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  Editoriale Numero 130, Giugno 2014   
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Semplificare


 Da tempo, nel mondo del vino, si sente sempre più spesso parlare di semplificare il modo con il quale si dovrebbe trattare l'argomento della bevanda di Bacco. A quanto pare, per molti il vino è argomento ostico, difficile e incomprensibile, quello che legge o ascolta lo lascia semplicemente confuso e distante. Il vino è bevanda popolare e che appartiene alla cultura di tutti, nonostante in tempi remoti fosse prevalentemente usato per motivi sacri e, spesso, consumato esclusivamente da officianti di riti religiosi. L'originale ruolo sacro del vino si è trasformato rapidamente fino a divenire il protagonista di banchetti e simposi, spesso anche distanti dal comune concetto di sacralità, considerato come bevanda capace di allietare la vita e il piacere degli uomini. Quindi considerato alla stregua di “cibo”, il vino assume prepotentemente un importante ruolo sociale e popolare, un elemento di forte connotazione culturale e tradizionale.


 

 Nel corso della sua storia, il vino è stato sempre oggetto di confronti, di discussioni pressoché infinite su quale fosse il migliore, le migliori uve, zone, produttori e stili. Guardando alla letteratura del passato, il vino è spesso protagonista di interi libri e le citazioni in documenti e opere d'arte è evidentemente frequente e numerosa. Segno dell'importanza che il vino ha assunto per gli uomini, da semplice compagno della tavola a simbolo di ricchezza e benessere, non da ultimo, di identificazione sociale. Le personali disponibilità economiche, un tempo come oggi, consentono infatti di godere di vini migliori: nelle tavole delle classi abbienti il buon vino è sempre stato presente. Quelli che non se lo potevano permettere - un tempo come oggi - si sono sempre accontentati di quello che le proprie possibilità consentivano, facendo spesso in modo di farselo piacere.

 Sul vino si è costruito un vocabolario specifico al quale, chi più chi meno, si fa riferimento quando si deve raccontare. Non si tratta evidentemente di schemi obbligati e imposti, piuttosto di un metodo che consente la condivisione di concetti tecnici. Il risultato di queste convenzioni ha avuto innegabilmente il merito di promuovere la qualità enologica, comunicando - non solo ai tecnici, ma anche ai consumatori - i criteri della qualità di riferimento. Si deve comunque ricordare che la qualità non è mai un fattore assoluto: si tratta di un modello di riferimento nel quale si riconosce un gruppo che condivide gli stessi principi culturali e morali. Questo vale anche nell'ambito dei consumatori e dei produttori poiché, è innegabile, il concetto di qualità enologica non sempre è condivisibile in gruppi diversi. Ci sono fattori, per così dire, universalmente condivisibili ai quali se ne aggiungono altri nell'ambito dei singoli gruppi.

 Se la qualità del vino è aumentata nel corso degli ultimi anni, è innegabilmente anche merito di questo tipo di divulgazione enologica che ha spinto, per così dire, i produttori a fare vini migliori. Questo ha portato anche alla promozione della cultura enologica dei consumatori, i quali hanno avuto strumenti e informazioni tali da consentire la comprensione della qualità di un vino. A volte si è probabilmente esagerato, a volte si sono perfino esasperati certi concetti rendendoli astrusi e incomprensibili, ma è anche vero che questo ha evitato la banalizzazione del vino. Bevanda complessa, risultato di numerosi fattori, ognuno capace di definire in modo determinante il carattere di un vino, questi non possono essere trattati superficialmente. La superficialità è, in fin dei conti, uno dei fattori tipici dell'omologazione: tutto appare uguale, tutto deve essere desolatamente simile.

 Da qualche tempo continuo a sentire produttori e divulgatori, anche quelli di certe categorie di settore, dire che la comunicazione del vino dovrebbe essere più semplice. Non mi trovo esattamente d'accordo, pur riconoscendo che l'eccesso di tecnica è qualcosa che interessa prevalentemente chi opera nel mondo del vino e molto meno chi lo consuma. In fin dei conti, è facilmente comprensibile che i consumatori potrebbero essere intimoriti dall'eccessivo tecnicismo tipico degli enologi e dei degustatori. Il vino, dopo tutto, è bevanda popolare e chi lo consuma non ha interesse a produrlo: si limita prevalentemente ad apprezzarlo. I produttori, oltre a produrre vino, hanno la necessità di venderlo, anche quando non è esattamente buono o comunque rispondente a criteri di qualità universalmente condivisi. Da questo punto di vista, è certamente più facile vendere prodotti mediocri a consumatori con una cultura “semplice e semplificata”. Per questo motivo, ritengo che proprio in questi tempi - che di certo non si possono definire floridi dal punto di vista economico - la necessità di ottenere un profitto “a tutti i costi” sia più forte che in passato.

 Consumatori più esigenti chiedono - in accordo alle proprie possibilità - prodotti di qualità maggiore. Consumatori ignoranti, plagiati da una cultura semplice e senza pretese, si possono facilmente indirizzare verso l'omologazione. Non esistono difficoltà, a quel punto, nel sostenere l'alta qualità di un prodotto mediocre, se non pessimo, a chi ha una visione semplice. Se si considera freddamente la logica speculativa di chi produce e intende fare profitto, l'importante è vendere il vino, l'importante è che il consumatore stappi bottiglie e le beva. Tutto il resto è marginale e può costituire un ostacolo. Per anni abbiamo insistito sulle differenze e sull'importanza dei singoli fattori - fra questi territorio, uve, produttori - e la semplificazione di questi concetti non fa altro che renderli banali, perfino secondari e inutili. La conoscenza fa differenza, in tutto e per tutto, vino compreso. Evviva quindi il vino raccontato in modo semplice, magari con le solite frivole e banali favolette di mondi fatati e incantati: in fin dei conti, tutto quello che dovremmo sapere è se un vino è bianco o rosso. Semplice, chiaro, lo capiscono tutti, soprattutto quando di vino non si parla affatto. Tutto il resto è inutile, complicato e noioso.

Antonello Biancalana






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