La decisione di Spagna e Francia di creare denominazioni nazionali -
rispettivamente Vignobles de France e Viñedos de España - ha fatto
molto discutere e non solo nei paesi dove sono state attuate. Molti sono infatti
i detrattori di questi provvedimenti, secondo i quali una denominazione così
estesa non porterà benefici alla qualità enologica del paese anche a scapito
delle denominazioni di qualità attualmente in vigore. Molti sostengono che in
questo modo sarà possibile - per esempio - commercializzare vino mediocre
utilizzando i vantaggi di una denominazione che si avvale del nome e del
prestigio di un intero paese. Altri invece sostengono che questo provvedimento
sarà utile alla competizione con le produzioni enologiche di altri paesi
emergenti e che stanno conquistando quote di mercato ovunque nel mondo, in
particolare nei paesi dell'Asia, nei quali si registra un crescente interesse
per il consumo di vino. I sostenitori delle denominazioni nazionali sono inoltre
convinti del beneficio di produrre vini tali da esprimere le qualità della
stessa uva nell'unione di caratteristiche di zone diverse, come per esempio un
vino con gli aromi tipici di una zona e il corpo di un'altra.
I produttori italiani, che negli ultimi mesi hanno segnato importanti successi
nelle esportazioni di vino in tutto il mondo, sorpassando - addirittura - paesi
come la Francia, stanno considerando l'ipotesi di creare una denominazione
nazionale proprio per contrastare gli eventuali attacchi dei paesi che
l'hanno già attuata. Forti degli ottimi successi conquistati nel mondo dal vino
italiano, i produttori dello stivale si interrogano ora come mantenere questa
posizione, possibilmente conquistando nuove quote di mercato. Il problema di
come contrastare la concorrenza dei paesi vinicoli emergenti, sembra essere uno
dei temi più ricorrenti negli ultimi tempi in Europa. Il timore che i vini
prodotti nei cosiddetti paesi del Nuovo Mondo prenda il sopravvento nei
consumi del vecchio continente, sembra essere fondato e concreto. Paesi che non
hanno lunga storia o tradizione nella produzione di vino riescono infatti a
produrre vini di qualità proponendoli, addirittura, a prezzi decisamente
convenienti. E il consumatore, di fronte alla scelta di acquistare un vino buono
che costa poco e uno che costa il doppio, è ovvio cosa sceglie, almeno in
termini generali.
La decisione recente di consentire anche in Europa l'utilizzo dei trucioli di
legno nella produzione di vini è un esempio di come si stiano cercando metodi
alternativi ed economici così da ridurre i costi e - forse - il prezzo di
vendita. Adesso, oltre ai trucioli, potrebbero arrivare anche le denominazioni
nazionali, già in vigore in Francia e in Spagna: due metodi con il dichiarato
scopo di ottenere un vantaggio commerciale. L'idea dei francesi e degli spagnoli
pare stia facendo discutere i produttori italiani che si stanno interrogando
sull'opportunità di creare in Italia una denominazione nazionale. Nemmeno a
dirlo, ci sono pareri favorevoli e pareri contrastanti. Alcuni sostengono che
una denominazione Italia potrebbe essere utile a rafforzare la posizione dei
vini italiani nel mondo, mentre altri sostengono che una denominazione nazionale
sarebbe negativa per l'identità e la qualità delle denominazioni locali. Altri
ancora sostengono un punto di vista puramente commerciale, poiché le
denominazioni nazionali sono già in vigore in Francia e in Spagna - cioè nei due
principali concorrenti dell'Italia a livello internazionale - allora sarebbe
opportuno istituire una denominazione analoga in Italia così da rispondere
prontamente.
Se si osserva la realtà vinicola e ampelografica dell'Italia, l'eventuale
istituzione di una denominazione nazionale presenta dei problemi pratici
piuttosto complicati. Se prendiamo, per esempio, la denominazione nazionale
francese - Vignobles de France - questa consente la produzione di un vino
con uve - la stessa varietà - provenienti da più aree vinicole. Questo modello
potrebbe funzionare con le varietà autoctone della Francia, come per esempio
Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Sauvignon Blanc che negli altri paesi
del mondo sono considerate internazionali, ma cosa accadrebbe con le varietà
autoctone italiane? Come sarebbe possibile produrre, per esempio, un vino IGT
Italia con il Nebbiolo o con la Corvina? La Corvina è praticamente presente
nella sola Valpolicella, mentre il Nebbiolo è prevalentemente presente nel
Piemonte e in alcune zone della Lombardia, Valle d'Aosta e - ancor più
marginalmente - in Sardegna. Ma lo stesso si verificherebbe per altre uve
autoctone e più diffuse, come il Sangiovese, prevalentemente coltivato nel
Centro Italia.
L'unica alternativa attualmente praticabile sarebbe quella di produrre vini IGT
Italia con le sole uve internazionali, le uniche varietà presenti in ogni
regione. E sarebbe un bel paradosso: un vino che sventola trionfante in
etichetta il marchio Italia e prodotto con uve che non sono italiane. Che
immagine si darebbe del vino italiano nel mondo? Un paese, con una storia
enologica importante e antica, che per farsi rappresentare nel mondo utilizza le
varietà internazionali anziché le varietà autoctone di cui l'Italia è
ricchissima e che innegabilmente identificano il vino italiano. Avrebbe un
senso? In alternativa, si potrebbe iniziare la coltivazione delle varietà
italiane in ogni regione d'Italia così da potere produrre, per esempio, dei vini
IGT Italia a base di Nebbiolo, Corvina, Primitivo, Cannonau, Nero d'Avola,
Aglianico e via dicendo. Chissà se una proposta di questo tipo piacerebbe ai
produttori delle regioni nelle quali queste uve sono da secoli legate a quei
territori e le identificano in modo forte e inequivocabile. Chissà poi cosa e
penserebbero i consumatori.
Chi produce vino e lo fa per fini commerciali - nessun dubbio in questo - deve
evidentemente avere un profitto. Chi produce vino e da questa attività ricava un
profitto, deve necessariamente confrontarsi con la concorrenza, sia con i
produttori del proprio paese, sia con i produttori di altri paesi. Possibile che
per contrastare gli effetti della concorrenza si debba ricorrere a metodi che
avrebbero come risultato evidente quello di creare una preoccupate confusione?
Possibile che nessuno abbia mai pensato agli effetti negativi che potrebbero
verificarsi a causa di una denominazione nazionale di pessima qualità? Se una
denominazione nazionale dimostra - con i fatti - di produrre risultati mediocri
oppure pessimi, l'intera credibilità enologica del paese ne risentirebbe
pesantemente. Chi produce vino deve necessariamente confrontarsi con il profitto
e con la concorrenza. D'accordo. Ma a quale prezzo? Al prezzo di togliere
l'identità alle singole realtà vinicole che hanno impiegato anni per raggiungere
gli ottimi risultati attuali? Tutto questo per la concorrenza? Magari il
problema è da cercarsi altrove, anche nell'eterno problema della qualità venduta
al giusto prezzo. La qualità non è un fattore che dipende dalla tradizione,
dalla storia o dal nome di un paese: la qualità è un fattore che nasce da una
precisa scelta del produttore. Nessuno è disposto a pagare un alto prezzo per
qualcosa che, nei fatti, vale molto meno del prezzo richiesto. Nemmeno se
nell'etichetta legge Italia, Francia o Spagna.
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