La coltivazione di un vigneto o qualunque altro tipo di coltura è dettata dal
senso etico e ideologico del coltivatore, adottando il metodo che ritiene più
adatto alla propria visione e coerente con la personale idea di ambiente – non
da ultimo – capace di consentire la produzione di alimenti o bevande più sane
per i consumatori, garantendo nel contempo il profitto. Chi coltiva un terreno
facendo uso dell'agricoltura biologica, ritiene quindi di agire secondo criteri
più salutari, sia per l'ambiente, sia per il consumatore. Per raggiungere questo
scopo, si seguono protocolli condivisi e definiti – in proprio, secondo la
propria visione o di soggetti terzi controllori – generalmente limitando
o escludendo l'uso di sostanze che si ritengono poco salutari e dannose per
l'uomo e l'ambiente. Adottare la coltivazione secondo l'agricoltura biologica non
significa rinunciare all'uso di prodotti chimici; piuttosto fare uso di
sostanze, anche chimiche, che si ritengono comunque rispettose e salutari,
soprattutto entro determinate formulazioni e quantità.
Non è mia intenzione – ovviamente – trattare, nello specifico, le funzioni e
gli effetti, anche negativi, delle sostanze chimiche usate in viticoltura,
convenzionale o biologica che sia. Non è nemmeno mia intenzione tentare di
sostenere o denigrare l'una o l'altra filosofia colturale, poiché, molto
spesso, si rischia di provocare inutili scontri ideologici e di pensiero. Quello
che posso invece testimoniare – in circa trenta anni trascorsi nel mondo del
vino, passati anche a degustare, oramai, diverse decine di migliaia di calici –
è che la viticoltura da agricoltura biologica ha seguito esattamente il ciclo di
qualunque altra moda che riguarda il vino. Come tale, ha avuto un inizio
prorompente – e parlo della metà degli anni 1990 – seguito da una relativa
stasi, per poi calare nel consenso dei consumatori, produttori compresi,
quindi risalire con un deciso slancio, per poi tornare nella fase di
equilibrio. Tutto questo – come qualunque altra moda – ha inoltre creato
sostenitori e oppositori del vino biologico (e non solo quello), da parte sia dei
consumatori, sia dei produttori.
A considerare quello che sta accadendo nelle terre d'oltralpe – in Francia – la
viticoltura da agricoltura biologica sta forse attraversando un nuovo periodo di
disinteresse. In accordo ai dati diffusi dalla Agence Bio – l'agenzia
francese per lo sviluppo e la promozione dell'agricoltura biologica – nel
documento Les chiffres du Bio Panorama 2O22 (Le cifre del panorama Bio 2022),
lo scorso anno in Francia si è registrato un deciso calo di vigneti iscritti alla
conversione in agricoltura biologica rispetto al 2021. Il 2022 ha infatti
registrato un calo improvviso della conversione alla coltura biologica dei
vigneti francesi, dopo un lungo periodo in crescita e che sembrava essere
inarrestabile. I dati diffusi dall'Agence Bio indicano che, nel 2022, sono stati
iscritti solamente 13.000 ettari di vigneti alla conversione in agricoltura
biologica. Un calo che segna un -48% rispetto al 2021, quando furono invece
registrati 24.800 ettari di vigneti.
Nonostante il calo delle registrazioni nel 2022 rispetto al 2021, il totale della
superficie dei vigneti coltivati con agricoltura biologica è comunque aumentato
del 5%. Secondo quanto diffuso da Agence Bio, si tratterebbe si un segnale da
non sottovalutare, nonostante sia – nel complesso – coerente con l'attuale
tendenza dei mercati di tutte le filiere agricole e alimentari certificate come
biologiche. Una delle cause che hanno determinato l'attuale condizione è
da ricondursi all'eccesso di produzione, tale da costituire una consistente
difficoltà per il mercato dei vini biologici e sfusi. Nel 2022, infatti, la
vendita dei prodotti biologici nei supermercati di Francia ha subito un calo del
-5%, mentre nei negozi specializzati in prodotti da agricoltura biologica si è
addirittura registrato un calo ancor più consistente del -9%. Nella
determinazione di questi risultati negativi, il vino – ovviamente – rappresenta
una quota importante, sia per il mercato interno francese, sia per le
esportazioni.
