È sempre interessante, oltre che piacevole, leggere e conoscere le ricerche che
si conducono sul vino e in ogni suo aspetto produttivo, dalla vigna al
calice. Allo stesso modo, sono parimenti interessanti certi esperimenti
che tentano di produrre – e riprodurre – i vini del passato, impiegando, non
da ultimo, le medesime tecniche, con lo scopo di comprendere la storia del vino
e quello che l'ha reso così come lo conosciamo oggi. Chi mi conosce sa che non
ho nostalgia di certi vini del passato e di certi metodi o criteri
oramai desueti – nonostante, ovviamente, un vino quando è buono lo è a
prescindere dal metodo di produzione – ma è certamente interessante a livello
di conoscenza storica e di cultura personale. Allo stesso modo, trovo
interessanti le ricerche e gli esperimenti che guardano anche nella direzione
opposta, cioè alla ricerca e allo sviluppo della scienza e tecnica enologica,
poiché convinto – da sempre – che nel vino c'è ancora molto da scoprire e da
comprendere, nonostante gli straordinari sviluppi che si sono succeduti dalle
scoperte di Louis Pasteur fino a oggi.
Di recente hanno fatto notizia due avvenimenti legati al vino e che, per certi
aspetti, si contrappongono per le loro finalità enologiche: uno teso alla
comprensione di certi vini del passato, l'altro guardando al futuro e
decisamente molto in alto. Nel primo, infatti, si è prodotto vino seguendo
una tecnica impiegata dagli antichi greci e che prevede l'immersione delle uve
nelle acque del mare; nel secondo si sono addirittura spedite delle
bottiglie di vino nello spazio con lo scopo di studiare la maturazione e
l'evoluzione in assenza di gravità. Già altri hanno immerso bottiglie di vino
nelle acque marine, non da meno, anche fino a toccare il fondo, tuttavia
immergere direttamente i grappoli dell'uva per poi produrre vino, non mi
risulta sia stato fatto, almeno in tempi recenti. Si deve dire, infatti, che
esistono già altri esperimenti legati alla maturazione del vino nelle acque del
mare, all'interno di bottiglie opportunamente chiuse, per poi farle riemergere
dopo un certo periodo di tempo. Spedire invece il vino nell'esatta parte
opposta della terra, non solo in cielo, ma addirittura nello spazio, si tratta
della prima volta.
L'esperimento di immergere le uve in mare è stato condotto nei pressi
dell'Isola d'Elba dalla cantina Arrighi con la collaborazione del prof. Attilio
Scienza – figura di primario rilievo nel mondo del vino e ordinario della
cattedra di Viticoltura dell'Università degli Studi di Milano – le prof.sse
Angela Zinnai e Francesca Venturi, oltre alla dott.ssa Naomi Deaddis del corso
di Viticoltura ed Enologia dell'Università di Pisa. Per lo svolgimento di
questo interessante esperimento si sono utilizzati grappoli di uva Ansonica
– uva bianca tipicamente presente nell'Isola d'Elba – poiché considerata
simile a due antiche varietà greche diffuse nel territorio dell'Egeo: il
Rhoditis e il Sideritis. L'Ansonica è stata scelta per la resistenza della sua
buccia e che ne ha permesso la permanenza nelle acque marine senza subire
danni. L'esperimento ha voluto così replicare un'antica tecnica enologica greca
e utilizzata 2500 anni fa nell'Isola di Chio, la quale prevedeva – appunto –
l'immersione dei grappoli interi nel mare per poi essere recuperati e pigiati,
ottenendo quindi il mosto da trasformare in vino.
