C'erano tempi durante i quali il vino sembrava non conoscere ostacoli,
incontrastato imperatore dei pensieri e calici di innumerevoli consumatori e
appassionati, senza distinzione di età – quella che legalmente si definisce
maggiore, ovviamente – genere, estrazione sociale e condizione economica.
Il vino era l'argomento eletto della maggioranza delle persone, soprattutto a
tavola, ma anche nei privati salotti o nei ritrovi pubblici. Molto spesso ci
si confrontava con infinite dissertazioni sul vino che in quel momento si aveva
nel calice, sognando spesso di averne un altro totalmente diverso, tuttavia
accontentandosi necessariamente della bottiglia che era sopra al tavolo. Spesso,
più di una. Questo non accadeva solamente nell'ambito di occasioni private,
ma anche quando si era in compagnia al tavolo di un ristorante o locale di
mescita. Riguardava un po' tutti, appunto, anche le persone giovani, ovviamente
nell'età che consente il consumo legale di bevande alcoliche. Si faceva con
moderazione – almeno per quello che mi riguarda – proprio perché, nel vino, non
si vedeva una bevanda qualunque da bere e basta, ma l'espressione di una
cultura e conoscenza che si considerava seriamente con rispetto, come un bene
condiviso e da condividere.
Sono tempi passati, evidentemente, il vino è cambiato, noi siamo cambiati, così
come sono cambiati i fattori, condizioni e il rapporto delle persone con il vino.
Compresi i giovani. Da molti anni si continua a parlare del rapporto delle
nuove generazioni con il vino e – a quanto pare – questa relazione vive
puntualmente e ciclicamente momenti di fortune alterne. Il futuro, in questo
senso, sembrerebbe vedere il rapporto dei giovani con il vino ulteriormente
distante. Una condizione che, a quanto pare, è già iniziata alcuni anni fa e non
sembra, al momento, possano esserci improvvisi colpi di fulmine o
rinnovate passioni. La giovane generazione e, a quel che sembra, anche quelle
future, sembrano essere maggiormente interessate al consumo di altre bevande
alcoliche, in modo particolare la birra che pare avere stabilito con loro un
solido legame. Sicuramente, rispetto ai tempi passati, la birra ha beneficiato di
uno sviluppo, anche qualitativo, decisamente inimmaginabile venti anni fa,
quanto meno per le birre di largo consumo.
Questo grazie anche – ma non limitatamente – all'ottimo lavoro svolto dagli
innumerevoli birrifici cosiddetti artigianali, che proprio negli ultimi anni
sono fioriti e cresciuti un po' ovunque nel mondo. Molti di loro sono stati
innegabilmente capaci di creare birre di elevato livello qualitativo e che si
sono unite alla produzione – presente da decenni, sebbene di nicchia –
degli storici birrifici, in particolare quelli dell'Europa Settentrionale.
Perché, va detto, la birra buona e di enorme qualità è sempre esistita,
nonostante sia stata, per così dire, affogata dall'oceano di produzioni di massa.
Qualcosa che è accaduto, per molti aspetti, anche nel comparto enologico e
alimentare in genere. In fin dei conti, è una banale legge di mercato: maggiore
l'offerta di prodotti, del potenziale economico e profitto, maggiore la
concorrenza. Questo accade, non da ultimo, anche nell'ambito di qualunque altro
settore. Il numero di cantine esistenti oggi fa impallidire – per quantità –
rispetto a quello di venti anni fa. E ognuna produce vino con il medesimo
obiettivo: vendere e ricavare profitto a discapito di tutti gli altri. Mors
tua vita mea.
Il fatto, poi, che i giovani consumino meno vino, facendo pensare a un loro
orientamento più salutistico riducendo quindi il consumo di alcol, va detto
che, in realtà, non è affatto così, nonostante questo possa avere fatto piacere a
qualcuno. I giovani consumano alcol, e talvolta pure in quantità
preoccupanti, soprattutto in forma di birra e super alcolici. D'accordo,
l'alcol è sempre alcol indipendentemente dalla sua origine o produzione: non fa
differenza che sia contenuto nel vino o altra bevanda. In fin dei conti, è la
somma che fa il totale. La somma, appunto. Perché se è vero che la birra è – e
probabilmente sarà anche in futuro – la bevanda alcolica maggiormente consumata
dai giovani, va anche detto che il suo consumo non si ferma a un solo bicchiere,
piuttosto a diverse bottiglie. Considerando, non da meno, il fattore economico,
quattro bottiglie di birra di largo consumo costano, in media, molto meno di
una bottiglia di vino modesto, tuttavia la quantità di alcol assunta è
maggiore.
