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  Eventi Numero 234, Dicembre 2023   
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Notiziario


 In questa rubrica sono pubblicate notizie e informazioni relativamente a eventi e manifestazioni riguardanti il mondo del vino e dell'enogastronomia. Chiunque sia interessato a rendere noti avvenimenti e manifestazioni può comunicarlo alla nostra redazione all'indirizzo e-mail.

 

Vitigni Resistenti: Passato, Presente e Futuro


 
È ora disponibile sul sito www.valcalepio.org la registrazione del convegno “Vitigni resistenti: passato, presente e futuro” ideato dal Consorzio Tutela Valcalepio svoltosi lo scorso 14 ottobre 2023 nella Sala Alabastro del Centro Congressi Papa Giovanni XXIII a Bergamo.
Un incontro di matrice tecnico-scientifica che ha visto alternarsi sul palco 7 personalità del mondo accademico e della ricerca vitivinicola italiana, 1 rappresentante della realtà vitivinicola accademica Slovena e due relazioni scritte relative alle realtà Francese e Romena.
Ad aprire l'incontro, che ha rappresentato anche la conclusione ufficiale del XIX Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme”, l'enologo Sergio Cantoni, direttore del Concorso, ha voluto citare un aforisma latino ripreso da Riccardo Cotarella nell'ultimo editoriale dell'Enologo. “Rari Nantes in Pelago Profundo”, ovvero “sono pochi i nuotatori in grado di nuotare nel mare profondo”, un richiamo a un emistichio dell'Eneide virgiliana che rappresenta perfettamente quello che è il panorama attuale dell'enologia italiana.
«Il mare dell'enologia italiana attuale, però» ha detto Cantoni «non è solo profondo ma anche agitato da continui attacchi ai quali il comparto non stato in grado di rispondere adeguatamente. Basti pensare alle accuse che pendono sul vino: l'alcol fa male, in vigneto si usano troppi trattamenti. E come rispondiamo noi? Dicendo di bere con moderazione. È ora di smettere di difendersi!». Cantoni ha proseguito sostenendo che il mondo del vino italiano non stia investendo sui due ambiti che potrebbero aiutare a sventare la crisi che pende come una spada di Damocle sul comparto: la comunicazione e la ricerca. Una comunicazione fantasiosa e non mirata solo a vendere il vino a un prezzo più alto, bensì a trasmettere il prodotto vino come parte di uno stile di vita, momento di piacere, convivialità ed emozione. E una ricerca in grado di risolvere i problemi veri dei viticoltori, ad esempio quello dei trattamenti ma anche quello delle malattie non espressamente crittogamiche.
«Ai relatori di oggi chiediamo» ha chiosato Cantoni «a che punto siamo con la ricerca e la proposta di vitigni tolleranti; ma chiediamo anche una prospettiva, non solo per quanto riguarda odio o peronospora. In poche parole: cosa rispondo al contadino che mi chiede cosa piantare per stare tranquillo per qualche anno? Serve una risposta chiara e univoca ché parlare di PIWI come se fossero una sola varietà è sbagliato e traviante per il pubblico: i PIWI sono tanti, diversi tra loro, oggetto di studi e attenta osservazione.»
Il professor Luigi Bavaresco dell'Università del Sacro Cuore ha invitato il mondo del vino a lavorare affinché si riesca «a far divenire il comparto vitivinicolo il campione della sostenibilità ambientale per mettere a tacere tutti i detrattori del vino. Bisogna dimostrare loro che un mondo senza vino è decisamente un mondo peggiore di un mondo con il vino. Va enfatizzato il valore culturale del vino. La storia delle varietà resistenti è lunga e ricca di ricerche internazionali molto interessanti che potrebbero rappresentare una soluzione a questi problemi».
Bavaresco ha sottolineato che nel registro nazionale delle varietà coltivabili sono ammesse ad oggi 36 varietà cosiddette resistenti. Nella maggiorparte dei casi sono vinifera simile per quanto riguarda il profilo sensoriale (soprattutto i bianchi) ma non sono del tutto resistenti alle malattie, necessitano comunque di qualche trattamento e ottengono risultati migliori se coltivati in ambiente di breeding o similare (torniamo qui al fondamentale concetto del terroir).
