Da tempo, nel mondo del vino, si sente sempre più spesso parlare di
semplificare il modo con il quale si dovrebbe trattare l'argomento della
bevanda di Bacco. A quanto pare, per molti il vino è argomento ostico,
difficile e incomprensibile, quello che legge o ascolta lo lascia semplicemente
confuso e distante. Il vino è bevanda popolare e che appartiene alla cultura di
tutti, nonostante in tempi remoti fosse prevalentemente usato per motivi sacri
e, spesso, consumato esclusivamente da officianti di riti religiosi.
L'originale ruolo sacro del vino si è trasformato rapidamente fino a divenire
il protagonista di banchetti e simposi, spesso anche distanti dal comune
concetto di sacralità, considerato come bevanda capace di allietare la
vita e il piacere degli uomini. Quindi considerato alla stregua di cibo, il
vino assume prepotentemente un importante ruolo sociale e popolare, un elemento
di forte connotazione culturale e tradizionale.
Nel corso della sua storia, il vino è stato sempre oggetto di confronti, di
discussioni pressoché infinite su quale fosse il migliore, le migliori uve,
zone, produttori e stili. Guardando alla letteratura del passato, il vino è
spesso protagonista di interi libri e le citazioni in documenti e opere d'arte
è evidentemente frequente e numerosa. Segno dell'importanza che il vino ha
assunto per gli uomini, da semplice compagno della tavola a simbolo di
ricchezza e benessere, non da ultimo, di identificazione sociale. Le personali
disponibilità economiche, un tempo come oggi, consentono infatti di
godere di vini migliori: nelle tavole delle classi abbienti il buon vino
è sempre stato presente. Quelli che non se lo potevano permettere - un tempo
come oggi - si sono sempre accontentati di quello che le proprie possibilità
consentivano, facendo spesso in modo di farselo piacere.
Sul vino si è costruito un vocabolario specifico al quale, chi più chi meno, si
fa riferimento quando si deve raccontare. Non si tratta evidentemente di schemi
obbligati e imposti, piuttosto di un metodo che consente la condivisione di
concetti tecnici. Il risultato di queste convenzioni ha avuto innegabilmente il
merito di promuovere la qualità enologica, comunicando - non solo ai tecnici,
ma anche ai consumatori - i criteri della qualità di riferimento. Si deve
comunque ricordare che la qualità non è mai un fattore assoluto: si tratta di
un modello di riferimento nel quale si riconosce un gruppo che condivide gli
stessi principi culturali e morali. Questo vale anche nell'ambito dei
consumatori e dei produttori poiché, è innegabile, il concetto di qualità
enologica non sempre è condivisibile in gruppi diversi. Ci sono fattori,
per così dire, universalmente condivisibili ai quali se ne aggiungono
altri nell'ambito dei singoli gruppi.
Se la qualità del vino è aumentata nel corso degli ultimi anni, è
innegabilmente anche merito di questo tipo di divulgazione enologica che ha
spinto, per così dire, i produttori a fare vini migliori. Questo ha portato
anche alla promozione della cultura enologica dei consumatori, i quali hanno
avuto strumenti e informazioni tali da consentire la comprensione della qualità
di un vino. A volte si è probabilmente esagerato, a volte si sono perfino
esasperati certi concetti rendendoli astrusi e incomprensibili, ma è anche vero
che questo ha evitato la banalizzazione del vino. Bevanda complessa, risultato
di numerosi fattori, ognuno capace di definire in modo determinante il
carattere di un vino, questi non possono essere trattati superficialmente. La
superficialità è, in fin dei conti, uno dei fattori tipici dell'omologazione:
tutto appare uguale, tutto deve essere desolatamente simile.
Da qualche tempo continuo a sentire produttori e divulgatori, anche quelli di
certe categorie di settore, dire che la comunicazione del vino dovrebbe
essere più semplice. Non mi trovo esattamente d'accordo, pur riconoscendo che
l'eccesso di tecnica è qualcosa che interessa prevalentemente chi opera nel
mondo del vino e molto meno chi lo consuma. In fin dei conti, è facilmente
comprensibile che i consumatori potrebbero essere intimoriti dall'eccessivo
tecnicismo tipico degli enologi e dei degustatori. Il vino, dopo tutto, è
bevanda popolare e chi lo consuma non ha interesse a produrlo: si limita
prevalentemente ad apprezzarlo. I produttori, oltre a produrre vino, hanno la
necessità di venderlo, anche quando non è esattamente buono o comunque
rispondente a criteri di qualità universalmente condivisi. Da questo punto di
vista, è certamente più facile vendere prodotti mediocri a consumatori con una
cultura semplice e semplificata. Per questo motivo, ritengo che proprio in
questi tempi - che di certo non si possono definire floridi dal punto di vista
economico - la necessità di ottenere un profitto a tutti i costi sia più
forte che in passato.
Consumatori più esigenti chiedono - in accordo alle proprie possibilità -
prodotti di qualità maggiore. Consumatori ignoranti, plagiati da una cultura
semplice e senza pretese, si possono facilmente indirizzare verso
l'omologazione. Non esistono difficoltà, a quel punto, nel sostenere l'alta
qualità di un prodotto mediocre, se non pessimo, a chi ha una visione semplice.
Se si considera freddamente la logica speculativa di chi produce e intende fare
profitto, l'importante è vendere il vino, l'importante è che il consumatore
stappi bottiglie e le beva. Tutto il resto è marginale e può costituire un
ostacolo. Per anni abbiamo insistito sulle differenze e sull'importanza dei
singoli fattori - fra questi territorio, uve, produttori - e la semplificazione
di questi concetti non fa altro che renderli banali, perfino secondari e
inutili. La conoscenza fa differenza, in tutto e per tutto, vino compreso.
Evviva quindi il vino raccontato in modo semplice, magari con le solite frivole
e banali favolette di mondi fatati e incantati: in fin dei conti, tutto quello
che dovremmo sapere è se un vino è bianco o rosso. Semplice, chiaro, lo
capiscono tutti, soprattutto quando di vino non si parla affatto. Tutto il
resto è inutile, complicato e noioso.
Antonello Biancalana
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