Se le stime attuali vedono i giovani consumare meno vino – preferendo a questo
altre bevande alcoliche – la tendenza per il futuro potrebbe essere
ulteriormente negativa, verso un progressivo e inesorabile disinteresse. In
occasione dell'ultima assemblea generale dell'Unione Italiana Vini (UIV), si è
sottolineato che nell'immediato futuro la tendenza della domanda di vino
diminuirà progressivamente. La causa sarebbe da ricercarsi nel progressivo
aumento dell'età media e il disinteresse nei confronti del vino da parte delle
nuove generazioni. La previsione, nell'immediato, è di un incremento del tasso di
consumo di appena il 7%, con una crescita media annua stimata dello 0,35%,
previsione che si ritiene essere valida fino al 2039. Per l'Osservatorio
dell'Unione Italiana Vini, in futuro l'esportazione rappresenterà
progressivamente la discriminante fondamentale del mercato, prevedendo una stima
nella decrescita dei consumi interni di -1,2 milioni di ettolitri.
Lo studio condotto da UIV ha analizzato le tendenze relative al progressivo
invecchiamento dei consumatori. Se nel decennio 1990/1999 i consumi della
popolazione oltre i 65 anni e quella al di sotto dei 25 era in perfetta parità
– circa il 18% – per il decennio che concluderà il 2039 si prevede una
diminuzione drastica. La previsione, infatti, vedrà la popolazione oltre i 65
anni a rappresentare il 30% dei consumi, mentre quella sotto i 25 anni scenderà
al 13%. La stessa previsione dovrebbe avverarsi anche negli altri principali
paesi produttori di vino europei – Italia, Francia, Spagna e Germania –
confermando quindi l'attuale e progressiva tendenza del ribasso. Le abitudini e i
consumi sono cambiati in tutti questi paesi a partire dagli anni 1960, quando
italiani e francesi facevano registrare un consumo pro capite di 140 litri. A
prescindere da queste stime e valori, il progressivo disinteresse dei giovani per
il vino è qualcosa che si sta notando oramai da molti anni. Ed è bene
sottolineare che non si tratta del loro disinteresse nei confronti
dell'assunzione di alcol, visto che i giovani consumano ben volentieri altre
bevande alcoliche, in particolare birra e super alcolici.
Personalmente – da quel che vedo, leggo e sento – si tratta del risultato
derivante dal modo con il quale è stato trattato e considerato il vino negli
ultimi dieci anni, grosso modo. In questo periodo, infatti, si è assistito al
dilagare di mediocri affabulatori enoici, i quali, non possedendo alcuna
cultura e competenza enologica, hanno dato inizio a un racconto banale e
superficiale, sostenendo, non da meno, che la comunicazione del vino si dovesse
semplificare, renderla easy (e si sa, quando si usa l'inglese tutto
diventa più easy, anzi izi) proprio per fare apprezzare il vino ai
giovani e promuoverne il consumo. La strategia – complici e colpevoli pure i
produttori che si sono fatti facilmente ammaliare dalla rivoluzione della
comunicazione easy – ha prodotto un distacco di interesse da parte dei
giovani nei confronti del vino. Per me è l'ovvia conseguenza. La semplificazione
altro non è che la banalizzazione di un concetto, lo si spoglia di tutto e alla
fine non resta niente, solo una banale bevanda easy al pari di qualunque
altra bevanda easy. Il vino è stato banalizzato al livello di bevanda
sbarazzina e di facile consumo: basta stappare e bere, proprio come si fa con
qualunque bevanda analcolica, quindi essere felici, spensierati e easy.
Considerando, inoltre, che nessuno è stolto – tanto meno i giovani – se un
consumatore decide di bere una bevanda facile – pardon, un
easy drink, che fa tanto giovane – guarda quello che ha nelle tasche e
poi decide. Per quale ragione, a meno che non abbia un genuino interesse, il
giovane consumatore dovrebbe scegliere un vino easy quando con un decimo
di spesa, ma anche meno, può acquistare un'altrettanta bevanda easy? Anzi,
ne può perfino acquistare più di una? Se si abbassa il vino a livello di bevanda
spensierata e allegra, al pari di una qualunque bevanda – atteggiamento peraltro
deplorevole, visto che il vino è bevanda alcolica – non ci si può lamentare se
la conseguenza è quella di non essere scelto poiché più costoso. Mi fanno poi
sorridere quelli che, nell'attuare questo tipo di politica commerciale e
promozionale, non mancano mai di sottolineare che il vino, anche nella
scintillante e ammaliante versione giovane e easy, è cultura, tradizione,
qualità e tutte le ben note frivolezze che spesso seguono. Non funziona e
i giovani ve lo stanno dimostrando. Per quale ragione dovrebbero preferire il
vino, nell'affascinante veste di easy drink, vini anonimi e ordinari,
quando la concorrenza in quel mercato è capace di offrire alternative vincenti e
a un prezzo decisamente minore e, soprattutto, altrettanto easy, anzi,
innegabilmente molto più easy?
Antonello Biancalana
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