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  Editoriale Numero 231, Settembre 2023   
Non c'è Vino nel Futuro dei Giovani?Non c'è Vino nel Futuro dei Giovani?  Sommario 
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Non c'è Vino nel Futuro dei Giovani?


 C'erano tempi durante i quali il vino sembrava non conoscere ostacoli, incontrastato imperatore dei pensieri e calici di innumerevoli consumatori e appassionati, senza distinzione di età – quella che legalmente si definisce maggiore, ovviamente – genere, estrazione sociale e condizione economica. Il vino era l'argomento eletto della maggioranza delle persone, soprattutto a tavola, ma anche nei “privati salotti” o nei ritrovi pubblici. Molto spesso ci si confrontava con infinite dissertazioni sul vino che in quel momento si aveva nel calice, sognando spesso di averne un altro totalmente diverso, tuttavia accontentandosi necessariamente della bottiglia che era sopra al tavolo. Spesso, più di una. Questo non accadeva solamente nell'ambito di occasioni “private”, ma anche quando si era in compagnia al tavolo di un ristorante o locale di mescita. Riguardava un po' tutti, appunto, anche le persone giovani, ovviamente nell'età che consente il consumo legale di bevande alcoliche. Si faceva con moderazione – almeno per quello che mi riguarda – proprio perché, nel vino, non si vedeva una bevanda qualunque da “bere e basta”, ma l'espressione di una cultura e conoscenza che si considerava seriamente con rispetto, come un bene condiviso e da condividere.


 

 Sono tempi passati, evidentemente, il vino è cambiato, noi siamo cambiati, così come sono cambiati i fattori, condizioni e il rapporto delle persone con il vino. Compresi i giovani. Da molti anni si continua a parlare del rapporto delle nuove generazioni con il vino e – a quanto pare – questa relazione vive puntualmente e ciclicamente momenti di fortune alterne. Il futuro, in questo senso, sembrerebbe vedere il rapporto dei giovani con il vino ulteriormente distante. Una condizione che, a quanto pare, è già iniziata alcuni anni fa e non sembra, al momento, possano esserci improvvisi colpi di fulmine o rinnovate passioni. La giovane generazione e, a quel che sembra, anche quelle future, sembrano essere maggiormente interessate al consumo di altre bevande alcoliche, in modo particolare la birra che pare avere stabilito con loro un solido legame. Sicuramente, rispetto ai tempi passati, la birra ha beneficiato di uno sviluppo, anche qualitativo, decisamente inimmaginabile venti anni fa, quanto meno per le birre di largo consumo.

 Questo grazie anche – ma non limitatamente – all'ottimo lavoro svolto dagli innumerevoli birrifici cosiddetti “artigianali”, che proprio negli ultimi anni sono fioriti e cresciuti un po' ovunque nel mondo. Molti di loro sono stati innegabilmente capaci di creare birre di elevato livello qualitativo e che si sono unite alla produzione – presente da decenni, sebbene di “nicchia” – degli storici birrifici, in particolare quelli dell'Europa Settentrionale. Perché, va detto, la birra buona e di enorme qualità è sempre esistita, nonostante sia stata, per così dire, affogata dall'oceano di produzioni di massa. Qualcosa che è accaduto, per molti aspetti, anche nel comparto enologico e alimentare in genere. In fin dei conti, è una banale legge di mercato: maggiore l'offerta di prodotti, del potenziale economico e profitto, maggiore la concorrenza. Questo accade, non da ultimo, anche nell'ambito di qualunque altro settore. Il numero di cantine esistenti oggi fa impallidire – per quantità – rispetto a quello di venti anni fa. E ognuna produce vino con il medesimo obiettivo: vendere e ricavare profitto a discapito di tutti gli altri. Mors tua vita mea.

 Il fatto, poi, che i giovani consumino meno vino, facendo pensare a un loro “orientamento” più salutistico riducendo quindi il consumo di alcol, va detto che, in realtà, non è affatto così, nonostante questo possa avere fatto piacere a qualcuno. I giovani consumano alcol, e talvolta pure in quantità “preoccupanti”, soprattutto in forma di birra e super alcolici. D'accordo, l'alcol è sempre alcol indipendentemente dalla sua origine o produzione: non fa differenza che sia contenuto nel vino o altra bevanda. In fin dei conti, è la somma che fa il totale. La somma, appunto. Perché se è vero che la birra è – e probabilmente sarà anche in futuro – la bevanda alcolica maggiormente consumata dai giovani, va anche detto che il suo consumo non si ferma a un solo bicchiere, piuttosto a diverse bottiglie. Considerando, non da meno, il fattore economico, quattro bottiglie di birra “di largo consumo” costano, in media, molto meno di una bottiglia di vino “modesto”, tuttavia la quantità di alcol assunta è maggiore.

