La qualità di un vino, qualunque vino, è determinabile in funzione della
quantità e della natura dei suoi difetti. Maggiore la quantità di difetti,
minore la qualità. Da un punto di vista puramente teorico, il vino giunge alla
perfezione quando non presenta alcun difetto, di nessun tipo, di nessuna natura
o genere. Questa condizione, certamente utopistica, non solo è difficilmente
raggiungibile, ma risulterebbe anche noiosa dal punto di vista sensoriale e
organolettico. Non è certamente la perfezione a rappresentare la bellezza:
piuttosto l'armonia e l'equilibrio dei singoli elementi e come questi si pongono
in relazione rispetto agli altri, valutati in un quadro complessivo. Per
semplificare questo concetto, si prenda ad esempio un vino rosso maturato in
botte. Una delle funzioni principali di questo contenitore in legno, com'è noto,
è quello di provvedere all'ossidazione del vino, utile per la sua evoluzione.
Il fenomeno dell'ossidazione, com'è noto, è generalmente considerato nella
maggioranza dei casi e dei vini come un difetto, tuttavia quando questo fenomeno
è svolto lentamente e con un impatto ossidativo minimo e controllato, è capace
di migliorare alcuni aspetti olfattivi e gustativi di un vino. In questo caso
specifico, infatti, sono la quantità e la natura degli effetti dell'ossidazione
a classificare il fenomeno come pregio oppure come difetto. Un altro esempio
dell'influsso quantitativo di un fenomeno tale da determinare la qualità è
quello della Botrytis Cinerea, la cosiddetta muffa nobile. In
condizioni opportune tali da evitare lo sviluppo eccessivo di questa muffa, i
vini passiti traggono un notevole beneficio organolettico, sia nel gusto sia nei
profumi. Qualora questa muffa si sviluppasse in modo eccessivo, le uve
marcirebbero, pregiudicando non solo la loro qualità ma anche il risultato
enologico.
Quello che per certi vini è universalmente considerato un difetto, come ad
esempio l'ossidazione, per altri diventa non solo un pregio ma anche una
caratteristica principale e identificativa, come nel caso del Marsala e del
Jerez o Sherry. Se è vero che ci sono difetti che possono essere trascurabili in
funzione dello stile di vino, la maggioranza di questi sono considerati
all'unanimità come tali e in ogni caso pregiudicano la qualità di un vino. O
almeno si dovrebbero considerare, in termini generali, come difetti. La capacità
del riconoscimento dei difetti in un vino è uno dei fattori principali che
distinguono i veri degustatori tecnici dai semplici appassionati
che a volte si improvvisano esperti in questa disciplina. Se consideriamo poi il
ruolo del gusto personale - espressione assolutamente soggettiva, frutto di
condizionamenti psicologici, sociali e culturali - un difetto potrebbe anche
essere considerato come un pregio, un elemento a beneficio della qualità.
Nella pratica della degustazione professionale si attribuiscono ai difetti un
ruolo di primaria importanza, i quali, in funzione della loro presenza, sono
elementi molto determinanti nella valutazione della qualità. Per questo motivo,
nella degustazione professionale, la valutazione dei difetti di ogni singola
fase dell'esame - visivo, olfattivo e gustativo - si esegue prima dell'esame
delle qualità positive. I difetti sono i primi elementi sui quali il degustatore
pone la sua attenzione nella valutazione di un vino: solo dopo avere appurato
l'eventuale presenza e la natura di questi, procede con l'analisi degli elementi
positivi. Questo tipo di approccio è facilmente giustificabile - oltre che
essere un principio condivisibile - dal fatto che un vino di qualità è,
innanzitutto, un vino con il minore numero possibile di difetti. O, almeno, con
una quantità e natura dei difetti che influisca il meno possibile nella qualità
di un vino.
