Ci penso da diverso tempo, molti anni, in verità. Questo pensiero è tornato di
nuovo nella mia mente non appena sono iniziate a diffondersi le prime notizie
relativamente alle stime della vendemmia 2023. Previsioni che, notoriamente, si
sono avverate, seguite dalle comprensibili, quanto inevitabili, lamentele dei
produttori un po' ovunque in Italia, non da meno, anche in altri paesi
vitivinicoli europei. Le condizioni della vendemmia appena trascorsa sono state
decisamente critiche rispetto agli anni passati, anche in quelli che hanno
comunque generato particolare malcontento, tanto da definirla fra le più scarse
degli ultimi decenni. Quando il clima e le condizioni meteorologiche avverse
producono effetti negativi sulle colture, in quel caso c'è evidentemente ben poco
da fare. Quando si verificano eventi di questo tipo – esattamente come tutti
quelli provocati da Madre Natura – anche quando sono prevedibili,
difficilmente è possibile porre rimedio. Se arriva la grandine, per esempio, si
chiudono gli occhi e si incrociano le dita, nell'attesa che arrivi, con non poca
apprensione, la quiete dopo la tempesta.
A ben guardare, come si può facilmente evincere dalle vicende passate, l'uomo
– nell'attuare la coltivazione sistematica delle piante per i propri scopi
alimentari, culturali, economici e sociali – si è sempre dovuto confrontare con
gli inevitabili eventi della natura cercando di ottenere comunque il massimo.
Questo, si può affermare senza timore di smentita, accade da quando l'uomo
ha inventato l'agricoltura. In fin dei conti, si tratta di un oculato
processo di selezione, e per niente naturale, nel quale l'uomo costantemente si
dedica esclusivamente alla coltivazione degli esemplari più sani, capaci di
garantire un raccolto proficuo, scartando quelli poco resistenti alle malattie
oppure che presentano scarsi caratteri produttivi. Basti pensare, per esempio, a
quanto è stato fatto per il frumento, così come altre piante e vegetali, in tempi
nemmeno così lontani. Come la vasta e importante operazione di selezione avvenuta
nel 1900, operata soprattutto da Nazareno Strampelli e Francesco Todaro, che ha
consentito di creare diversi incroci e varietà – non solo di frumento – con
l'unico scopo di migliorare la resistenza alle malattie, la migliore produttività
e coltivazione.
Si diede così vita a una lunga serie di frumenti – che oggi stanno tornando di
moda con l'evocativa classificazione di grani antichi – e che furono
sostanzialmente il frutto di una necessità, non solo di tipo agricolo, ma anche
sociale e con lo scopo di combattere la fame e la povertà. Questo processo di
selezione – e non solo per il frumento – si adotta e attua continuamente per
ogni pianta destinata all'agricoltura, usando anche metodi del tutto simili a
quelli impiegati da Nazareno Strampelli e Francesco Todaro per la creazione di
quelli che oggi chiamiamo grani antichi, frutto certamente dell'ingegno e
dell'intelligenza dell'uomo, non certo della natura, nonostante fosse
evidentemente indispensabile a questo processo. Per quanto possa suscitare il
disappunto di alcuni, compresa l'incredulità di certi puristi, quello che si
fece non è altro che un miglioramento genetico, sia ricorrendo alla tecnica
dell'incrocio sia mediante la selezione genealogica e dell'ibridazione,
dando vita a varietà che – di fatto – non esistevano in natura.
Il successo fu enorme, visto che il frutto di quelle ricerche ha praticamente
popolato i campi d'Italia destinati a frumento, sollevando gli agricoltori
dalle non poche preoccupazioni degli anni precedenti in fatto di coltivazione,
resistenza alle malattie e produttività. Sono sempre stato convinto che, per
quanto riguarda la viticoltura e il vino, condurre un'operazione simile a quella
di Nazareno Strampelli e Francesco Todaro, con lo scopo di migliorare la vite,
susciterebbe un'infinita e agguerrita crociata – come spesso accade in Italia –
a sostengo della sacra difesa delle sante tradizioni perché si è sempre fatto
così e così deve essere in secula seculorum. Eppure, i nostri saggi
nonni e bisnonni – cioè quelli che hanno dato vita alle nostre intoccabili
tradizioni – non ebbero alcuna difficoltà ad adottare e coltivare le nuove
varietà di frumento e non solo quello. A ben pensare, la loro necessità primaria
non era quella di fare crociate, piuttosto il senso pratico della sopravvivenza,
dovendo scegliere fra mangiare oppure fare la fame, oltre alla desolazione di
campi di frumento allettati o raccolti miseri causati dalla ruggine, con buona
pace dei grani antichi dei loro nonni.
Si dice che l'uomo abbia scarsa memoria e tenda a dimenticare in fretta – per
difesa, forse per opportunità e presunzione – le vicende del passato, spesso non
imparando nulla, quindi condannato a ripetere i medesimi errori. Oggi, infatti,
in ambito viticolturale, si assiste da anni alla strenua difesa delle antiche
varietà di uve da vino, promosse ad autentiche guardie e baluardi dell'identità
di un territorio e delle sue più antiche e sacre tradizioni. Chissà se l'umile
vite, nella quiete e placida calma del vigneto, è consapevole dell'immane
responsabilità che gli si attribuisce per il mantenimento e perpetuazione
dell'identità di ogni territorio. Comprese quelle varietà praticamente scomparse
da anni e riportate alla ribalta enologica, senza forse chiedersi il motivo per
il quale i nostri nonni – cioè sempre gli stessi che hanno inventato le nostre
intoccabili tradizioni – le avessero abbandonate sostituendole con altre
varietà. Forse si trattava di nonni poco saggi e alquanto stolti, ignari del
valore di quanto avevano in vigna, disdegnando e gettando i preziosi gioielli per
sostituirli con della misera e dozzinale bigiotteria.