 Se le stime attuali vedono i giovani consumare meno vino – preferendo a questo altre bevande alcoliche – la tendenza per il futuro potrebbe essere ulteriormente negativa, verso un progressivo e inesorabile disinteresse. In occasione dell'ultima assemblea generale dell'Unione Italiana Vini (UIV), si è sottolineato che nell'immediato futuro la tendenza della domanda di vino diminuirà progressivamente. La causa sarebbe da ricercarsi nel progressivo aumento dell'età media e il disinteresse nei confronti del vino da parte delle nuove generazioni. La previsione, nell'immediato, è di un incremento del tasso di consumo di appena il 7%, con una crescita media annua stimata dello 0,35%, previsione che si ritiene essere valida fino al 2039. Per l'Osservatorio dell'Unione Italiana Vini, in futuro l'esportazione rappresenterà progressivamente la discriminante fondamentale del mercato, prevedendo una stima nella decrescita dei consumi interni di -1,2 milioni di ettolitri.

 Lo studio condotto da UIV ha analizzato le tendenze relative al progressivo invecchiamento dei consumatori. Se nel decennio 1990/1999 i consumi della popolazione oltre i 65 anni e quella al di sotto dei 25 era in perfetta parità – circa il 18% – per il decennio che concluderà il 2039 si prevede una diminuzione drastica. La previsione, infatti, vedrà la popolazione oltre i 65 anni a rappresentare il 30% dei consumi, mentre quella sotto i 25 anni scenderà al 13%. La stessa previsione dovrebbe avverarsi anche negli altri principali paesi produttori di vino europei – Italia, Francia, Spagna e Germania – confermando quindi l'attuale e progressiva tendenza del ribasso. Le abitudini e i consumi sono cambiati in tutti questi paesi a partire dagli anni 1960, quando italiani e francesi facevano registrare un consumo pro capite di 140 litri. A prescindere da queste stime e valori, il progressivo disinteresse dei giovani per il vino è qualcosa che si sta notando oramai da molti anni. Ed è bene sottolineare che non si tratta del loro disinteresse nei confronti dell'assunzione di alcol, visto che i giovani consumano ben volentieri altre bevande alcoliche, in particolare birra e super alcolici.

 Personalmente – da quel che vedo, leggo e sento – si tratta del risultato derivante dal modo con il quale è stato trattato e considerato il vino negli ultimi dieci anni, grosso modo. In questo periodo, infatti, si è assistito al dilagare di “mediocri affabulatori enoici”, i quali, non possedendo alcuna cultura e competenza enologica, hanno dato inizio a un racconto banale e superficiale, sostenendo, non da meno, che la comunicazione del vino si dovesse “semplificare”, renderla easy (e si sa, quando si usa l'inglese tutto diventa più “easy”, anzi ”izi”) proprio per fare apprezzare il vino ai giovani e promuoverne il consumo. La strategia – complici e colpevoli pure i produttori che si sono fatti facilmente ammaliare dalla rivoluzione della comunicazione easy – ha prodotto un distacco di interesse da parte dei giovani nei confronti del vino. Per me è l'ovvia conseguenza. La semplificazione altro non è che la banalizzazione di un concetto, lo si spoglia di tutto e alla fine non resta niente, solo una banale bevanda easy al pari di qualunque altra bevanda easy. Il vino è stato banalizzato al livello di bevanda sbarazzina e di facile consumo: basta stappare e bere, proprio come si fa con qualunque bevanda analcolica, quindi essere felici, spensierati e easy.

 Considerando, inoltre, che nessuno è “stolto” – tanto meno i giovani – se un consumatore decide di bere una bevanda facile – pardon, un easy drink, che fa tanto giovane – guarda quello che ha nelle tasche e poi decide. Per quale ragione, a meno che non abbia un genuino interesse, il giovane consumatore dovrebbe scegliere un vino easy quando con un decimo di spesa, ma anche meno, può acquistare un'altrettanta bevanda easy? Anzi, ne può perfino acquistare più di una? Se si abbassa il vino a livello di bevanda spensierata e allegra, al pari di una qualunque bevanda – atteggiamento peraltro deplorevole, visto che il vino è bevanda alcolica – non ci si può lamentare se la conseguenza è quella di non essere scelto poiché più costoso. Mi fanno poi sorridere quelli che, nell'attuare questo tipo di politica commerciale e promozionale, non mancano mai di sottolineare che il vino, anche nella scintillante e ammaliante versione giovane e easy, è cultura, tradizione, qualità e tutte le ben note frivolezze che spesso seguono. Non funziona e i giovani ve lo stanno dimostrando. Per quale ragione dovrebbero preferire il vino, nell'affascinante veste di easy drink, vini anonimi e ordinari, quando la concorrenza in quel mercato è capace di offrire alternative vincenti e a un prezzo decisamente minore e, soprattutto, altrettanto “easy”, anzi, innegabilmente molto più easy?

Antonello Biancalana



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