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Analisi Sensoriale del CiboL'abbinamento enogastronomico è la felice unione fra vino e cibo, un'arte spesso considerata difficile e che richiede in realtà solo un po' di buon gusto, curiosità e intraprendenza |
Si dice che la prova più impegnativa per un vino sia quella di confrontarsi con il cibo, ovviamente non con tutti i cibi, ma certamente con quelli che - almeno in teoria - siano a esso complementari dal punto di vista organolettico. La scelta di un vino da abbinare a una pietanza è spesso ritenuta difficile dalla maggioranza degli appassionati sia della bevanda di Bacco sia della buona tavola, spesso si ritiene che l'abbinamento enogastronomico sia una sorta di alchimia che solamente pochi eletti riescono a mettere in pratica. A tale proposito, quando si parla di abbinamento enogastronomico, è sempre opportuno ricordare due presupposti fondamentali. Prima di tutto, l'abbinamento definito secondo principi tecnici ha come finalità la formulazione di una proposta oggettivamente condivisibile e, secondo, la soggettività dell'abbinamento non può mai essere sostituita da una soluzione di tipo tecnico. Questo significa che se un individuo gradisce abbinare un vino bianco molto acido a un'insalata condita con molto aceto - una condizione sempre sconsigliata secondo i principi tecnici - nessuna regola o imposizione è né lecita né opportuna. Per questa ragione quando si parla di abbinamento enogastronomico - un'arte che ha come finalità la gratificazione dei sensi di un individuo nella complementarità o contrapposizione di vino e cibo - è sempre opportuno ricordare che si tratta di una proposta e non di una regola assoluta: in altre parole, il condizionale è sempre d'obbligo. Inoltre è bene ricordare che l'abbinamento enogastronomico può essere espresso anche secondo principi che non hanno nessun riscontro tecnico, come per esempio fattori tradizionali, culturali, stagionali, romantici, poetici e - soprattutto - personali. Ecco perché il famoso detto il pesce va sempre con il vino bianco - autentico tormentone fra le regole della comune enogastronomia - oltre a essere smentito da ovvi principi tecnici, potrebbe anche essere poco o per niente condivisibile da alcuni. Il segreto del successo nell'abbinamento enogastronomico è essenzialmente rappresentato dalla curiosità e dall'intraprendenza nello scoprire nuove sensazioni e nuovi gusti. Qualora si considerassero solamente le rigide regole tecniche dell'abbinamento, nessuno avrebbe l'idea - e la curiosità - di abbinare un vino dolce con un cibo salato e proteico come la carne o il formaggio. Le tradizioni di alcuni luoghi in cui si producono celebri e storici vini dolci, insegnano che anche questi vini si uniscono benissimo con arrosti di carne anche molto elaborati. Un esempio per tutti è il Sagrantino di Montefalco Passito - dolce e piuttosto tannico - tradizionalmente abbinato a pecorini stagionati e, nel pranzo Pasquale, con il robusto arrosto di agnello cucinato secondo la tradizione Umbra. Inoltre sono celebri - e certamente gustosi e gratificanti - i tanti abbinamenti fra vini dolci e formaggi erborinati e stagionati. Tuttavia la tradizione - anche se in questo caso sarebbe opportuno riconoscere che si tratta di un luogo comune - non sempre suggerisce abbinamenti gradevoli o ben riusciti, almeno dal punto di vista tecnico. Se si parla, per esempio, di ostriche o di caviale e si chiede il nome di un vino da abbinare, la risposta più probabile è Champagne o comunque uno spumante. In realtà - sempre dal punto di vista tecnico - questo è un abbinamento non corretto. La ragione della celebrità di questo abbinamento - come di tanti altri - è legato alla gratificazione derivata nell'unire due prodotti di lusso e costosi; un principio che certamente non gratifica le sensazioni organolettiche e che esalta invece il condizionamento psicologico.
