Nel mio percorso di formazione consapevole nel mondo del vino, iniziato oltre
venti anni fa, uno dei tanti fattori che hanno determinato la mia conoscenza
– o ignoranza, secondo i punti di vista – è stata la lettura di
innumerevoli libri, non da meno, l'avere degustato migliaia di vini dei quali
ho perso oramai il conto. La lettura è, infatti, uno dei piaceri che mi
accompagna dal momento in cui, da bambino, ho imparato a leggere: un'esigenza
intima che mi ha portato a leggere avidamente libro dopo libro. E non ho mai
smesso di farlo. Dei tanti libri che ho letto dedicati al vino all'inizio del
mio percorso di formazione – inclusi quelli di enologia, viticoltura,
degustazione sensoriale e chimica enologica – rimasi estremamente colpito da
quelli di Émile Peynaud. Personaggio di enorme impatto e competenza, indiscusso
padre dell'enologia moderna, il celeberrimo e magnifico enologo francese ha
infatti scritto opere di sicuro riferimento per chiunque si interessi
seriamente al vino e non solo a livello professionale.
C'è un pensiero di Émile Peynaud, ovviamente uno dei tanti, che mi ha colpito
profondamente nel momento esatto in cui lo lessi e che ancora oggi è ben
impresso nella mia mente: «Siete voi (consumatori) che in un certo senso fate
la qualità. Se ci sono vini cattivi è proprio perché ci sono dei cattivi
bevitori. Il gusto è conforme alla rozzezza dell'intelletto: ognuno beve il
vino che merita». A molti può sembrare una considerazione eccessiva e perfino
discriminatoria, per altri – compreso il sottoscritto – rappresenta un
pensiero di profonda cultura che esprime innegabilmente una verità consolidata
e un dato di fatto. Si deve inoltre comprendere il periodo nel quale questo
fondamentale pensiero fu espresso da Èmile Peynaud. Facile oggi trovare vini
esenti da difetti grossolani – tuttavia è inquietante constatare ai giorni
nostri quanto questa moda sia ancora tristemente attuale – cosa che invece
era decisamente più frequente negli anni 1980. Se valutiamo, quindi, il celebre
pensiero di Èmile Peynaud con la situazione enologica degli anni passati,
rivela non solo la condizione di quel tempo, ma anche un'immutabile verità.
Conservo nella mia memoria, come inestimabile insegnamento, il pessimo ricordo
di quei vini così sgraziati e con difetti imbarazzanti quanto grossolani, che
ancora oggi, quando me li ritrovo nel calice – con meno frequenza rispetto a
quei tempi, ma comunque non infrequente – mi tornano in mente quelle parole di
Émile Paynaud. La qualità, in fin dei conti, la fanno i consumatori: se certi
produttori continuano a fare vini con palesi difetti – e magari li trovano
perfino buoni, migliori degli altri oltre che perfetti – significa
evidentemente che li vendono e hanno clienti capaci di apprezzarli. Una banale
legge imprenditoriale e di mercato: se un prodotto si vende, indipendentemente
dalla sua reale qualità, significa che ci sono consumatori disposti ad
acquistare e apprezzare quella qualità. Eppure, a questi vini, non
riesco proprio a riconoscere alcuna eleganza o qualità: mi sembrano piuttosto
un insulto al territorio dal quale nascono e alle loro uve, ancor peggio quando
sono pomposamente proposti come la vera espressione di quelle terre.
Non c'è alcuna eleganza in un difetto, non c'è eleganza nemmeno in chi,
con malcelata buona fede, cerca di convincere gli altri sostenendo che è
proprio quella sgraziata caratteristica a fare la qualità di quel vino e del
territorio. Non si tratta di sostenere l'utopistica ricerca della perfezione
– che, ammesso sia possibile creare o trovare, sarebbe perfino noiosa –
tuttavia è evidente che, in certi casi, la mancanza di eleganza nei vini è
quantomeno un abuso dell'intelligenza altrui, o quanto meno, di alcuni. A volte
mi chiedo come sia possibile che, ancora oggi, nonostante l'enorme progresso
che la ricerca e la tecnologia hanno fatto in campo enologico e viticolturale,
con informazioni e pratiche note e oramai accessibili a tutti, si producano
vini con difetti così palesi, così privi di qualsivoglia eleganza. Non sto
certamente tessendo le lodi alla sofisticazione enologica – che molti
definiscono superficialmente e impropriamente chimica – piuttosto a certe
pratiche di buon senso, comprese quelle igieniche, spesso semplici e banali,
che, quando sono correttamente applicate, permettono di evitare errori
grossolani e difetti imbarazzanti.
Il gusto e l'eleganza sono caratteristiche intimamente soggettive ed
è fin troppo evidente che non sono definibili in termini oggettivi o
assoluti. Esattamente come il concetto di bellezza, si tratta di elementi la
quale definizione è fortemente condizionata da fattori culturali, sociali e
tradizionali, non da ultimo, soggettivi. Si possono quindi definire in termini,
per così dire, statistici, cioè rilevare la definizione più frequente e
accettata in un determinato contesto. Quindi, parlare di eleganza riferita al
vino – ne sono consapevole – è un atto quanto meno complicato e decisamente
opinabile, una sorta di arroganza intellettuale che potrebbe risultare
fastidiosa per alcuni oppure completamente condivisibile per altri. Quindi, per
quello che mi riguarda, un vino privo di quella qualità che associo
all'eleganza, mi risulta difficile apprezzarlo e, molto spesso, è perfino
motivo di irritazione. In fin dei conti, come sono solito dire, se devo bere un
vino cattivo o comunque con difetti, preferisco di gran lunga un ottimo
bicchiere d'acqua.
I vini privi di eleganza, ancor peggio, quelli con difetti grossolani, mi danno
sempre l'impressione di una superficialità e incapacità del produttore, magari
anche in buona fede. Ognuno, certamente, ha i propri riferimenti e concetti di
qualità ed eleganza, rispettabili seppure non condivisibili, tuttavia mi
risulta difficile considerare un difetto come l'inconfutabile segno di qualità,
genuinità e bontà. Si apprezzano certamente e indiscutibilmente l'impegno e la
passione profusi per la realizzazione di un vino: il rispetto per il lavoro
degli altri non si mette mai in discussione. In passato, trovarsi nei calici
dei vini con difetti era piuttosto frequente e, innegabilmente, si sono fatti
enormi progressi tecnologici ed enologici tanto da limitare la loro presenza in
nome di una comprovata e oggettiva qualità condivisa.
Oggi mi pare, da questo punto di vista, si stia tornando indietro, a quel
passato di vini pieni di difetti, con l'aggravante di ostentarli con fiero
orgoglio come espressione unica e assoluta di autenticità enologica. Forse
l'abbondanza di vini di qualità ed enologicamente privi di difetti ha provocato
una sorta di regressione del gusto e dei consumi, tanto da tornare
convintamente indietro verso quel vino così carente di qualsivoglia eleganza.
Una sorta di ritorno alle origini, che non significa necessariamente il
miglioramento delle cose – del vino, nel nostro caso – ma forse solo
la mancata conoscenza del passato oppure il sintomo di memoria corta,
sia per non avere vissuto quel periodo, sia per questioni di opportunità. Io
resto sempre convinto che, in definitiva, Émile Peynaud aveva ragione: ognuno
beve il vino che merita.
Antonello Biancalana
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