiche,
l'andamento della stagione e i fattori di maturazione, tanto per citare le
principali.
La presenza di un insieme di aromi, infatti, consente di identificare un vino
non solo in funzione delle uve utilizzate per la produzione, ma anche del
territorio e della composizione del suolo. La degustazione, in ogni caso, non è
solo l'analisi olfattiva di un vino e la capacità di sapere riconoscere i suoi
profumi. Importanti informazioni, infatti, si ottengono anche dall'aspetto e
dal gusto, senza trascurare, infine, le sensazioni finali e conclusive, cioè
quando il vino è stato deglutito. Il colore, in particolare, offre una quantità
di informazioni incredibili, non solo sull'uva e il suo potere colorante, ma
anche sull'andamento meteorologico dell'annata e il tipo di suolo dove è
coltivato il vigneto. Allo stesso modo, la valutazione del gusto del vino
consente, fra le tante, di determinare l'uva utilizzata per la produzione e il
grado di maturazione. La degustazione sensoriale e analitica di un vino non è
certamente un esercizio ostentato per stupire gli altri, piuttosto si tratta di
un prezioso strumento per la comprensione concreta di un vino. Non da ultimo,
per la comprensione di un territorio e delle sue uve, delle persone che hanno
prodotto quel vino – dalla vigna alla bottiglia – della loro capacità,
competenza agronomica ed enologica, oltre al loro stile di interpretazione di
territori e uve.
La degustazione sensoriale e analitica ha quindi un senso enorme e
fondamentale, è uno strumento irrinunciabile di inestimabile valore per
chiunque intenda ascoltare seriamente il vino e comprenderlo veramente per
quello che è. Richiede uno sforzo iniziale enorme – esattamente come per tutte
le cose che si cerca di apprendere – ma le soddisfazioni che regala nel tempo
non hanno prezzo, sia a livello personale sia professionale. La degustazione è
il significato profondo del vino, il mezzo che unisce i nostri sensi con quelli
del vino e che attribuisce un senso a tutto, nel bene e nel male, nel buono e
nel cattivo. La degustazione sensoriale, infine, è anche un atto di profondo
rispetto per il vino e per chi lo produce, perché richiede concentrazione e
attenzione, esattamente come quando si parla con qualcuno e lo si ascolta
veramente. Ascoltare e sentire sono sempre la forma più alta di
rispetto, educazione e considerazione verso gli altri, la volontà di capire e
comprendere nell'intimo e nel profondo. E questo vale con le persone tanto
quanto con il vino.
Antonello Biancalana
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