Nell'immaginario collettivo degli appassionati, praticamente in modo unanime, il
vino gode di un'immagine decisamente solida e consolidata. Qualunque appassionato
o acquirente, pensando al vino e nel modo con il quale si presenta prima
dell'assaggio, lo raffigura verosimilmente all'interno di una bottiglia di vetro,
con un'etichetta in stile enologico, probabilmente sigillata con un tappo di
sughero. Inoltre, si aspetta di trovarsi nel calice una bevanda contenente una
certa quantità di alcol, confidando sia in equilibrio con il resto delle sue
qualità organolettiche. L'immagine cambia in funzione dello stile di vino: la
bottiglia che normalmente si utilizza per i vini spumanti non è chiaramente
associata – o accettata – per un vino rosso, qualunque esso sia, con
l'eccezione di certi vini frizzanti. Sicuramente uno spumante non lo si immagina
mai all'interno di una bottiglia bordolese oppure renana e non solo per motivi
tecnici. Nel vino, molto spesso, il modo con il quale è presentato, compreso il
suo vestito, anticipano indubbiamente le sue caratteristiche produttive e
sensoriali.
L'immagine che normalmente si ha del vino è così fortemente consolidata che
il cambiamento di alcuni dei suoi fattori, anche di pochissimo, è in genere
sufficiente a sollevare l'indignazione di molti appassionati. Si ricorderanno,
per esempio, gli infiniti dibattiti che si svolsero anni fa quando iniziarono a
fare la loro comparsa nel mondo enologico tappi diversi da quelli di sughero. Si
sollevarono crociate, anatemi e guerre ideologiche al grido vade retro
tappo sintetico – o qualunque altra soluzione diversa dal sughero – creando
pregiudizi, anche feroci, nei confronti del malcapitato vino contenuto nelle
impure bottiglie sigillate con i nuovi tappi inverecondi. Ci sono voluti alcuni
anni e, oggi, sebbene si rilevino ancora sparuti casi di sdegno, i tappi
alternativi a quelli di sughero sono praticamente accettati dai consumatori.
L'idea che i tappi alternativi al sughero siano adatti e, in molti casi, migliori
per la conservazione di certi vini, è oramai un fatto ampiamente accettato
nell'immaginario dei consumatori. Trovare una bottiglia con un tappo sintetico o
a vite non desta più lo sdegno e la delusione tipica degli anni passati.
Il vetro, invece, nell'immaginario degli appassionati di vino sembra essere un
elemento irrinunciabile e insostituibile. Almeno, per il momento. Eppure, in
questi tempi recenti, a causa delle nuove condizioni produttive ed economiche,
diversi produttori hanno segnalato la difficoltà nel reperire le bottiglie di
vetro, tanto da pensare di dovere lasciare il vino nelle botti o nelle vasche. In
verità, nel mondo del vino, da anni esistono soluzioni alternative, come le
confezioni di cartone, sia per la distribuzione di modeste quantità al pari della
bottiglia, sia per l'approvvigionamento casalingo tale da garantire il consumo
per più giorni, al pari delle dame di vetro, per esempio. È una soluzione
solitamente destinata ai vini di pronto consumo, senza nessuna pretesa
– dichiarata o presunta – di essere conservati per anni, come si farebbe con
una bottiglia di vetro. Il consumo dei vini confezionati in contenitori di
cartone, nonostante la diffidenza degli appassionati, rappresenta una quota di
mercato enorme, sia in termini economici sia per volume.
In tempi recenti, inoltre, c'è un altro contenitore che sta riscuotendo un certo
interesse – compreso l'inevitabile e sdegnoso sospetto – e che è notoriamente e
principalmente impiegato nel mercato delle bevande analcoliche e della birra: la
lattina in alluminio. Non è, di fatto, una novità recente poiché gli appassionati
italiani, per così dire, di lungo corso, ricorderanno il fenomeno nel vino in
lattina adottato da una cantina all'inizio degli anni 1980 e destinato al mercato
del pronto consumo. Nonostante le difficoltà burocratiche, quell'idea commerciale
ebbe comunque un discreto successo che poteva fare pensare a un futuro ben
diverso per quel mercato. Se è vero che in Italia il consumo del vino in lattina
è oggi un fenomeno decisamente marginale, in altri paesi – come per esempio gli
Stati Uniti d'America – rappresenta una non trascurabile quota di mercato. Sono
in molti, comunque, a scommettere che in un futuro non tanto lontano, il vino in
lattina diventerà consuetudine e non solo per i vini di pronto consumo.
