Nulla è per sempre. Il tempo scorre, le cose cambiano – e con queste, anche le
vicende e le abitudini degli umani – spesso costrette all'adattamento delle
nuove condizioni e necessità. Il cambiamento, inoltre, è spesso indispensabile
per garantire che tutto resti come prima. Qualcosa che, notoriamente, fu
suggerito anche nel magnifico capolavoro Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa: «Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi». In fin
dei conti, chi teme il futuro, quindi il cambiamento, è condannato a rimpiangere
il passato, temendo il presente, escluso dal tempo che sarà. Tuttavia, chi si
concede al futuro cancellando l'esperienza del passato e il frutto del presente, è
inevitabilmente condannato alla disgraziata sciagura della ripetizione dei propri
errori – senza mai comprendere le cause – prigioniero di una fallimentare
regressione priva di ogni speranza. Poi, è anche vero che la storia non insegna
nulla agli uomini – oppure ben poco – con effetti ignobili e deplorevoli per il
futuro, accecati solo dalla propria inutile arroganza e la presunzione di credere
che il futuro debba essere necessariamente la ripetizione ostinata degli errori
del passato.
Repetiva iuvant, (le cose ripetute, aiutano) recita un celebre adagio
latino, tuttavia, a ben guardare l'ostinata ripetizione di certe cose nel futuro,
non sembrerebbe giovare granché, anzi. Poi, è anche vero che, in certi casi, le
azioni e gli accadimenti del futuro – anche quelli assolutamente nuovi e
inediti – risultano essere fallimentari e per nulla convenienti, costringendo,
per così dire, a tornare indietro e ricominciare dal passato, forti
dell'esperienza acquisita dagli errori appena commessi, possibilmente evitando di
ripeterli. Il vino, evidentemente, non è immune alle vicende che si susseguono
nel corso del tempo, dal confrontarsi con il suo passato, compreso guardare al
futuro. Non da meno, tornare al passato e restare ancorati a quell'era, quello
stile, indiscutibilmente eletto come futuro del vino, semplicemente perpetuando
tempi e modi che sono tutto meno che progresso. Questo accade non solo per il
vino, soprattutto in quei paesi – come l'Italia – così fortemente ancorati al
passato e alle proprie tradizioni, spesso sacre, perfino inviolabili e
immutabili, forse anche per la paura di affrontare il futuro, il proprio futuro.
In questi tempi, così bizzarri, così lontanamente inimmaginabili solamente tre
anni fa, il vino – dopo avere conseguito, almeno in Italia, un risultato
clamoroso in termini economici e di mercato – si appresta ad affrontare il
futuro prossimo con qualche difficoltà e incertezza. Non solo quelle che si stanno
determinando per le nuove condizioni economiche a livello globale, ma anche – e
soprattutto – per la situazione che si sta creando nella produzione e
reperibilità delle materie prime. A preoccupare maggiormente in questo momento i
produttori, è la scarsa disponibilità di bottiglie, materiale fondamentale per la
commercializzazione del vino. Senza la bottiglia di vetro, il vino resta nei
recipienti di conservazione e maturazione, impossibilitato nel lasciare la
cantina con destinazione i calici dei consumatori. Si tratta – evidentemente –
di un ostacolo non esattamente semplice, viste le implicazioni che questo
comporta nell'intero comparto vitivinicolo e, più in generale, in qualunque
settore produttivo che necessita del vetro e della bottiglia come elementi
indispensabili.
Le bottiglie disponibili sul mercato – intese come materiale di base, quindi
vuote – o sono state acquistate nei mesi scorsi e in cospicui lotti da grandi
cantine con disponibilità economiche e capacità di trattativa enormi, oppure,
quelle disponibili, sono vendute a prezzi elevati. Nella seconda ipotesi, qualora
il produttore riuscisse ad acquistarle – sia per opportunità, sia per
disponibilità economica – questo si traduce direttamente in un aumento dei costi
di produzione, quindi del prezzo di vendita finale. Il problema, inoltre, non è
solamente il vetro per le bottiglie, ma anche le altre materie prime e servizi che
– nel loro insieme – consentono al produttore di finire il proprio prodotto
e venderlo. Tuttavia, in accordo a quanto è stato dichiarato dai produttori in
diverse occasioni recenti, sarebbe proprio la difficoltà a reperire le bottiglie
di vetro a rendere critica la commercializzazione del vino.
