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  Editoriale Numero 119, Giugno 2013   
Il Vino è Solo Anidride SolforosaIl Vino è Solo Anidride Solforosa  Sommario 
Numero 118, Maggio 2013 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 120, Estate 2013

Il Vino è Solo Anidride Solforosa


 Prima di affrontare la palese provocazione del titolo di questo editoriale, è opportuno fare una doverosa premessa: l'anidride solforosa non è una sostanza salutare, condizione che si determina, come sempre, dalla quantità che si impiega, dall'uso e dall'abuso. L'anidride solforosa non è nemmeno il male assoluto del vino - come si sta cercando di sostenere da più parti - attribuendo a questa sostanza il potere discriminante che definisce un vino buono e genuino da uno sofisticato e adulterato. Altra doverosa precisazione: poiché la salute è un argomento di evidente interesse collettivo - tutti si augurano di vivere in buona salute - è fin troppo evidente che anche un vino salutare è nell'interesse di tutti, produttori “onesti” e consumatori, senza eccezione alcuna. Pertanto, se è vero che l'anidride solforosa può essere una sostanza nociva per l'organismo - soprattutto nei soggetti particolarmente sensibili a questo elemento - la riduzione del suo impiego è certamente auspicabile nell'ottica di un vino più salutare.


 

 A guardare quello che sta accadendo nel mondo del vino negli ultimi anni, sembra essere in corso una vera e propria guerra contro l'anidride solforosa - a tratti perfino spietata - come non si è mai visto in passato, come non si è mai visto per nessuna altra bevanda o cibo. L'anidride solforosa è ampiamente utilizzata dall'industria alimentare e delle bevande, talvolta impiegata in quantità anche maggiori di quanto non si faccia nel vino, eppure non mi sembra che questo susciti lo stesso clamore, la stessa feroce opposizione che si verifica per il vino. Inutile fare esempi di alimenti e bevande dove l'anidride solforosa è largamente impiegata: l'elenco sarebbe estremamente lungo e noioso. Inoltre, per scoprire quanto l'anidride solforosa sia ampiamente impiegata, è sufficiente fare quello che spesso non si fa quando si va al supermercato: leggere la lista degli ingredienti nelle etichette di quei prodotti che con molta disinvoltura, e troppa fiducia, si mettono nel proprio carrello.

 Non è difficile scoprirlo: le indicazioni più frequenti includono “anidride solforosa”, “contiene solfiti”, oppure le celebri sigle contrassegnate dalla lettera “E”, con numeri compresi fra 220 e 229, categoria che identifica i solfuri, comunemente utilizzati come conservanti, con l'eccezione del bisolfito di calcio (E227) che possiede anche proprietà addensanti. A titolo di completezza, il metabisolfito di potassio, cioè la sostanza principalmente usata in enologia per la produzione di anidride solforosa, si identifica con la sigla “E224”. Eppure nessuno, o forse pochi, sollevano obiezioni su certi prodotti nei quali sono evidentemente presenti solfiti con lo scopo di conservarli. Li acquistiamo felici e spensierati, li portiamo a casa e li consumiamo con piacere e soddisfazione. Il vino no: nella povera bevanda di Bacco anche il minimo sospetto della presenza di solfiti può portare ad accese discussioni, fino ad accusare il produttore di sofisticazione, quasi fosse un atto criminale.

 Peccato poi scoprire che l'anidride solforosa è naturalmente presente nel vino e anche se non viene aggiunta dall'uomo, ci pensano i lieviti a prodursela in proprio. Va detto che la produzione di anidride solforosa ad opera dei lieviti durante la fermentazione può raggiungere anche 40mg per litro - a seconda del tipo - tuttavia la quantità media è di circa 20-25mg per litro. Quantità decisamente inferiore rispetto a quella generalmente aggiunta in produzione che - va ricordato - è stabilita per legge e pari a 200mg per litro per i vini bianchi e 150mg per i rossi. Sempre per motivi di chiarezza, va detto che la dose massima fissata dalla legge è difficilmente raggiunta e - in buone condizioni viticolturali ed enologiche - i valori sono anche inferiori alla metà. Sia chiaro: non sto cercando minimamente di giustificare o supportare l'uso dell'anidride solforosa in cantina, semplicemente, mi permetto di raccontare dei fatti concreti.

 L'uso dell'anidride solforosa in cantina è una pratica molto antica: non solo impiegata per la conservazione e la sanità del vino, ma anche per la sanificazione di contenitori vinari e degli ambienti dove si produceva vino. Prima dell'uso del metabisolfito di potassio, l'anidride solforosa era prodotta in cantina mediante la combustione di micce o dischi di zolfo, pratica che - visto il suo impiego oramai secolare - si potrebbe definire perfino tradizionale. Questa pratica - alla quale si attribuisce anche un significato romantico e genuino - è in realtà di difficile controllo poiché non è possibile conoscere a priori l'esatta quantità di anidride solforosa addizionata al vino. L'impiego del moderno e cattivissimo metabisolfito di potassio offre un maggiore controllo, poiché ogni grammo produce circa 0,55 grammi di anidride solforosa. Insomma, nonostante il metabisolfito di potassio sia considerato il male assoluto del vino, questo consente in realtà un uso consapevole e ragionato dell'anidride solforosa.

 Siamo tutti d'accordo sul fatto che l'anidride solforosa non sia la più salutare delle sostanze e limitare il suo uso in enologia sarebbe auspicabile, considerato anche il potere di questo elemento nell'alterare il profilo organolettico del vino. Io ho il sospetto che dietro la battaglia contro la solforosa si nasconda l'ennesima “moda del vino”, un argomento del quale tutti possono parlare, perfino con semplicità e anche senza il conforto di una preparazione enologica di base: del resto, visto che se ne parla molto, un motivo deve pur esserci. Se ne parla come se fosse il problema principale del vino - anzi, il peggiore di tutti - anche se, personalmente, ritengo che i veri problemi del mondo dell'enologia siano altrove e fa certamente comodo tenerli nascosti. I produttori, bontà loro, poiché cercano legittimamente di conseguire un profitto dal loro lavoro, assecondano questa moda e cominciano a produrre vini mettendo in risalto il fatto che non contengono solfiti aggiunti. C'è anche chi, furbescamente, sostiene che i propri vini non contengono solfiti, condizione piuttosto improbabile, visto che i lieviti producono comunque questa sostanza. Il mio punto di vista resta, anche in questo caso, sempre lo stesso: calice alla mano, il vino pretendo di valutarlo con i miei sensi, al di fuori delle parole e delle mode. E qualora i palesi difetti di un vino fossero giustificati dicendo che è prodotto senza aggiungere solfiti, questo non è un merito: è un'aggravante.

Antonello Biancalana






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