Il vino che è stato così ottenuto, appartenente all'annata 2018, si chiama
Nesos ed è prodotto in 40 bottiglie dall'Azienda Agricola Arrighi
dell'Isola d'Elba. Il processo è iniziato riempendo dei cestini di vimini con
l'uva Ansonica per poi lasciarli immersi in mare aperto – a circa dieci metri
di profondità – per cinque giorni. Questo ha consentito all'acqua salata del
mare di lavare la buccia dell'uva, in particolare, rimuovendo lo strato
superficiale di pruina (notoriamente composta, fra l'altro, da sostanze cerose)
e consentendo a una piccola quantità sale di penetrare all'interno dell'acino
per effetto dell'osmosi. Le uve sono state poi fatte appassire al sole, quindi
pigiate e il mosto fermentato in anfore di terracotta – cioè come avveniva
nell'antica Grecia – quindi affinato in bottiglia. La presenza del sale,
grazie al suo effetto antiossidante e disinfettante, ha consentito di evitare
l'uso di anidride solforosa. Le analisi chimico-sensoriali condotte in questo
vino, hanno permesso di rilevare che il contenuto di fenoli totale è due volte
superiore a un vino convenzionale e, dal punto di vista sensoriale, si
apprezza una maggiore sapidità e una minore acidità legata all'incremento delle
ceneri del vino. Da questo esperimento, inoltre, è stato realizzato un
documentario dal titolo Vinu Insulae diretto e prodotto da Stefano Muti.
Di tutt'altro scopo scientifico l'esperimento che si sta svolgendo sopra
le nostre teste, cioè nelle ragguardevoli altezze dello spazio. L'impresa è
stata promossa da una società del Lussemburgo la quale ha spedito nella
Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ben 12 bottiglie di vino francese. Lo
scopo non è quello di fare brindare gli astronauti che attualmente occupano
l'ISS – immaginiamo il loro disappunto – piuttosto di studiare gli effetti
della microgravità sullo sviluppo delle qualità organolettiche del vino. Le 12
bottiglie resteranno in orbita per 12 mesi e saranno successivamente
confrontate – al loro rientro sulla terra – con altre 12 bottiglie dello
stesso vino, affinate sul nostro pianeta. Prima di raggiungere lo spazio, le
bottiglie sono state opportunamente inserite in speciali contenitori di
metallo, con lo scopo di evitare rotture accidentali, e saranno conservate alla
temperatura di 18 °C. Lo scopo dell'esperimento è quello di valutare l'effetto
della microgravità nelle qualità sensoriali del vino, per poi essere applicato
anche agli alimenti.
Si tratta quindi di un esperimento pilota e che ha finalità ben più
ampie del vino, tuttavia è interessante che il primo elemento oggetto
dell'indagine sia stato proprio la bevanda di Bacco. Gli organizzatori
dell'esperimento sono infatti convinti che il vino maturato nello spazio possa
sviluppare qualità organolettiche diverse rispetto a quello conservato a terra,
supponendo, inoltre, l'acquisizione di un gusto e profumo migliore. Gli
organizzatori dell'esperimento suppongono inoltre lo sviluppo di qualità
sensoriali impossibili da ottenere sulla terra, ottenendo, quindi, nuovi
profumi e sapori. Tutto questo, si suppone, per effetto della microgravità e le
radiazioni spaziali sulle qualità organolettiche, così come sui batteri e
lieviti presenti nel vino, condizioni assenti nella superficie terrestre. Non
si hanno informazioni precise sul vino che è stato scelto per l'esperimento:
pare si tratti di vino francese e di qualità, nello specifico, di
Bordeaux. Due destinazioni diverse – le profondità del mare, le altezze dello
spazio – entrambi tese alla migliore conoscenza del vino, fra passato e
futuro. Immaginando la delusione degli astronauti dell'ISS che, vedendo
arrivare a bordo ben 12 bottiglie di vino, non potranno nemmeno assaggiarlo.
Tutto per il nobile scopo della scienza. Guardare, ma non toccare. Buon
viaggio, vino: la tua storia – già lunga, nobile e prestigiosa – non finisce
oggi e nemmeno domani. Di certo, non finisce q Antonello Biancalana
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