Tra le prospettive per il futuro lavoro di ricerca Bavaresco ha inserito la necessità di tenere a mente anche il profilo organolettico di questi vitigni e non solo quello della resistenza alle malattie, l'urgenza di ampliare lo spettro delle malattie possibili per valutare nuove resistenze e la possibilità di creare un ente nazionale di valutazione dei risultati ottenuti, su ispirazione di quanto avviene in Francia.
Nel suo intervento il dottor Marco Stefanini, in rappresentanza dell'istituto Edmund Mach, ha voluto ricordare che «la sostenibilità sociale ed economica si ottiene anche migliorando l'interazione Genotipo X Ambiente», sottolineando cioè quanto l'ambiente, il terrori, sia soggetto a cambiamenti continui e come l'unica soluzione possibile sia quella di cercare di adattare le varietà di vite in modo da permettere loro di produrre nel nostro “nuovo” ambiente.
I concetti di resistenza e tolleranza sono stati ripresi da Stefanini che ha tenuto a precisare che resistenza è la capacità della pianta di opporsi alla malattia; tolleranza è, invece, la capacità dell'ospite di sopportare lo sviluppo del patogeno senza subire danni apprezzabili. «Non esiste immunità! Al momento l'obiettivo principale per noi in ottica di sostenibilità ambientale ed economica è la riduzione dei trattamenti. Ai nostri viticoltori diamo 3 indicazioni: sarà comunque necessario trattare le viti, ma i trattamenti saranno ridotti del 70%; resistenza non è immunità; non esiste ancora una resistenza agli insetti. È fondamentale comunicare correttamente: le varietà resistenti sono un contributo non la soluzione a tutti i problemi della viticoltura. Tuttavia nelle aree nelle quali c'è promiscuità tra viticoltura e ambiente urbano i PIWI potrebbero rappresentare un modo di salvaguardare i vigneti che altrimenti andrebbero espiantati».
Ermanno Murari dei Vivai Cooperativi Rauscedo ha aperto il suo intervento soffermandosi sul concetto di sostenibilità che è sì ambientale (e quindi in ottica di riduzione di trattamenti ed emissioni) ma che deve anche essere sostenibilità economica e sostenibilità sociale, vista la vicinanza dei vigneti ai centri abitati. «È anche auspicabile una sostenibilità istituzionale» ha aggiunto, che possa dirimere la confusione di marchi e slogan che rischiano di trarre in inganno il consumatore. Murari ha ricordato che spesso dietro alla commercializzazione di vini prodotti con vitigni resistenti c'è una grande ricerca di marketing per quanto riguarda la scelta del nome del vino e la creazione delle etichette e ha chiuso ricordando l'importanza della ricerca e dell'arte della scienza. «Gli incroci sono una cosa seria, decisamente non semplice. Poniamo il caso che un giorno Einstein incontri Marilyn Monroe. Il figlio dei due potrebbe uscire bello come l'attrice e intelligente come lo scienziato. Ma, attenzione, senza uno studio dietro potrebbe anche uscire brutto come Einstein e intelligente come Monroe! Ecco perché è necessario continuare a studiare e lavorare sulla ricerca di vitigni resistenti che ci aiutino a raggiungere i risultati che auspichiamo.»
«I vitigni PIWI sono uno strumento per rispondere alle sfide della viticoltura» ha esordito il professor Davide Modina dell'Università degli Studi di Milano. «Certo, il primo scoglio da superare è quello costituito dal fatto che ci sono poche informazioni sulle quali basare delle scelte razionali se non dopo onerose prove a carico dei produttori.» Il primo passaggio, quindi, è proprio quello della ricerca, di cui si sta occupando l'università nell'ambito del progetto VITAVAL. Due i concetti principali portati avanti da Modina: visti i risultati delle microvinificazioni sperimentali, per evitare problemi in fase di degustazione, bisogna valutare attentamente le tecniche di vinificazione.