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È innegabile che il cibo susciti negli uomini emozioni così diverse fra loro e che ognuno di essi abbia con questo un rapporto assolutamente personale. Per gli uomini il cibo non è solamente motivo di sopravvivenza, ovviamente non nelle condizioni disagiate in cui anche un piccolo pezzo di pane rappresenta il confine fra la vita e la morte ed è motivo di competizioni violente. È sufficiente osservare le tradizioni gastronomiche di ogni cultura e società per comprende che il cibo va oltre il semplice atto del mangiare. Certamente la cucina è uno di quei tantissimi ambiti della sfera umana in cui è possibile apprezzare l'estro dell'uomo - in questo caso in termini positivi - dove intuizione, fantasia e intelligenza si uniscono per creare qualcosa che vada oltre la necessità di nutrirsi e per garantire la sopravvivenza. Colori, aromi, gusti, sapori, contrasti e armonie sono solamente alcuni degli elementi che si trovano nel cibo e che svolgono un ruolo fondamentale nel piacere - forte e profondo - che va ben oltre la necessità del mangiare. Questi elementi - cioè la capacità di riconoscere e apprezzare questi ingredienti - rappresentano la differenza fra mangiare, gustare, contemplare, apprezzare e abbuffarsi con il cibo.
Osservare una persona mentre mangia è un'utile esercizio per la comprensione del suo rapporto con il cibo. Ci sono persone che si limitano semplicemente a portare il cibo in bocca senza considerare o valutare altri aspetti. Altri lo osservano, lo annusano, lo assaggiano e infine lo degustano, cercando di comprendere ogni aspetto della sua composizione, dagli ingredienti alla tecnica di cottura, dal modo in cui si presenta alle sensazioni che può suscitare. È innegabile che il nostro stile di vita moderno - frenetico, poco naturale e di cui noi tutti siamo responsabili - abbia contribuito a una progressiva distrazione verso determinate sensazioni e emozioni, non solo quelle legate al cibo, rendendoci spesso esseri piuttosto superficiali e frivoli, spesso attratti dall'illusione dell'apparenza. Probabilmente i nostri antenati vissuti qualche secolo fa, erano molto più attenti alle qualità del cibo e probabilmente lo guardavano, lo annusavano, lo assaggiavano prima di mangiarlo, in altre parole si assicuravano che - prima di tutto - non fosse nocivo. Questa è un'abitudine che noi uomini moderni abbiamo perso probabilmente a causa della relativa sicurezza offerta dall'industria alimentare, abituati all'idea che difficilmente potremmo trovarci difronte a un cibo cattivo o comunque nocivo. Chi ama la buona tavola non ne fa unicamente un fatto di gola: è innegabile che anche la gratificazione della gola regala soddisfazioni, tuttavia il vero buongustaio è colui che riesce ad apprezzare le singole qualità del cibo, ben diverso da chi invece mangia in modo compulsivo e distrattamente. Se ci sforzassimo a essere più critici e attenti a ciò che si mangia, probabilmente molti cibi di qualità discutibile - ma ben supportati da precisi interessi economici - non troverebbero più il favore della gente che sarebbe invece più attenta a ciò che sceglie come nutrimento. A onore del vero è bene ricordare che l'uso di certi ingredienti e l'impiego di specifiche tecniche di preparazione contribuiscono a nascondere i difetti e le carenze di alcuni cibi fino quasi a farli scomparire. Tanto più si è attenti e critici a ciò che si mangia, tanto più semplice sarà scoprire certi trucchi e apprezzare maggiormente il cibo. Questa capacità non è riservata a pochi: è sufficiente fare solamente attenzione a ciò che si trova nel proprio piatto e cercarlo di comprenderlo prima di assaggiarlo. Del resto ognuno ha capacità sensoriali tali da consentire l'analisi del cibo - ovviamente anche del vino, anch'egli cibo - l'importante è ricordarsi di possederli e di sforzarsi nel loro uso. Formulare un abbinamento enogastronomico significa - prima di tutto - avere la capacità e la volontà di conoscere ogni aspetto organolettico del cibo e del vino: solo dopo avere ben compreso questi fattori sarà possibile eseguire l'abbinamento in modo oggettivamente condivisibile. I nemici più temibili di questa impresa sono senza ombra di dubbio la distrazione e la superficialità; ottimi alleati sono l'esperienza, la conoscenza della cucina, degli ingredienti e delle tecniche di preparazione. Del resto, come si può esprimere un commento o un giudizio su ciò che non si conosce - o peggio ancora - di cui non si ha la volontà di conoscere? La valutazione organolettica di un cibo - così come di un vino - richiede concentrazione, curiosità e dedizione: attitudini che non sempre sono facili da mettere in pratica, soprattutto per coloro che per troppo tempo sono abituati a non porre la dovuta attenzione e concentrazione sui sensi impegnati nel bere o nel mangiare. Non è un'impresa difficile ne tanto meno impossibile: ogni persona - salvo i casi in cui si soffra di determinate patologie - dispone di sensi che inviano continuamente informazioni al cervello: è sufficiente un po' di attenzione e sforzarsi di ascoltare anche i segnali più deboli che il nostro sistema sensoriale è capace di rilevare.