La memoria, dicevo. Probabilmente oggi non consideriamo mai che, alla fine del
1800 e l'inizio del 1900, si verificò un cambiamento epocale della viticoltura in
Europa e che – di fatto – ha cancellato per sempre la purezza delle antiche
varietà di uve da vino. La fillossera, infatti, provocò una devastazione senza
precedenti, costringendo l'uomo a cercare in fretta una soluzione, prima che
la vite europea scomparisse, e per sempre, dai vigneti. Com'è ben noto, la
soluzione – ancora oggi adottata e insostituibile – fu quella di innestare
apparati radicali resistenti alla fillossera alle varietà europee. La vite era
salva, ma a essere puristi fino in fondo, come molti fanno, convinti di
difendere la propria identità storica, tutte le varietà di uve coltivate oggi
non sono più esattamente quelle dei tempi passati. Tranne in rarissimi casi, così
rari che si possono considerare pressoché inesistenti e nei quali si verificano,
condizioni ambientali sfavorevoli alla fillossera, in tutti i vigneti d'Europa
si coltivano varietà autoctone con un apparato radicale alieno. Fu una
scelta obbligata, necessaria e inevitabile, poiché l'alternativa era smettere di
coltivare la vite. Il lodevole risultato dell'ingegno dell'uomo, certamente
contro natura, la quale non avrebbe mai innestato un apparato radicale di una
varietà di uva americana in una europea. L'uomo però l'ha fatto e ha vinto
la guerra contro la fillossera, la quale continua comunque a vivere nei vigneti
europei senza però provocare danni.
Nella scorsa vendemmia, com'è noto, il raccolto è stato severamente compromesso a
causa della peronospora, una malattia della vite che generalmente si previene e
cura con prodotti a base di rame, in modo particolare con il solfato di rame.
Sebbene sia il rimedio utilizzato già dai nostri nonni – esattamente come lo
zolfo per combattere l'oidio – quindi tradizionale, non si può non
osservare che il rame è un metallo pesante, considerato altamente dannoso per
il suolo, nonché tossico per gli organismi che vivono nel sottosuolo. La
peronospora è solo un esempio e chi coltiva la vite sa bene che, oltre a questo,
ogni anno è chiamato a fronteggiare e prevenire anche altre patologie, ricorrendo
a trattamenti fitosanitari specifici e con impatti più o meno rilevanti per
l'ambiente, il suolo e, non da ultimo, l'uomo. Gli eventi degli ultimi anni, non
da meno, evidenziano il progressivo aumento dell'intensità degli effetti di certe
malattie, unitamente alla diminuzione di precipitazioni piovose, dovrebbero fare
riflettere sul fatto che le attuali varietà da uva non sono più adatte alle
condizioni ambientali di questi tempi e, forse, lo saranno sempre meno.
La diminuzione delle precipitazioni piovose e l'innalzamento delle temperature
che si verificano puntualmente negli ultimi anni, indipendentemente dalla causa
– cambiamenti climatici conseguenti ai comportamenti umani o altro –
sicuramente non saranno risolti in pochi anni, ammesso inoltre si possano
risolvere. L'intensificarsi delle patologie della vite chiedono, necessariamente,
interventi preventivi e fitosanitari in modalità evidentemente diverse rispetto a
quanto si faceva in passato. Nel caso della peronospora, che ha provocato danni
ingenti nel 2023, non è nemmeno pensabile – per coloro i quali ricorrono a
questo rimedio – di intensificare la somministrazione di solfato di rame o
altri prodotti specifici. A tale proposito, già dalla metà del 1800, con un forte
impulso negli anni 1950, si è cercato di porre rimedio attraverso l'incrocio e
l'impollinazione di varietà resistenti, unitamente alla selezione genetica,
portando alla creazione delle varietà PIWI (dal tedesco
Pilzwiderstandfähig, letteralmente resistente ai funghi).
Può essere una strada, forse non l'unica, tuttavia concreta oltre che
disponibile, e – per esperienza personale – i vini prodotti con queste varietà
hanno caratteristiche sensoriali ed enologiche decisamente interessanti.
Forse è giunto il momento di pensare, per esempio, al miglioramento genetico
delle varietà moderne – anche mediante cisgenesi e il cosiddetto
genome editing, due tecniche attualmente non consentite dalle normative
europee – così da renderle resistenti alle patologie più comuni e alla siccità.
Mi riferisco, ovviamente e unicamente, al miglioramento genetico – tecnica che
si impiega da anni con diversi vegetali e, come detto prima, ampiamente usato con
il frumento all'inizio del secolo scorso – e non alla mutazione transgenica. In
fin dei conti, la viticoltura ha già subito un cambiamento drastico ed epocale
all'inizio del 1900 a causa della fillossera e si è dovuta adattare alla sua
presenza, cambiando per sempre la vite nei vigneti europei, tuttavia garantendo
il mantenimento della sua esistenza. Forse è arrivato al momento di compiere un
nuovo cambiamento drastico ed epocale così da garantire la sopravvivenza e
la sostenibilità della viticoltura, oltre che del vino. La selezione e il
miglioramento genetico consentirebbero di avere le stesse varietà che conosciamo
oggi, tuttavia capaci di resistere alle più comuni patologie e alla siccità.
Questo, inoltre, avrebbe il vantaggio di limitare considerevolmente i trattamenti
fitosanitari in vigna garantendo – nel contempo – uve più sane e, quindi, vini
qualitativamente migliori. Oltre che suoli meno inquinati.
Antonello Biancalana
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