Lo sapevamo. Da mesi eravamo a conoscenza di quello che sarebbe accaduto al
mercato del vino. Una previsione, nemmeno tanto difficile da fare, e che
ovviamente si è verificata. Sapevamo da mesi che a causa della pandemia e il
protrarsi del conseguente impatto che ha avuto nell'economia, qualunque settore
produttivo ne avrebbe risentito in modo significativo e, per certi casi,
perfino devastante. Sapevamo anche le conseguenze economiche e delle misure
restrittive che hanno riguardato le attività commerciali legate al mondo del
vino avrebbero avuto un impatto pesantissimo per il mercato e per tutti i
produttori. Chi ha potuto ed era nella condizione economica per farlo,
ovviamente ha cercato di resistere ricorrendo alle risorse disponibili e che,
evidentemente, non erano e non sono illimitate. Chi non ha potuto, o ha
terminato le risorse a disposizione, ha cercato di rimediare per quanto
possibile, tentando comprensibilmente di non soccombere.
Nei mesi passati, e non è una novità, il mercato del vino a livello globale ha
subito un crollo significativo e certamente non prevedibile, sia a causa della
pandemia da Covid-19, sia per certe misure economiche e protezionistiche messe
in atto da certi paesi. Molti, a mio avviso in modo perfino avventato, hanno
salutato il prevedibile aumento delle cosiddette vendite on-line come
l'ancora di salvataggio per il mercato del vino. C'è perfino chi ha ipotizzato
che questo sarà il modo preferenziale per il futuro del mercato del vino e che
lo salverà dalla crisi di questi tempi. Non c'è dubbio che la vendita
attraverso piattaforme di e-commerce abbia in parte limitato i danni
prodotti dalla perdita delle vendite effettuate nei canali convenzionali.
Limitato, appunto, e probabilmente in modo trascurabile per molti. Le vendite
del vino on-line sono palesemente aumentate, soprattutto per il fatto che, in
molti casi, è stato ed è l'unico modo per acquistare vino.
Sono in molti a mettere in risalto gli straordinari incrementi del commercio
elettronico del vino che, in certi casi, è stato superiore anche del 400%. Un
valore che certamente pare eclatante, tuttavia non ha significato concreto
senza il confronto con il volume generato, in particolare con il volume
d'affari precedente alla situazione attuale. Se una cantina, infatti, prima
della pandemia, registrava, per esempio, un volume d'affari nelle vendite da
commercio elettronico di poche centinaia di euro al mese, un incremento del
400% non incide in modo significativo nella contabilità di un'azienda di
medie dimensioni. Questo perché, soprattutto, la vendita attraverso il
commercio elettronico riguarda prevalentemente il canale del dettaglio, fatto
di acquisti di alcune bottiglie, di certo non dei volumi che sono tipici della
grande distribuzione. Se a questo aggiungiamo la palese diminuzione della
capacità di spesa delle persone, la situazione si fa ancor più seria.
I ristoranti e le attività che da sempre costituiscono il principale canale di
vendita del vino, anch'esse in seria e gravissima difficoltà, costrette a non
potere svolgere il proprio lavoro, ha drasticamente inciso sul crollo delle
vendite. La conseguenza è che le cantine si trovano nella condizione di avere
una quantità di bottiglie invendute e di botti ancora piene e che, in qualche
modo, vanno smaltite. Non solo per il fatto di cercare il lecito profitto, ma
anche per liberare spazio per fare posto al vino della vendemmia 2020 e alle
bottiglie che saranno prodotte. Sappiamo che sono state attuate alcune misure
di recupero, autorizzando, per esempio, la distillazione straordinaria
di quantità ingenti di vino. A tale proposito, va considerato che alla
distilleria interessa unicamente la frazione alcolica del vino, di certo non la
denominazione o l'etichetta, nemmeno il prestigio o il lavoro svolto per
ottenere quel vino. L'alcol –cioè il prodotto che interessa le distillerie –
è sempre lo stesso, dai vini da tavola a quelli a Denominazione d'Origine
Controllata e Garantita: il prezzo è lo stesso per tutti.
Il vino nei ristoranti ha subito un enorme calo delle vendite, nei supermercati
– notoriamente – si vendono di preferenza quei vini che appartengono a una
certa fascia di prezzo, per così dire popolare, nelle enoteche anche le
etichette prestigiose, nel commercio elettronico si vende un po' di tutto.