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Il colore giallo ambra nei vini
bianchi segnala il difetto di ossidazione | |
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La tecnologia enologica ha certamente contribuito in modo significativo alla
produzione di vini di maggiore qualità, consentendo praticamente a tutti i
produttori sia la prevenzione sia la cura di certi difetti nei vini, un tempo
piuttosto frequenti. Se è vero che oggi la maggioranza dei vini presenta una
quantità di difetti inferiore rispetto, per esempio, a venti anni fa, è anche
vero che spesso si verifica un eccesso di prevenzione, riscontrabile nelle
quantità di prodotti correttivi e stabilizzanti, tali da rappresentare essi
stessi un difetto. Si pensi, per esempio - ed è solo uno dei tanti che si
potrebbero fare - a un uso eccessivo di anidride solforosa, elemento utile per
la stabilizzazione del vino e la prevenzione di certi difetti, ma anche capace
di alterare in modo evidente il profilo olfattivo di un vino con il suo
caratteristico odore acre. Poiché un difetto è fattore negativo per l'integrità
qualitativa di un vino, anche un eccesso è da considerare allo stesso modo.
Forse sarà dovuto a qualche eccesso preventivo o correttivo, forse la tecnica
enologica e certe pratiche viticolturali hanno prodotto un impatto eccessivo sul
profilo organolettico dei vini, che oggi sembra verificarsi un evidente
cambiamento dei parametri qualitativi. Se un tempo la minima traccia di
ossidazione in un vino - bianco o rosso, senza distinzione - così come l'accenno
di contaminazioni da batteri acetici, portavano a considerare quel vino come
grossolano e prodotto in modo discutibile, oggi, questi difetti, sembrano
trovare il consenso di molti appassionati. La predilezione per qualità
organolettiche riconducibili agli effetti dell'ossidazione o all'eccesso di
acidità volatile può certamente trovare appassionati che riescono a trovarli
gradevoli e positivi, tuttavia - dal punto di vista puramente tecnico - questi
sono e restano difetti. Anche la presenza di altri difetti ben più gravi possono
incontrare l'apprezzamento di certi consumatori, spesso associati a segni
inequivocabili di genuinità del vino.
Un esempio significativo, in questo senso, è la percezione di sensazioni
olfattive riconducibili all'effetto dei lieviti brettanomyces, capaci di
caratterizzare i vini con odori piuttosto sgradevoli. Le tipiche sensazioni
olfattive che si sviluppano in presenza di brettanomyces riconducono
sovente a odori che ricordano il sudore di cavallo e il cane bagnato, sensazioni
che non tutti riescono a rilevare a causa della personale soglia di percezione
olfattiva. Quando presenti in quantità lievi, certi odori - come quelli prodotti
dai brettanomyces - possono confondersi con il quadro olfattivo
complessivo del vino fino a risultare del tutto ignorati. I difetti nel vino
possono essere infatti piuttosto insidiosi, soprattutto nel caso il degustatore
si concentri eccessivamente - o esclusivamente - alla ricerca delle qualità
positive trascurando completamente la preliminare analisi dei difetti.
Ci sono invece odori che, senza appello, sono considerati difetti gravi da
tutti, difetti che, inequivocabilmente, portano al rifiuto del vino. Uno di
questi è il cosiddetto odore di tappo, provocato dal tristemente celebre
2,4,6-tricloroanisolo, in breve TCA, sostanza che si sviluppa in presenza
dell'Armillaria Mellea, un fungo parassita della quercia da sughero.
L'odore di tappo non è semplice da descrivere, ma diviene inconfondibile dopo
averlo percepito per la prima volta. Vagamente simile agli odori prodotti dal
cartone bagnato, muffa, cane bagnato e cantina umida, l'odore di tappo è spesso
citato da pseudo esperti, che alla presenza di un qualunque odore
sospetto, lo identificano con questo odore. Talvolta confuso con le
caratteristiche olfattive conferite al vino da un eccessivo uso della botte
oppure con altri difetti riconducibili a muffe, l'odore di tappo è talvolta
confuso con il difetto di riduzione, di natura totalmente diversa.
