Prima di affrontare la palese provocazione del titolo di questo editoriale, è
opportuno fare una doverosa premessa: l'anidride solforosa non è una sostanza
salutare, condizione che si determina, come sempre, dalla quantità che si
impiega, dall'uso e dall'abuso. L'anidride solforosa non è nemmeno il male
assoluto del vino - come si sta cercando di sostenere da più parti - attribuendo
a questa sostanza il potere discriminante che definisce un vino buono e genuino
da uno sofisticato e adulterato. Altra doverosa precisazione: poiché la salute è
un argomento di evidente interesse collettivo - tutti si augurano di vivere in
buona salute - è fin troppo evidente che anche un vino salutare è nell'interesse
di tutti, produttori onesti e consumatori, senza eccezione alcuna. Pertanto,
se è vero che l'anidride solforosa può essere una sostanza nociva per
l'organismo - soprattutto nei soggetti particolarmente sensibili a questo
elemento - la riduzione del suo impiego è certamente auspicabile nell'ottica di
un vino più salutare.
A guardare quello che sta accadendo nel mondo del vino negli ultimi anni, sembra
essere in corso una vera e propria guerra contro l'anidride solforosa - a tratti
perfino spietata - come non si è mai visto in passato, come non si è mai visto
per nessuna altra bevanda o cibo. L'anidride solforosa è ampiamente utilizzata
dall'industria alimentare e delle bevande, talvolta impiegata in quantità anche
maggiori di quanto non si faccia nel vino, eppure non mi sembra che questo
susciti lo stesso clamore, la stessa feroce opposizione che si verifica per il
vino. Inutile fare esempi di alimenti e bevande dove l'anidride solforosa è
largamente impiegata: l'elenco sarebbe estremamente lungo e noioso. Inoltre, per
scoprire quanto l'anidride solforosa sia ampiamente impiegata, è sufficiente
fare quello che spesso non si fa quando si va al supermercato: leggere la lista
degli ingredienti nelle etichette di quei prodotti che con molta disinvoltura, e
troppa fiducia, si mettono nel proprio carrello.
Non è difficile scoprirlo: le indicazioni più frequenti includono anidride
solforosa, contiene solfiti, oppure le celebri sigle contrassegnate dalla
lettera E, con numeri compresi fra 220 e 229, categoria che identifica i
solfuri, comunemente utilizzati come conservanti, con l'eccezione del
bisolfito di calcio (E227) che possiede anche proprietà addensanti. A titolo di
completezza, il metabisolfito di potassio, cioè la sostanza principalmente usata
in enologia per la produzione di anidride solforosa, si identifica con la sigla
E224. Eppure nessuno, o forse pochi, sollevano obiezioni su certi prodotti
nei quali sono evidentemente presenti solfiti con lo scopo di conservarli. Li
acquistiamo felici e spensierati, li portiamo a casa e li consumiamo con piacere
e soddisfazione. Il vino no: nella povera bevanda di Bacco anche il minimo
sospetto della presenza di solfiti può portare ad accese discussioni, fino ad
accusare il produttore di sofisticazione, quasi fosse un atto criminale.
Peccato poi scoprire che l'anidride solforosa è naturalmente presente nel vino e
anche se non viene aggiunta dall'uomo, ci pensano i lieviti a prodursela in
proprio. Va detto che la produzione di anidride solforosa ad opera dei lieviti
durante la fermentazione può raggiungere anche 40mg per litro - a seconda del
tipo - tuttavia la quantità media è di circa 20-25mg per litro. Quantità
decisamente inferiore rispetto a quella generalmente aggiunta in produzione che
- va ricordato - è stabilita per legge e pari a 200mg per litro per i vini
bianchi e 150mg per i rossi. Sempre per motivi di chiarezza, va detto che la
dose massima fissata dalla legge è difficilmente raggiunta e - in buone
condizioni viticolturali ed enologiche - i valori sono anche inferiori alla
metà. Sia chiaro: non sto cercando minimamente di giustificare o supportare
l'uso dell'anidride solforosa in cantina, semplicemente, mi permetto di
raccontare dei fatti concreti.
L'uso dell'anidride solforosa in cantina è una pratica molto antica: non solo
impiegata per la conservazione e la sanità del vino, ma anche per la
sanificazione di contenitori vinari e degli ambienti dove si produceva vino.
Prima dell'uso del metabisolfito di potassio, l'anidride solforosa era prodotta
in cantina mediante la combustione di micce o dischi di zolfo, pratica che -
visto il suo impiego oramai secolare - si potrebbe definire perfino
tradizionale. Questa pratica - alla quale si attribuisce anche un
significato romantico e genuino - è in realtà di difficile
controllo poiché non è possibile conoscere a priori l'esatta quantità di
anidride solforosa addizionata al vino. L'impiego del moderno e
cattivissimo metabisolfito di potassio offre un maggiore controllo,
poiché ogni grammo produce circa 0,55 grammi di anidride solforosa. Insomma,
nonostante il metabisolfito di potassio sia considerato il male assoluto del
vino, questo consente in realtà un uso consapevole e ragionato dell'anidride
solforosa.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che l'anidride solforosa non sia la più salutare
delle sostanze e limitare il suo uso in enologia sarebbe auspicabile,
considerato anche il potere di questo elemento nell'alterare il profilo
organolettico del vino. Io ho il sospetto che dietro la battaglia contro la
solforosa si nasconda l'ennesima moda del vino, un argomento del quale tutti
possono parlare, perfino con semplicità e anche senza il conforto di una
preparazione enologica di base: del resto, visto che se ne parla molto, un
motivo deve pur esserci. Se ne parla come se fosse il problema principale del
vino - anzi, il peggiore di tutti - anche se, personalmente, ritengo che i veri
problemi del mondo dell'enologia siano altrove e fa certamente comodo tenerli
nascosti. I produttori, bontà loro, poiché cercano legittimamente di conseguire
un profitto dal loro lavoro, assecondano questa moda e cominciano a produrre
vini mettendo in risalto il fatto che non contengono solfiti aggiunti. C'è anche
chi, furbescamente, sostiene che i propri vini non contengono solfiti,
condizione piuttosto improbabile, visto che i lieviti producono comunque questa
sostanza. Il mio punto di vista resta, anche in questo caso, sempre lo stesso:
calice alla mano, il vino pretendo di valutarlo con i miei sensi, al di fuori
delle parole e delle mode. E qualora i palesi difetti di un vino fossero
giustificati dicendo che è prodotto senza aggiungere solfiti, questo non è un
merito: è un'aggravante.
Antonello Biancalana
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