Rimane comunque il fatto che le cantine e i consorzi hanno il problema di come
vendere quello che non è stato possibile vendere. Anche a costo di svendere i
loro prodotti, poiché sarebbe sempre più del prezzo pagato dalle distillerie.
Non a caso ho detto prodotti – alludendo evidentemente al vino –
escludendo ovviamente il marchio che, per molti produttori, rappresenta il
motivo principale dei loro profitti. Da sempre molti produttori di vino
– grandi e piccoli, consorzi compresi – effettuano la vendita dei loro vini
con marchi ideati appositamente, evitando così il coinvolgimento del marchio
primario, con lo scopo di vendere vini a un prezzo decisamente inferiore e
ottenendo così un profitto immediato.
Questo metodo di vendita riguarda tutte le categorie di vino, da quelli da
tavola ai DOCG, cioè a Denominazione d'Origine Controllata e Garantita.
Credo sia capitato a tutti di vedere nello scaffale di un supermercato un vino
DOC o DOCG a prezzi sorprendentemente bassi e inconsueti. Non è il caso di
sottolineare la qualità di quello che è all'interno della bottiglia: siamo
tutti d'accordo sul fatto che la qualità reale e concreta ha un costo
decisamente elevato. Quando un vino ha ottenuto il riconoscimento della
denominazione, cioè soddisfa i criteri produttivi previsti dal suo
disciplinare, ha pieno titolo di fregiarsi del relativo nome. Il disciplinare
di produzione, va detto, stabilisce unicamente i criteri produttivi e
geografici, non fa alcun riferimento al prezzo di vendita, nemmeno a quello
minimo. Questo significa che il produttore ha la facoltà di stabilire il prezzo
del suo vino, anche a prezzi decisamente più bassi della concorrenza e del
prezzo medio al quale la denominazione è solitamente venduta. Si potrebbe dire
che questo lede al prestigio della denominazione e disturba
evidentemente il suo mercato di riferimento, tuttavia – parafrasando una
celebre battuta – «è il libero mercato, bellezza».
Per quello che mi riguarda, io comprendo queste scelte di svendita da parte di
produttori e consorzi. Non mi sento nella posizione di criticare, comprendendo
le difficoltà del momento, sia economiche, sia logistiche e, soprattutto,
imprenditoriali. Non mi provoca alcun disagio, personalmente, vedere nello
scaffale di supermercati vini di territori blasonati e celebrati a prezzi
evidentemente improbabili e altamente discutibili. Nessuno mi costringe a
comperarli e, in effetti, non li acquisto. So bene, esattamente come chiunque
altro, che per mettere in bottiglia un vino ci sono costi fissi che incidono in
modo determinante. Facendo rapidamente un calcolo, è evidente che il prezzo
proposto per quelle bottiglie può coprire a malapena il costo di
imbottigliamento, figuriamoci quello del vino. Pertanto, chiunque è
assolutamente consapevole che in quella bottiglia non troverà un nettare
eccelso, nonostante il nome e la denominazione scritta in etichetta. Se
compero quel tipo di vini, non mi aspetto di certo di stupirmi dell'alta
qualità, piuttosto, di quella bassa se non scarsa, e questo è qualcosa che
tutti sanno ancor prima di mettere quella bottiglia nel carrello.
inoltre, sappiamo benissimo che quest'anno è stato molto difficile per tutti,
per ogni settore d'impresa, con perdite nei profitti molto elevate. Le cantine
– che evidentemente sono, prima di tutto, imprese – hanno notoriamente subito
le enormi conseguenze economiche imposte sia dalla pandemia, sia dalle
condizioni di mercato del 2020. Con il risultato di ritrovarsi quantità ingenti
di bottiglie invendute. E ogni bottiglia non venduta, occupa spazio e che non
sarà libero per le bottiglie della nuova annata. Quindi, per quello che mi
riguarda, comprendo perfettamente la necessità imprenditoriale di accettare la
perdita causata dalla svendita e che, certamente, sarebbe ancor più ingente
qualora pregiudicasse anche le produzioni future. Quindi si svende, si chiude
il capitolo 2020 con la consapevolezza della perdita e si riparte per il
futuro. Se poi negli scaffali troviamo vini blasonati a prezzi
ingiustificati, improbabili e largamente popolari, la scelta finale
spetta al consumatore. Scegliere, quindi, se accettare di acquistare una
bottiglia con qualità consapevolmente discutibile e prevedibile, pagata a
bassissimo prezzo, oppure lasciarla nello scaffale. Con buona pace per chi urla
allo scandalo di presunta lesa maestà.
Antonello Biancalana
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