«Se questi vitigni sono nuovi, forse le tecniche di vinificazione standard e tradizionali non si adattano alle loro esigenze. Può darsi che sia il caso di creare nuove tecniche di vinificazione in grado di risolvere eventuali problematiche. È impensabile che tutti i PIWI vadano bene ovunque.» Torna quindi l'invito a valutare attentamente l'interazione tra genotipo e ambiente per ottenere i risultati auspicati e massimizzare la qualità.
Il professor Frank Cus dell'Università di Ljubljana ha presentato un'interessante analisi della realtà produttiva slovena. «Meglio parlare di vitigni tolleranti che resistenti onde evitare di creare false aspettative nei viticoltori» ha detto Cus. Quello che sembra accomunare Slovenia e Italia è la necessità di ridurre il consume dei pesticidi, motivazione primaria che ha spinto alla ricerca di varietà tolleranti. «Anche in Slovenia c'è stato un grande dibattito in merito alla possibilità di includere questi vitigni delle DOP ma vale la pena ricordare che, attualmente, il consumatore ha una conoscenza davvero minima e limitata di queste varietà» ha concluso il ricercatore sloveno.
Nella sua relazione Luca Gonzato di vinievitiresistenti.it ha citato numerosi dati. Tra i più interessanti: Su 680.000 ettari di vigneto Italia i PIWI occupano lo 0,3%; i produttori con vini PIWI in commercio sono attualmente 165, prevalentemente distribuiti tra Veneto e Trentino-Alto Adige. Una buona parte di questi produttori coltiva solo varietà resistenti. Sono tutti piccolissimi produttori (i più grandi dichiarano 5 ettari di vigneto coltivato, in un solo caso si parla di 18 ettari). 350 risultano essere i vini PIWI in commercio, in prevalenza bianchi. La stima di produzione supera il milione di bottiglie. Nel 40% dei casi viene riportato il marchio IGT in etichetta (per ovvie ragioni geografiche si tratta di IGT Veneto e IGT delle Dolomiti).
La professoressa Francesca Venturi dell'Università di Pisa si è concentrata invece sulla comparazione sensoriale dei vini da vitigni tradizionali e vini da vitigni resistenti. «Se mi chiedessero se i vitigni tradizionali danno buoni vini risponderei che dipende, a volte si a volte no. Lo stesso vale per i vitigni resistenti» ha affermato la professoressa. Interessante la prospettiva sul vino non più come alimento bensì come elemento culturale. «Cosa aggiunge il vino alla nostra vita oggi? Non è certamente più un alimento, ma aggiunge un aspetto emozionale e di convivialità alle situazioni che viviamo e anche questo è molto importante». I risultati presentati da Venturi seguono un nuovo protocollo di degustazione che consente la ricerca e l'analisi di descrittori emozionali innovativi e decisamente stimolanti.
Per quanto riguarda l'inserimento di questi vitigni nelle DOC, Venturi ha chiosato «Ci sono voluti secoli per stabilire le basi delle DOC, non possiamo ora pensare di far entrare qualcuno che non conosciamo. Magari le migliorano, ma bisogna ragionarci». Un nuovo invito quindi all'istituzione di un osservatorio che possa seguire questi vini in parallelo a quelli tradizioni per capire come lavorarli e se possono aggiungere un quid emotivo ai nostri vini.
In chiusura Filippo Mobrici, vicepresidente di Federdoc e del Consorzio Barbera d'Asti e Vini del Monferrato ha affrontato la questione della possibilità di inserire questi vitigni nelle DOC, ufficialmente autorizzato dalla Comunità Europea a partire dal 2022. «Federdoc ha demandato ai singoli consorzi la parte sperimentale e di valutazione» ha detto Mobrici. «Molto importante tornare a parlare di vocazionalità», ogni territorio ha necessità diverse, «siamo davvero sicuri che in tutti gli areali abbiamo bisogno dei PIWI?» Al tempo stesso Mobrici ha ricordato che le DOC di un tempo non sono quelle di oggi e che i disciplinari vanno aggiornati lasciando l'apertura ai singoli consorzi di eventualmente valutare di inserire percentuali di queste varietà al loro interno. «Abbiamo bisogno dei PIWI ma vanno sperimentati, vanno messi alla prova nel tempo e su diversi areali» ha concluso Mobrici.

