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  Editoriale Numero 177, Ottobre 2018   
Vino e Cibo: un Matrimonio non Sempre PerfettoVino e Cibo: un Matrimonio non Sempre Perfetto  Sommario 
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Vino e Cibo: un Matrimonio non Sempre Perfetto


 Il rapporto che l'uomo ha stabilito fra il vino e il cibo trae probabilmente la sua origine nel momento stesso in cui la bevanda di Bacco inizia a fare parte della storia dell'umanità. Abbiamo infatti innumerevoli esempi e citazioni che ci giungono dal passato, anche remoto, a testimoniare quanto il vino fosse presente nelle tavole e abitudini alimentari dei nostri antenati. Indissolubile, inoltre, il ruolo che il vino ha assunto in tempi passati nella celebrazione di riti – sia pagani, sia religiosi – assumendo significati sociali elevatissimi, non da meno, simbolo di sacralità. Immancabile compagno a tavola delle civiltà bagnate dal Mediterraneo, da sempre l'uomo ha cercato di accompagnare, cercando di trarre il massimo piacere e piacevolezza, il vino con il cibo, dai pasti frugali ai sontuosi banchetti. Non solo a tavola, ma anche in cucina: le tante testimonianze che si possono reperire in antichi scritti del passato offrono innumerevoli ricette nelle quali il vino diviene anche ingrediente.


 

 Sono oramai oltre venti anni che mi confronto con l'abbinamento enogastronomico, non da meno, brassogastronomico e perfino quello che riguarda il tè con il cibo. Non sempre l'arte di abbinare il vino a tavola produce risultati oggettivamente condivisibili: le variabili che influiscono sulla percezione del risultato sono decisamente molte. A questo si devono aggiungere inevitabilmente i gusti, la cultura e la sensibilità sia di chi formula l'abbinamento, sia di chi lo assaggia. Non sempre le cose coincidono o trovano un punto d'incontro comune. Esistono, in ogni caso, dei criteri e delle formule di abbinamento oggettivamente condivisibili e che procurano sempre un sicuro successo nell'ambito della medesima cultura e tradizione. Va infatti detto che anche cultura, tradizione, abitudini ed espressioni sociali dei luoghi e delle persone influiscono fortemente sull'accettabilità e la formulazione di un abbinamento enogastronomico.

 A titolo di esempio, si può citare il celeberrimo abbinamento delle ostriche con lo champagne, dettato più dall'ostentato sfoggio di benessere e ricchezza piuttosto che dall'effettiva armonia fra i due elementi. Per quello che mi riguarda, consapevole di trovare molti in disaccordo, l'abbinamento di champagne e ostriche produce semplicemente, per i miei sensi e il mio gusto, un risultato poco armonico, perfino contrastante. Ci sono poi alimenti che, nella maggioranza dei casi, rappresentano un'impresa piuttosto ostica quando si cerca di abbinarli al vino. Penso, per esempio, ai carciofi e finocchi crudi, cacao e cioccolato fondente: quando sono l'ingrediente prevalente di un piatto, l'abbinamento con il vino diviene decisamente complesso e complicato, seppure non impossibile. In questi casi, cercando di scongiurare l'insuccesso, è spesso preferibile abbinare una bevanda diversa, decisamente non un vino. Poi è vero che a volte è giusto osare e che certe sfide enogastronomiche sono motivo di grande soddisfazione, ma a volte è preferibile avere la consapevolezza di sapere rinunciare evitando di andare incontro al fallimento certo, soprattutto quando l'abbinamento è proposto a un numero elevato di persone.