E se la soluzione più semplice fosse quella di sostituire il vetro con altro
materiale, magari in questo momento più facile da reperire e che, condizione
primaria, garantisca la buona conservazione del vino fino a quando non è versato
nel calice? Già mi immagino, in verità, la reazione perplessa e forse anche
sdegnata di molti nel pensare di versare il vino nei propri calici da qualcosa di
diverso che non sia una bottiglia di vetro. Si tratta – immagino per molti – di
un cambiamento anche di tipo culturale e non solo legato all'inamovibile sacralità
della tradizione, perché così è sempre stato e non si deve cambiare. Eppure,
prima che si inventasse il vetro, il vino si commercializzava e si spediva
dovunque trasportandolo in recipienti prodotti con i materiali disponibili del
tempo. Sì, certo, il vetro è un eccellente materiale in questo senso, decisamente
migliore – per esempio – delle anfore di terracotta che si utilizzavano agli
albori delle civiltà occidentali. Ma cosa fare, però, se le bottiglie di vetro
non sono così facilmente reperibili? Si smette di produrre e commercializzare il
vino?
Che poi, a dirla tutta, un cambiamento culturale di questo tipo l'abbiamo già
visto e, in molti si ricorderanno, suscitò non poche polemiche, compreso lo
sdegno di molti, gridando allo scandalo e ponendosi come irriducibili baluardi a
difesa della tradizione e del perché così si è sempre fatto, così deve essere
per sempre. Mi riferisco alla questione dei tappi, quando iniziarono a essere
impiegati quelli prodotti con materiali sintetici, così come in vetro oppure a
vite. All'inizio – e lo ricordo fin troppo bene – fu un putiferio esagerato,
poi, con il passare del tempo, la novità è stata accettata e oggi
pochissimi fanno caso al fatto che, aprendo una bottiglia, si ritrovino nelle
mani un tappo sintetico oppure a vite. Non solo: questa novità ha
consentito un notevole risparmio nei costi, destinando l'impiego dei migliori
sugheri ai vini che veramente lo richiedono e per i quali – almeno per il
momento – è insostituibile. Un cambiamento che, nonostante abbia sfidato la
sacra tradizione, oggi è un fatto accettato. Del resto, cos'è la
tradizione se non un evento di successo e che, come tale, si perpetua nel tempo?
E quanti eventi del passato non sono diventati parte della tradizione proprio
perché si sono rivelati fallimentari?
Sono consapevole il suggerimento di sostituire la bottiglia di vetro con un altro
recipiente e costruito con un materiale diverso è una provocazione, certamente
fastidiosa per molti. Vi rassicuro: sostituire la bottiglia di vetro con altro
contenitore non è così semplice. Innanzitutto, sarebbe necessario cambiare tutti
i disciplinari di produzione dei vini a denominazione poiché la bottiglia di
vetro è espressamente indicata come requisito stabilito per legge. E i
disciplinari di produzione dei vini sono leggi dello Stato Italiano a tutti gli
effetti. Vista la situazione attuale, per la quale è difficile – in questo
momento – prevedere quando si assisterà a una ripresa, probabilmente è
necessario pensare ad alternative funzionali. Sicuramente la bottiglia di vetro
– esattamente come per il sughero naturale – risulta essere indispensabile,
quindi insostituibile, per determinati stili vini, come per esempio quelli
destinati al lungo affinamento. I vini da consumare dopo pochi mesi o anni dalla
produzione, sicuramente possono essere commercializzati in contenitori diversi
dal vetro, probabilmente anche più economici. Tutto cambia: è solo questione di
tempo e di adattamento. Esattamente come per i tappi di non sughero, prima o
poi anche le bottiglie di non vetro diventeranno consuete e accettate.
Questione di tempo e, forse, non saranno nemmeno bottiglie. In fin dei conti, ciò
che rende un vino buono e apprezzabile è quello che versiamo nel calice,
esattamente in quel momento in cui ci dimentichiamo della bottiglia di vetro o
qualsiasi altra cosa essa sia.
Antonello Biancalana
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