Il riconoscimento dei difetti è una pratica complessa, sicuramente più difficile
del riconoscimento delle qualità positive di un vino. Abbiamo citato, per
esempio, i difetti di riduzione e di brettanomyces - e la stessa
considerazione è valida anche per l'odore di tappo - i quali odori sono
facilmente riconoscibili sia adottando la giusta tecnica di analisi olfattiva e
gustativa, sia dall'importante ruolo dell'esperienza. Non si può, infatti,
riconoscere un difetto - parimenti, una qualità positiva - nel caso in cui non
si conosca quello specifico odore. Del resto, si riconosce solo quello che si
conosce. La stessa considerazione, come detto, è valida per le qualità positive
di uno vino: sarà impossibile riconoscere, per esempio, il piacevole profumo del
lychee quando non si conosce né questo frutto né il suo caratteristico aroma. Lo
stesso vale per qualunque altro odore, sia esso un difetto oppure una qualità
positiva.
Le qualità organolettiche positive - in termini generali - sono comunque più
semplici da riconoscere, grazie soprattutto all'analogia che si utilizza durante
la valutazione organolettica di un vino, poiché l'associazione è fatta con
elementi e sostanze più familiari rispetto a quelle associabili a difetti.
Inoltre, la minore presenza e incidenza dei difetti nei vini moderni, hanno
portato il degustatore - ma più spesso, l'appassionato - a trascurare questo
aspetto, confidando sulla bontà di un vino, spesso assicurata dalla maggiore
qualità che il progresso tecnologico ed enologico ha portato nelle cantine. Come
già detto, i progressi fatti in ambito enologico, hanno permesso una maggiore
diffusione e disponibilità di tecniche e prodotti utili al miglioramento dei
vini. Questo ha portato a una notevole riduzione della presenza di difetti e
malattie, facendo inoltre considerare il vino, dal punto di vista organolettico,
una bevanda prevalentemente costituita da qualità positive e trascurando
l'eventuale presenza di difetti.
L'eccesso di certe pratiche enologiche, anche di tipo correttivo e conservativo
- da considerarsi comunque difetti - ricevono maggiore attenzione rispetto ai
difetti veri e propri. Dal punto di vista sensoriale, uno stimolo olfattivo e
gustativo è facilmente identificabile quando questo è palesemente presente, con
un'intensità tale da risultare dominante. Anche il difetto, quando raggiunge
intensità tale da essere dominante, è facilmente riconoscibile, anche se non
propriamente identificabile, ma comunque sufficiente a fare comprendere che il
quadro organolettico del vino è disturbato da un elemento estraneo. La
difficoltà nel riconoscimento dei difetti, non è infatti solamente rappresentata
dalla capacità di conoscerli e quindi riconoscerli: spesso la loro intensità è
tale da non superare quella delle altre sensazioni organolettiche, tanto da
passare inosservati proprio per la maggiore attenzione che si pone a tutto il
resto.
Per questo motivo, è di fondamentale importanza concentrarsi sui difetti prima
ancora di analizzare le qualità positive di un vino. Nelle prime olfazioni, il
livello di assuefazione sensoriale è del tutto inesistente, pertanto il naso si
trova in una condizione incontaminata e che consentirà più facilmente di
percepire i difetti. Questa capacità diminuisce con il procedere delle olfazioni
e, non da ultimo, con l'intensità olfattiva dei difetti che tenderà a svanire
con il tempo, sia per la minore sensibilità del naso, sia per l'effetto
dell'ossigeno che potrebbe disperdere i componenti volatili del difetto. A
titolo di esempio, si può svolgere questo semplice esperimento: si prenda un
vino contaminato dall'odore di tappo e si proceda con una preliminare olfazione.
L'odore del difetto di tappo sarà piuttosto evidente e intenso, probabilmente
dominante rispetto agli altri aromi. Si proceda con ripetute olfazioni: l'odore
di tappo, benché presente, sembrerà diminuire la sua forza. Si provi adesso a
roteare energicamente il calice, così da favorire una forte ossigenazione del
vino, quindi, si proceda con un'ulteriore olfazione: l'odore di tappo risulterà
più attenuato, comunque presente, rispetto a tutti gli altri aromi.
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