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Nella maggior parte dei casi, valutare un cibo significa semplicemente assaggiarlo con la bocca, cogliere il suo sapore e deglutire, niente più. Questa operazione, nella sua essenzialità, richiede comunque il coinvolgimento di tre qualità sensoriali: il gusto, l'olfatto e il tatto. Il coinvolgimento del gusto - nella capacità di riconoscere i sapori fondamentali - è probabilmente scontato per molti, forse lo è un po' meno il coinvolgimento dell'olfatto - ma è bene ricordare che senza l'olfatto non esisterebbe il gusto - mentre il tatto consente di comprendere la consistenza di un cibo. In altre parole se la combinazione gusto-olfatto consente di riconoscere una mela da un cetriolo, è il tatto che ci consente di riconoscere un liquido da un solido, un cibo freddo da uno caldo. Valutare un cibo significa analizzare con attenzione non solo le qualità sensoriali sopra descritte, ma anche quelle derivanti dal senso della vista e dell'udito. La vista consente di comprendere l'aspetto - fondamentale ai fini dell'appagamento psicologico complessivo legato al cibo - mentre l'udito fornisce altre informazioni sulla freschezza e la qualità degli ingredienti. Un esempio per tutti potrebbe essere il suono prodotto dal mordere una carota fresca o una appassita, o il rumore prodotto dallo spezzare una tavoletta di buon cioccolato. L'aspetto di un cibo e il modo in cui presenta, rappresentano il primo punto d'incontro con il degustatore. L'aspetto - oltre a predisporre positivamente o negativamente il degustatore - offre importanti informazioni relativamente alla sua preparazione e agli ingredienti utilizzati. È innegabile che una pietanza dall'aspetto poco invitante incide negativamente sulla sua gradevolezza e questo fattore è ben conosciuto da cuochi, ristoratori e industrie alimentari che, ovviamente, fanno di tutto per sfruttare al meglio la presentazione del cibo. L'aspetto estetico di una pietanza è comunque importante: è indice di igiene e buona preparazione culinaria, tuttavia è bene ricordarsi che spesso l'apparenza inganna e ciò che è buono per gli occhi potrebbe non esserlo per il gusto. Valutare l'aspetto e la buona presentabilità della pietanza, ma non fermarsi mai a questa valutazione puramente superficiale e apparente. Le informazioni primarie che si cercheranno di comprendere dall'aspetto sono la qualità e la quantità degli ingredienti oltre alla tecnica di cottura e la modalità di preparazione. Si ricordi che il modo in cui è stato preparato un cibo influisce notevolmente sul suo gusto. Per esempio è sufficiente osservare delle verdure per comprendere se la loro cottura è stata eccessiva con conseguente perdita o alterazione delle qualità organolettiche e nutrienti. Un aspetto che pochi si soffermano a valutare durante l'assaggio di un cibo è il suo odore. L'aroma di un cibo - esattamente come nel vino - è un fattore di fondamentale importanza per comprendere ulteriormente la qualità e la quantità degli ingredienti, la sua gradevolezza e la modalità di preparazione, come per esempio l'uso di erbe aromatiche o spezie. Inoltre grazie all'olfatto è possibile riconoscere alcuni difetti di cottura, come per esempio gli odori di bruciato. La prima valutazione olfattiva sarà effettuata negli aromi complessivi di una pietanza. Portare il piatto in cui è stata servita la pietanza vicino al naso - o viceversa - e annusare complessivamente