Il vino, a quanto pare, sta inoltre vivendo una nuova rivoluzione e che si
esprime nel fenomeno dei vini dealcolati, notoriamente i vini ai quali è stato
parzialmente o completamente rimosso l'alcol. Mi sono già espresso in passato su
questo tipo di bevanda e, anche in questa occasione, ribadisco il mio non
interesse, nel senso che, a titolo personale, è una bevanda che non
acquisterei, esattamente come la birra analcolica. Si deve tuttavia prendere atto
che il vino dealcolato sta conquistando importanti risultati di mercato, segno
che – evidentemente – ci sono consumatori interessati a questa bevanda. Questo
fenomeno pare essere in crescita soprattutto negli Stati Uniti d'America e in
alcuni paesi europei. In Italia – a quanto pare – il vino dealcolato non
riscuote il favore dei consumatori che, nonostante sia calato il consumo di
bevande alcoliche in generale, quando si consuma vino si preferisce quello con
alcol.
Molti produttori di vino, italiani compresi, sostengono che la produzione e
commercializzazione del vino dealcolato rappresenti una nuova opportunità di
mercato e profitto. Sicuramente hanno ragione e i dati delle vendite lo
confermano. Secondo quanto diffuso da The World Bank, il consumo pro capite di
alcol puro – quindi delle bevande alcoliche in generale – ha registrato un
calo del 3,2% in Italia, 1,8% nel Regno Unito, 1,4% in Francia e Paesi Bassi,
1% in Germania. Chi sta invece registrando un significativo aumento, sono le
bevande considerate salutari, quindi con minore presenza di zuccheri e
alcol, con un modesto apporto di calorie. In particolare negli Stati Uniti
d'America, dove il fatturato complessivo di questo genere di bevande è passato da
22 a 113 miliardi di dollari. Nell'ultimo biennio si è inoltre registrato un
aumento del 25% dei vini con volume alcolico inferiore a 10 gradi, mentre quelli
dealcolati sono aumentati del 65%. In accordo alle previsioni dell'ISWR
(International Wines and Spirits Record) la vendita dei vini dealcolati
riferita a dieci paesi presi in esame (Australia, Brasile, Canada, Francia,
Germania, Giappone, Sud Africa, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti d'America) è
stimata con un aumento annuale medio dell'8%, mentre si prevede il
raddoppiamento dei volumi entro il 2025.
Per quello che mi riguarda – e come ho sempre sostenuto, non solo in queste
pagine – sono perplesso nei confronti del vino dealcolato, non tanto come
fenomeno, ma soprattutto e in particolare per motivi puramente sensoriali e
organolettici. Ognuno è libero di consumare e acquistare quello che ritiene più
salutare, coerente, giusto e affine alle proprie idee, stile e scelte di vita.
Non obietto, per esempio, la necessità di preferire una bevanda senza alcol per
motivi di salute, religiosi o ideologici: la libertà, anche in questo senso, deve
essere garantita a chiunque, a patto non leda quella degli altri. Dal punto di
vista organolettico, la rimozione dell'alcol nel vino determina
inequivocabilmente uno squilibrio sensoriale importante. Il vino è bevanda acida,
senza l'apporto di sostanze morbide capaci di contrastare efficacemente
questa sensazione, diviene imbevibile. Alla mancanza dell'alcol, quindi, è
inevitabilmente necessario supplire con equivalenti sostanze dalla natura
morbida così da equilibrare l'acidità e, in questo senso, le magie
enologiche sono davvero tantissime. Poi, alla fine, ognuno versi nel proprio
calice il vino – o non vino – che preferisce. Anzi, anche senza calice, visto
che potrebbe diventare del tutto inutile.
Antonello Biancalana
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