Tutto è iniziato con il mio interesse per la filosofia antica cinese e la
pratica delle arti marziali, il Méi Huā Quán e il Tài Jí Quán. A quei
tempi, in Italia e comunque nel cosiddetto mondo occidentale, qualunque
arte marziale cinese era semplicemente e genericamente detta Kung Fu
(più propriamente, Gōng Fu), anche se sarebbe stato più corretto dire
Wŭ Shù. In modo più specifico, tutto è iniziato con il mio interesse e
passione per il tè. Le pregiate foglioline della Camellia Sinensis,
infatti, sono citate in molti libri e scritti dell'antica Cina, una pianta – e
una bevanda – che hanno segnato profondamente la cultura e la filosofia di
quelle terre e della sua gente, arti marziali comprese. Io, in continua ricerca
di quello che, in fatto di tè, il mio Paese, l'Italia, non avrebbe mai potuto
offrirmi – siamo nella prima metà degli anni 1980 – ero costretto a cercare
altrove per soddisfare la mia sete di conoscenza sul tè.
Non c'era ancora Internet – o meglio, la celebre rete telematica esisteva già
da anni, ma non era ancora il fenomeno di massa che è diventato oggi –
pertanto stabilire e reperire contatti non era esattamente semplice o alla
portata di un click. Non restava che usare il telefono e spedire lettere
ovunque nel mondo – tante, tantissime lettere – e sperare che qualcuno
rispondesse. Vi chiederete, probabilmente, cosa c'entrino la filosofia antica
cinese, le arti marziali e il tè con il vino. Di certo, per la maggioranza, non
c'entrano nulla o poco, per me, in verità, molto. Perché è stato grazie al mio
spasmodico interesse per il tè – la continua ricerca e degustazione di tè
sempre più pregiati e rari – a educarmi all'analisi sensoriale. Una
disciplina che richiede – fra le tante – dedizione, studio, passione, rigore,
metodo, concentrazione, pratica infinita: esattamente come il Wŭ Shù o
qualunque altra arte marziale, senza distinzione alcuna.
La degustazione sensoriale del tè è – per molti aspetti – più complessa e
vasta di quella del vino poiché introduce elementi del tutto estranei alla
bevanda di Bacco. Non è mia intenzione sminuire la grandezza del vino – nella
sua interezza e per tutto quello che rappresenta – poiché la sua degustazione
sensoriale non è evidentemente né banale né semplice, tuttavia ritengo il tè
sia decisamente più complesso. Ammetto, comunque, che gli anni trascorsi a
praticare e studiare la degustazione sensoriale del tè hanno determinato
enormemente il modo con il quale degusto il vino. Lo stesso posso dire per
tutte le altre cose che sono parte dei miei interessi sensoriali, fra
questi birra, caffè, olio extravergine d'oliva, formaggi, distillati, cibo e
cucina, più in generale, la vita così come i sensi che sono la vita e
fanno vivere la vita. Un viaggio infinito che concede l'effimera illusione
della conoscenza e nella quale, in realtà, si camuffa sempre e abilmente una
crescente, desolante e incolmabile ignoranza, il più delle volte resa
invisibile da un insospettabile, sciocco e patetico orgoglio.
La degustazione sensoriale – del vino, di qualunque altra cosa capace di
stimolare emozioni e sensi – determina fortemente ciò che si percepisce in
modo più o meno consapevole e cosa rappresenta per noi stessi nel profondo. Si
tratta evidentemente di una scelta – consapevole o meno – che determina
chiaramente il modo con il quale ci confrontiamo o ascoltiamo il vino e le
cose. Sono consapevole che non a tutti interessa ascoltare il vino o le
cose – del resto, è così squisitamente legato al proprio concetto di
conoscenza e curiosità – e per alcuni la gratificazione di bere
un calice è più che sufficiente. Così come per alcuni è sufficiente celebrare
sé stessi attraverso il vino e quello che si vuole fargli raccontare o dire.
Sono scelte, appunto, come quella, per così dire, di accontentarsi di
poco. La degustazione sensoriale, ovviamente, non è una scienza esatta
poiché inevitabilmente condizionata dal soggetto che la esegue, dalla sua
capacità ed esperienza, sensibilità e allenamento dei propri sensi, attitudine
psicologica e intellettuale, non da meno, cultura, memoria e talento. E onestà.
L'onestà di ascoltare sinceramente i propri sensi senza permettere a stimoli e
coinvolgimenti alieni di inquinarli.
La degustazione sensoriale è un viaggio verso la bellezza. Nel corso di questo
viaggio, non sempre si fanno conoscenze che fanno pensare al bello
– e mi riferisco, nello specifico, ai difetti – tuttavia è anche grazie
a quello che si considera brutto se si arriva a una migliore comprensione del
bello. Del resto, si può considerare qualcosa come buono o bello – vino
compreso – quando lo si riconosce come tale. Questo presuppone, infatti,
l'esercizio critico del confronto fra quello che è, o consideriamo, brutto e
ciò che riteniamo bello. Senza la conoscenza o l'esistenza di quello che
consideriamo brutto, non sarebbe possibile definire e riconoscere ciò
che per noi è bello. In fin dei conti, un mondo fatto solamente di vini buoni
sarebbe perfino noioso. Un'utopia, ovviamente, ma anche un'irrealizzabile
perfezione poiché impossibile da realizzare in modo oggettivo proprio perché
fortemente condizionata dalla percezione soggettiva di ognuno di noi. La
bellezza è parte della cultura: per ognuno assume una forma di espressione
distinta e diversa, pertanto non opinabile.
La degustazione sensoriale è anche bellezza di un rito – una cerimonia – che
si ripete sempre con la medesima suggestione e, per certi aspetti,
mistero. Mi riferisco, ovviamente, alla degustazione sensoriale eseguita
con il cosiddetto metodo alla cieca, cioè senza alcuna conoscenza
preventiva di quello che si ha nel calice. Perché la bellezza della
degustazione sensoriale è proprio questa: trovarsi di fronte uno sconosciuto ed
essere costretti – per così dire – a guardarlo, osservarlo, ascoltarlo,
comprenderlo e confrontarsi con esso, cercando di scoprire e cogliere i suoi
segreti, la sua storia e quella di chi lo ha prodotto, la sua terra.
Un'esperienza nella quale non si può mai essere superficiali: l'attenzione e la
dedizione sono la chiave di tutto. È un viaggio senza fine e, probabilmente,
senza ritorno, poiché quando si ascolta il vino attraverso la
degustazione sensoriale, non si torna a guardarlo come prima. Anche questo è il
bello della degustazione sensoriale: il racconto infinito di un libro senza
tempo, nel quale ciò che conta realmente è l'emozione del nuovo che si rinnova,
della bellezza di ritrovare il rassicurante senso che conduce a nuovi
orizzonti. E vale per tutte le cose, non solo per il vino.
Antonello Biancalana
|