C'è una data imminente che in molti stanno aspettando, ognuno per motivi
diversi, e che sancisce, salvo ulteriori proroghe, l'uscita del Regno Unito
dall'Unione Europea. La data fissata è il 31 ottobre, quindi fra meno di un
mese, nella quale si renderà esecutivo il complesso processo che prende il nome
di Brexit, la celeberrima sincrasi composta dalle parole inglesi
Britain – più precisamente, Great Britain – ed exit. Un
evento che, com'è ben noto, avrà conseguenze in molti ambiti della vita sociale
e politica sia del Regno Unito, sia dell'Unione Europea. A queste si
aggiungono, inevitabilmente e non meno importanti, conseguenze anche in ambito
economico, poiché si rende necessaria la ridefinizione dei rapporti commerciali
con un impatto diretto e ancora indefinibile per tutti i soggetti che eseguono
operazioni di importazione ed esportazione con il Regno Unito.
Le conseguenze della brexit, in ogni caso, riguarderanno in modo
decisamente importante anche il settore agroalimentare di tutti i paesi
europei, comprese le cantine che producono vino, fra queste – e in modo
particolare – quelle italiane. L'Italia non è, chiaramente, l'unico paese
europeo il quale settore agroalimentare, compreso quello enologico, rappresenta
una parte importantissima del bilancio economico, tuttavia è noto che molte di
queste, cantine comprese, esportano quantità e volumi importanti di prodotti e
vino verso il Regno Unito. Non è un problema da poco, in effetti, poiché per
molte cantine italiane, ma anche per quelle di altri paesi europei, la quota di
profitto derivante dall'esportazione di vino e bevande alcoliche verso il Regno
Unito rappresenta una parte molto rilevante. Non da meno, costituisce un
importantissimo capitolo di profitto anche per intere zone, denominazioni e
stili di vino, in particolare il Prosecco, le quali bollicine sono amatissime
nel Regno Unito.
La Brexit, che ancora pare non avere assunto alcuna forma ufficiale nelle
modalità di conclusione e di definizione dei rapporti commerciali e politici
con i paesi dell'Unione Europea, sta infatti preoccupando – comunque vada –
molti produttori di vino in Italia. Infatti, sia che si attuerà la cosiddetta
soft brexit – cioè con un accordo reciproco – sia la hard
brexit, nota anche come no-deal brexit – ovvero senza alcun accordo –
le conseguenze economiche avranno un impatto importante in entrambe le parti.
Per quello che ci riguarda, come cittadini italiani ed europei, sarà certamente
più difficile fare giungere le nostre produzioni nel Regno Unito. Infatti,
l'eventuale definizione di regole commerciali e di scambio più complesse e meno
agevoli – che potrebbero, con molta probabilità, introdurre dazi doganali – i
prezzi di vendita nel mercato del Regno Unito aumenteranno con conseguente
diminuzione dei volumi.
A fornire una misura dell'impatto economico relativo al commercio del vino, ci
ha pensato Confagricoltura, sottolineando che attualmente il Regno Unito
importa ogni anno dai paesi membri dell'Unione Europea prodotti agroalimentari
per un valore di circa 40 miliardi di euro. Per quanto riguarda poi il settore
vitivinicolo, Confagricoltura ricorda che il 55% dei vini consumati nel Regno
Unito è importato dai paesi dell'Unione Europea. Anche nel Regno Unito si sono
fatte stime sull'impatto della Brexit, in modo particolare le conseguenze che
questa porterà nell'importazione di vino e liquori. Secondo un'analisi condotta
dalla Wine and Spirits Trade Association – l'associazione britannica
per il commercio di vini e liquori – i prezzi al consumo di questi prodotti
sono inevitabilmente destinati ad aumentare e in modo decisamente importante.
Una misura che, evidentemente, è diretta conseguenza dell'introduzione di
specifici dazi oltre che di costi da sostenere per l'importazione.
Confagricoltura informa inoltre che il costo degli adempimenti doganali è stato
stimato in circa settanta milioni di sterline all'anno, cifra che sarà a carico
dei consumatori e porterà inevitabilmente alla perdita di competitività dei
prodotti importati. Una previsione che preoccupa evidentemente gli operatori
del settore del Regno Unito, i quali stanno cercando di fare opportune scorte
di prodotti acquistandoli secondo le attuali norme europee, in vista
dell'inevitabile aumento dei prezzi. Il solo comparto del vino – sempre
secondo i dati di Confagricoltura – ha visto aumentare gli ordini del 20%
rispetto agli anni passati: un comportamento che fornisce in modo chiaro la
misura di come sono percepiti dagli operatori del settore del Regno Unito gli
effetti della Brexit. Un dato che, con molta probabilità, non registrerà nei
prossimi mesi il medesimo risultato, soprattutto nel caso in cui si verificasse
la cosiddetta hard Brexit che porterebbe a un blocco, certamente
temporaneo, degli scambi commerciali e fino a quando non saranno stabiliti
nuovi accordi.
Il comparto agroalimentare e vitivinicolo in Italia sta mostrando
preoccupazioni anche in merito alle conseguenze dell'aumento dei prezzi dei
prodotti italiani. Si suppone, infatti, l'aumento dei prezzi di vendita nel
Regno Unito porterebbe favorire la sostituzione di prodotti analoghi e meno
costosi provenienti da altri paesi. Un'altra ipotesi potrebbe essere quella
dell'introduzione di prodotti contraffatti o di minore qualità – quindi
venduti a un prezzo più accessibile – e identificati con nomi simili a quelli
originali. In altre parole, si potrebbero verificare condizioni favorevoli per
la commercializzazione di falso made in Italy con grave danno per
l'immagine e l'eccellenza della produzione italiana. Secondo alcune
dichiarazioni rilasciate da istituzioni del Regno Unito, non si prevedono dazi
per l'importazione dei vini italiani, tuttavia va osservato che, in questo
momento di incertezza, tutte le previsioni e dichiarazioni potrebbero essere
smentite dai nuovi accordi. In ogni caso, difficile pensare che il Regno Unito
possa privarsi dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli dei paesi dell'Unione
Euroea, considerando soprattutto la lunga tradizione di importazione e
apprezzamento. Sarebbe, quanto meno, un cambiamento drastico e radicale per
molte abitudini oramai consolidate, pertanto è prevedibile – oltre che
auspicabile – la definizione di accordi favorevoli e proficui per entrambe le
parti così da scongiurare ben peggiori conseguenze.
Antonello Biancalana
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