gli aromi facendo dei movimenti circolari in modo da percepire gli odori di tutta la pietanza. Annusare ciò che si assaggerà è di fondamentale importanza ed è bene ricordare che il gusto è una qualità sensoriale che si esprime anche attraverso gli aromi. Per comprendere l'importanza dell'olfatto nella valutazione del gusto, provare ad assaggiare dei cibi a occhi bendati e con il naso tappato: nella maggioranza dei casi sarà impossibile riconoscere anche i cibi più semplici e consueti. La fase successiva consiste nella valutazione della porzione di cibo che si introdurrà in bocca. Prendere una piccola parte del cibo con la forchetta e portarla all'altezza del naso e eseguire un'ulteriore valutazione olfattiva: probabilmente le qualità aromatiche del cibo saranno cambiate rispetto alla sua globalità. Introdurre il cibo in bocca e masticare bene, valutare tutte le sensazioni saporifere oltre all'impressione generale del gusto - cioè l'unione fra i sapori primari e l'olfatto - cercando di analizzare, proprio come nel vino, la corrispondenza dell'analisi gustativa con l'analisi olfattiva. In accordo alle comuni teorie sul gusto, i sapori primari sono quattro - dolce, salato, acido e amaro - tuttavia è bene ricordare che questa teoria, formulata più di cento anni fa, è stata smentita, o meglio completata, da alcuni studi condotti in Giappone all'inizio del 1900 e che solo recentemente si stanno accettando in occidente. Ai quattro sapori fondamentali sarebbe bene aggiungerne anche un quinto - il cosiddetto umami - presente in molti cibi e che svolge un ruolo fondamentale sul loro gradimento. Spesso e erroneamente associato al glutammato monosodico, l'umami è in realtà una sensazione saporifera molto più complessa, variamente descritta come un gusto sapido e appetitoso simile al brodo di carne. L'umami meriterebbe una trattazione molto più approfondita - ben oltre lo scopo di questa preliminare introduzione - tuttavia è innegabile che la sua presenza è percettibile nella complessità del gusto di un cibo, e molte delle salse tradizionali utilizzate nella cucina occidentale - così come la pizza e il Parmigiano Reggiano, tanto per dare qualche esempio - ne sono particolarmente ricche. L'ultima analisi svolta sul cibo riguarda la sua armonia e il suo equilibrio complessivo. Esattamente come per il vino, anche nel cibo si tende a premiare maggiormente le preparazioni in cui tutti gli ingredienti sono in armonia fra loro, dove l'uno esalta e completa l'altro senza prevalere eccessivamente. La qualità dell'equilibrio nei cibi è una caratteristica valutabile nei loro aromi e nel loro gusto, non da ultimo anche nell'aspetto. Per esempio, se in un cibo speziato non è possibile apprezzare l'aroma e il gusto dell'ingrediente principale, la sua armonia e il suo equilibrio saranno piuttosto scarsi, mentre in un cibo in cui la presenza delle spezie completa e consente di individuare le qualità organolettiche dell'ingrediente principale, l'armonia e l'equilibrio saranno elevati. Concludendo questa breve introduzione, vi diamo il suggerimento e il consiglio di porre maggiore attenzione sul cibo: siamo certi che il piacere di sedersi a tavola sarà maggiore. Infine è bene ricordare che mangiare non è degustare e che il cibo è anche fonte di piacere, non solo di sopravvivenza. Se così fosse, qualunque cosa commestibile sarebbe sufficiente a questo scopo.
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