 L'abbinamento del vino con il cibo è da sempre oggetto di discussione, confidando di scoprirne la formula infallibile. Esistono molti metodi e sistemi basati su fattori tecnici e che formulano i principi di abbinamento in accordo all'intensità e la qualità degli stimoli di cibo e vino, proponendo – evidentemente – un approccio quanto più oggettivamente condivisibile. Questi metodi tecnici, nonostante abbiano un'elevata percentuale di successo nell'accettabilità e gradimento, non possono comunque considerarsi esatti. Tutti questi metodi, in modo più o meno generale, si basano su principi di contrasto e analogia, cioè, si tende a contrastare reciprocamente certi stimoli sensoriali del vino e del cibo, oppure ad assecondarli con lo scopo di accentuarli. Questi principi si basano sia sulla fisiologia del gusto, sia su considerazioni di tipo chimico, cioè la capacità di certe sostanze nel legarsi ad altre, eludendo così la loro percezione tattile o sensoriale.

 Ci sono poi “metodi”, ma si farebbe meglio considerarle “indicazioni”, che si basano su principi dettati dalla tradizione e cultura di un luogo. Queste indicazioni non hanno un fondamento prettamente “tecnico”, spesso si basano semplicemente sulla disponibilità dei vini e cibi di un luogo, pertanto – sono in molti a sostenerlo – con la cucina locale si impone l'abbinamento con un vino altrettanto locale. Si deve riconoscere che, spesso, l'abbinamento risulta sia gradevole sia condivisibile in termini oggettivi, altre volte invece non esattamente armonico. In quest'ultimo caso, nella maggioranza dei casi, si insiste particolarmente sulla tradizione di un abbinamento – dettato unicamente dal principio che “così si fa da queste parti e così è sempre stato” – tralasciando qualunque altra considerazione, sia tecnica, sia soggettiva. Così come la “regola” che vuole l'abbinamento di un piatto nel quale il vino è ingrediente con il medesimo vino.

 Nella mia esperienza in fatto di abbinamento del cibo con il vino, sia per piacere personale, sia per motivi professionali, in tutti questi anni mi sono convinto che il successo di un abbinamento è inversamente proporzionale al numero di persone che lo assaggiano. Facile trovare avere successo con un abbinamento destinato a un ristretto numero di persone – e che magari si conoscono personalmente – decisamente più difficile quando è pensato per un vasto gruppo di individui. In quest'ultimo caso, soprattutto quando il gruppo è composto da diverse decine di soggetti, la probabilità di trovare una persona non esattamente soddisfatta dell'abbinamento è molto elevata. Questo accade, sia per il fatto che non si può evidentemente “accontentare tutti”, sia perché ognuno di noi è diverso da chiunque altro, non da meno per un semplice motivo di presunzione, vanità e l'atteggiamento di “criticare a prescindere” per ostentare una supposta, ma spesso vacua, competenza e affermare il proprio orgoglio.

 Infine, ci sono i gusti personali e, con quelli, c'è poco da dire o da disquisire. Del resto, l'antico adagio de gustibus non disputandum est, resiste nei secoli e di certo non per caso. A tale proposito, mi viene in mente un signore che ho conosciuto diversi anni fa, il quale apprezzava, e con vera convinzione, l'abbinamento del Brunello di Montalcino con la sogliola alla mugnaia. Questa combinazione non incontra il mio favore e gusto – ma non certamente per la nota e decisamente falsa regola che il vino rosso non si abbina con il pesce, tutt'altro – semplicemente perché ritengo l'abbinamento disarmonico e non solo dal punto di vista tecnico. Riconosco, in ogni caso, che sia io sia quel signore abbiamo ragione: la differenza di gusti, così come quella delle opinioni, è degna e rispettabile in ogni caso e per chiunque, almeno fino a quando non si cerca di imporla agli altri. Nell'abbinamento del cibo con il vino, conoscere la tecnica è importante, non da meno, la conoscenza approfondita e specifica di come i due elementi sono stati prodotti e quali sensi riescono a stimolare, oltre al gusto personale e un pizzico di talento. Perché, in definitiva, l'abbinamento del cibo con il vino è la ricerca del piacere delle emozioni attraverso i sensi. Esattamente come il teatro, la musica e la pittura: semplicemente l'arte dei sensi.

Antonello Biancalana



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