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  Editoriale Numero 178, Novembre 2018   
Ognuno Beve il Vino che MeritaOgnuno Beve il Vino che Merita  Sommario 
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Ognuno Beve il Vino che Merita


 Nel mio percorso di formazione consapevole nel mondo del vino, iniziato oltre venti anni fa, uno dei tanti fattori che hanno determinato la mia conoscenza – o ignoranza, secondo i punti di vista – è stata la lettura di innumerevoli libri, non da meno, l'avere degustato migliaia di vini dei quali ho perso oramai il conto. La lettura è, infatti, uno dei piaceri che mi accompagna dal momento in cui, da bambino, ho imparato a leggere: un'esigenza intima che mi ha portato a leggere avidamente libro dopo libro. E non ho mai smesso di farlo. Dei tanti libri che ho letto dedicati al vino all'inizio del mio percorso di formazione – inclusi quelli di enologia, viticoltura, degustazione sensoriale e chimica enologica – rimasi estremamente colpito da quelli di Émile Peynaud. Personaggio di enorme impatto e competenza, indiscusso padre dell'enologia moderna, il celeberrimo e magnifico enologo francese ha infatti scritto opere di sicuro riferimento per chiunque si interessi seriamente al vino e non solo a livello professionale.


 

 C'è un pensiero di Émile Peynaud, ovviamente uno dei tanti, che mi ha colpito profondamente nel momento esatto in cui lo lessi e che ancora oggi è ben impresso nella mia mente: «Siete voi (consumatori) che in un certo senso fate la qualità. Se ci sono vini cattivi è proprio perché ci sono dei cattivi bevitori. Il gusto è conforme alla rozzezza dell'intelletto: ognuno beve il vino che merita». A molti può sembrare una considerazione eccessiva e perfino discriminatoria, per altri – compreso il sottoscritto – rappresenta un pensiero di profonda cultura che esprime innegabilmente una verità consolidata e “un dato di fatto”. Si deve inoltre comprendere il periodo nel quale questo fondamentale pensiero fu espresso da Èmile Peynaud. Facile oggi trovare vini esenti da difetti grossolani – tuttavia è inquietante constatare ai giorni nostri quanto questa “moda” sia ancora tristemente attuale – cosa che invece era decisamente più frequente negli anni 1980. Se valutiamo, quindi, il celebre pensiero di Èmile Peynaud con la situazione enologica degli anni passati, rivela non solo la condizione di quel tempo, ma anche un'immutabile verità.

 Conservo nella mia memoria, come inestimabile insegnamento, il pessimo ricordo di quei vini così sgraziati e con difetti imbarazzanti quanto grossolani, che ancora oggi, quando me li ritrovo nel calice – con meno frequenza rispetto a quei tempi, ma comunque non infrequente – mi tornano in mente quelle parole di Émile Paynaud. La qualità, in fin dei conti, la fanno i consumatori: se certi produttori continuano a fare vini con palesi difetti – e magari li trovano perfino buoni, migliori degli altri oltre che perfetti – significa evidentemente che li vendono e hanno clienti capaci di apprezzarli. Una banale legge imprenditoriale e di mercato: se un prodotto si vende, indipendentemente dalla sua reale qualità, significa che ci sono consumatori disposti ad acquistare e apprezzare quella qualità. Eppure, a questi vini, non riesco proprio a riconoscere alcuna eleganza o qualità: mi sembrano piuttosto un insulto al territorio dal quale nascono e alle loro uve, ancor peggio quando sono pomposamente proposti come la vera espressione di quelle terre.

 Non c'è alcuna eleganza in un difetto, non c'è eleganza nemmeno in chi, con malcelata buona fede, cerca di convincere gli altri sostenendo che è proprio quella sgraziata caratteristica a fare la qualità di quel vino e del territorio. Non si tratta di sostenere l'utopistica ricerca della perfezione – che, ammesso sia possibile creare o trovare, sarebbe perfino noiosa – tuttavia è evidente che, in certi casi, la mancanza di eleganza nei vini è quantomeno un abuso dell'intelligenza altrui, o quanto meno, di alcuni. A volte mi chiedo come sia possibile che, ancora oggi, nonostante l'enorme progresso che la ricerca e la tecnologia hanno fatto in campo enologico e viticolturale, con informazioni e pratiche note e oramai accessibili a tutti, si producano vini con difetti così palesi, così privi di qualsivoglia eleganza. Non sto certamente tessendo le lodi alla sofisticazione enologica – che molti definiscono superficialmente e impropriamente “chimica” – piuttosto a certe pratiche di buon senso, comprese quelle igieniche, spesso semplici e banali, che, quando sono correttamente applicate, permettono di evitare errori grossolani e difetti imbarazzanti.

 Il gusto e l'eleganza sono caratteristiche intimamente soggettive ed è fin troppo evidente che non sono definibili in termini oggettivi o assoluti. Esattamente come il concetto di bellezza, si tratta di elementi la quale definizione è fortemente condizionata da fattori culturali, sociali e tradizionali, non da ultimo, soggettivi. Si possono quindi definire in termini, per così dire, “statistici”, cioè rilevare la definizione più frequente e accettata in un determinato contesto. Quindi, parlare di eleganza riferita al vino – ne sono consapevole – è un atto quanto meno complicato e decisamente opinabile, una sorta di arroganza intellettuale che potrebbe risultare fastidiosa per alcuni oppure completamente condivisibile per altri. Quindi, per quello che mi riguarda, un vino privo di quella qualità che associo all'eleganza, mi risulta difficile apprezzarlo e, molto spesso, è perfino motivo di irritazione. In fin dei conti, come sono solito dire, se devo bere un vino cattivo o comunque con difetti, preferisco di gran lunga un ottimo bicchiere d'acqua.

 I vini privi di eleganza, ancor peggio, quelli con difetti grossolani, mi danno sempre l'impressione di una superficialità e incapacità del produttore, magari anche in buona fede. Ognuno, certamente, ha i propri riferimenti e concetti di qualità ed eleganza, rispettabili seppure non condivisibili, tuttavia mi risulta difficile considerare un difetto come l'inconfutabile segno di qualità, genuinità e bontà. Si apprezzano certamente e indiscutibilmente l'impegno e la passione profusi per la realizzazione di un vino: il rispetto per il lavoro degli altri non si mette mai in discussione. In passato, trovarsi nei calici dei vini con difetti era piuttosto frequente e, innegabilmente, si sono fatti enormi progressi tecnologici ed enologici tanto da limitare la loro presenza in nome di una comprovata e oggettiva qualità condivisa.

 Oggi mi pare, da questo punto di vista, si stia tornando indietro, a quel passato di vini pieni di difetti, con l'aggravante di ostentarli con fiero orgoglio come espressione unica e assoluta di autenticità enologica. Forse l'abbondanza di vini di qualità ed enologicamente privi di difetti ha provocato una sorta di regressione del gusto e dei consumi, tanto da tornare convintamente indietro verso quel vino così carente di qualsivoglia eleganza. Una sorta di ritorno alle origini, che non significa necessariamente il miglioramento delle cose – del vino, nel nostro caso – ma forse solo la mancata conoscenza del passato oppure il sintomo di memoria corta, sia per non avere vissuto quel periodo, sia per questioni di opportunità. Io resto sempre convinto che, in definitiva, Émile Peynaud aveva ragione: ognuno beve il vino che merita.

Antonello Biancalana



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