In accordo a quanto diffuso dall'Agence Bio, i vini da agricoltura biologica
rappresentano – da soli – il 39% del totale complessivo dell'esportazione, per
un volume economico di 565 milioni di euro. Un dato, questo, che è in ogni caso
confortante poiché segna un incremento del +2% rispetto al 2021. Per quanto
riguarda il mercato interno francese, la vendita dei vini da agricoltura
biologica – nonostante il condizionamento negativo dell'attuale inflazione – è
cresciuto del +5%, pari a 1,4 miliardi di euro. Questo risultato è comunque
significativo, soprattutto considerando il calo registrato nella grande
distribuzione (-7%, pari a 134 milioni di euro) e dei negozi specializzati in
prodotti biologici (-7%, pari a 55 milioni di euro). I settori che hanno
registrato una crescita risultano essere quelli della vendita diretta (+5%, pari
a 421 milioni di euro), la rete delle cantine (+8%, pari a 159 milioni di euro)
e la ristorazione (+12%, pari a 129 milioni di euro).
Nel complesso, il 21% dei vigneti di Francia è coltivato in agricoltura
biologica – riconosciuto dalla relativa certificazione – dei quali un terzo di
questi risulta essere in fase di conversione. Il territorio di Francia nel quale
si registra la maggiore quota di vigneti coltivati in agricoltura biologica è
Bordeaux, in modo particolare la Gironda, con un totale di 27.200 ettari, metà
dei quali in fase di conversione, dove si producono il 31% dei vini biologici di
tutta Francia. Altro territorio di primaria importanza, è Languedoc-Roussillon,
oltre alla Valle del Rodano che costituisce il 21% dell'intera superficie. A
tale proposito, Henri Cozyns – presidente dei Vignerons Bio della
Nouvelle-Aquitaine, primo territorio di Francia per la superficie di vigneti in
conversione – ha sottolineato il ruolo e la figura del vignaiolo bio,
definendolo come «colui che coccola la biodiversità, tutela le risorse
naturali, innova con vini unici, senza zolfo e altre aggiunte, partecipando alla
rete locale. Un viticoltore che impiega quasi il doppio dei lavoratori e non
delude, quello che si vorrebbe avere come vicino».
Se il mercato del vino biologico francese sta registrando un momento di
difficoltà, quello del vino sfuso è addirittura considerato moribondo. E
questo, da molto prima che il vino biologico divenisse un elemento importante
nell'economia enologica di Francia. A tale proposito, sono in molti a chiedersi
quale sia oggi la reale utilità e necessità del vino sfuso, non solo per il fatto
che in Francia si sta registrando un netto calo nei consumi, ma soprattutto per
la scelta di preferire il vino di qualità in bottiglia. Il consumatore francese
– quindi – è maggiormente interessato alla qualità e al piacere di un buon
vino, anche se questo significa pagare un prezzo maggiore. A tale proposito, è
interessante quanto emerge dallo studio condotto Sowine-Dynata, un'agenzia
francese di consulenza specializzata nel commercio e comunicazione del vino.
Secondo questo studio, i vini venduti a prezzo inferiore a 5 euro sono acquistati
dal 2% dei consumatori, mentre il 19% si orienta verso le bottiglie comprese
fra 5 e 10 euro. Il 55% dei consumatori francesi, acquista vini venduti a prezzi
compresi fra 11 e 20 euro, mentre il 24% è interessato a quelli con prezzi oltre
20 euro.
In accordo a questo studio, quindi, il consumatore francese vuole bere meno, ma
quando decide di farlo preferisce il vino buono, di qualità e sano, nonostante
questo possa corrispondere a un aumento di spesa. Qualora questa condizione non
fosse soddisfatta, il consumatore francese ignora completamente l'offerta dei
vini del negozio e decide di acquistare birra oppure altre bevande alcoliche.
Questo comportamento, in verità, non si rileva solo in Francia. Anche in Italia,
a quanto pare, i consumatori sono da tempo orientati a consumare meno vino, ma
quando decidono di farlo, scelgono bottiglie di qualità, quindi disposti a
spendere più. Questo atteggiamento si rileva sia fra i consumatori che
preferiscono i cosiddetti vini biologici, sia fra quelli che non sono
principalmente interessati a questo genere di vini. A prescindere dalla tendenza
del mercato dei cosiddetti vini biologici, si tratta probabilmente del
normale ciclo di interesse che i consumatori rivolgono verso certi prodotti, non
solo un fatto culturale, quindi, ma anche della moda del momento.
Biologico o non biologico, almeno per quello che mi riguarda, l'importante è
sempre adottare un consumo consapevole, con moderazione, ma che sia sempre di
qualità.
Antonello Biancalana
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