Assodistil-ICE: la Grappa Italiana Sempre più Apprezzata Oltreconfine

Le bevande spiritose made in Italy sono sempre più apprezzate all'estero. Con una presenza di ben 35 denominazioni, di cui 27 distillate, gli spirits a Indicazione Geografica prodotti nel Belpaese hanno, secondo le ultime stime della Commissione Europea, un valore pari a 151 milioni di Euro. Nell'ottica di una maggiore internazionalizzazione ed apertura di nuovi mercati, AssoDistil, grazie alla continuativa collaborazione con ICE, ha organizzato l'evento “Distillati Made in Italy: Born to be Great” portando in Italia operatori del settore food & Beverage provenienti da tutto il mondo. «L'iniziativa mira a promuovere la conoscenza dei distillati Made in Italy con l'obiettivo di aprire nuove opportunità di mercato. I Paesi esteri sono sempre molto attenti e interessati a conoscere ciò che viene prodotto con maestria dalle nostre aziende, autentiche eccellenze di qualità ed esempi virtuosi di sostenibilità. Nei prossimi giorni la delegazione internazionale sarà protagonista di visite guidate alle distillerie volte ad approfondire la conoscenza del territorio e della filiera» spiega Sandro Cobror, direttore di AssoDistil.
«La nostra Associazione rappresenta il 90% per cento della produzione italiana di distillati, annoverando tra i propri Soci i più grandi operatori del settore, ma anche molte piccole aziende di dimensione familiare – prosegue Cesare Mazzetti, presidente del Comitato Acquaviti e liquori di Assodistil – Siamo schierati per la difesa e la promozione delle bevande spiritose italiane, che ben si addicono allo stile di bere moderato da noi fortemente sostenuto, in contrapposizione al dannoso “binge drinking” che fa male non solo alla salute dei consumatori, ma anche all'immagine del settore.
Un impegno che si rafforza anche grazie alla collaborazione con ICE – Italian Trade Agency che, come rimarca Brunella Saccone, Dirigente Ufficio Agroalimentare e Vini – è dal lontano 2017 che l'Agenzia ICE lavora in modo mirato e incisivo sulla promozione di spirits e distillati, con il duplice obiettivo di aumentare le occasioni di export per le aziende e radicare nella percezione estera l'idea che anche questo prodotto, come già il vino e il cibo, è profondamente legato al territorio, alle sue botaniche, a una sapienza generazionale tipicamente italiana. Negli anni abbiamo portato avanti una promozione diversificata per coniugare tradizione e modernità, declinando gli interventi all'estero e in Italia, stringendo alleanze con le Associazioni straniere di bartender e – non ultimo – ricordando sempre l'imperativo del bere moderato e responsabile.»
Durante l'evento il centro studi Nomisma ha presentato un focus dedicato alle abitudini di consumo in Italia legate alla Grappa, mettendo in evidenza come il distillato si stia affermando oltre i confini nazionali. Il 30% della popolazione italiana tra i 18 e i 65 anni consuma grappa. Di questi il 46% preferisce gustarla fuori casa o al ristorante (30%) o al bar al pub (16%). Gli amanti di questo distillato preferiscono assaporarla in compagnia (88%) e in particolare con gli amici (49%) con un 35% che sarebbe interessato a sperimentare cocktail a base di grappa.
Ottimi risultati arrivano anche guardando oltre confine dove la grappa è sempre più apprezzata. In Germania l'export del distillato vale il 54% del market share totale. Performance interessanti provengono anche dagli USA con una crescita in valore (2022/2019) pari al +39% e dal Giappone che realizza un +40% nello stesso periodo temporale.
«Le distillerie italiane sono sempre più vocate ai mercati internazionali: dal 2019 al 2022 le esportazioni di grappa sono cresciute del +32% raggiungendo i 60 milioni di euro» ha ricordato Emanuele Di Faustino, Head of Industry & Retail di Nomisma intervenendo durante l'evento. «Nonostante il calo dell'export registrato nei primi 7 mesi del 2023 (-23%) – da ricondurre alla morsa dell'inflazione e al rallentamento economico che ha colpito gran parte dei mercati di export (Germania in primis, che da sola intercetta oltre la metà dell'export di settore) – le opportunità per un'ulteriore crescita delle vendite di grappa oltre confine non mancano. In tale scenario saranno fondamentali le attività di promozione per far conoscere la grappa in giro per il mondo, fra tutte le degustazioni presso il canale Horeca. Importante anche il digital advertising, soprattutto per intercettare le generazioni più giovani sempre più attratte anche dal suo utilizzo nella mixology» conclude Di Faustino.

Il Termine Cordisco Reintrodotto nel Registro Nazionale della Vite

Con decreto MASAF 597594 del 26 ottobre 2023 è stato reintrodotto nel Registro Nazionale della Vite, accanto al termine Montepulciano, il suo sinonimo Cordisco. Questo termine, scomparso nella trascrizione dal registro cartaceo a quello informatizzato alla fine degli anni 1980, ritorna quindi a poter essere utilizzato nella designazione di vini a base Montepulciano, come già accade per il Calabrese e il suo sinonimo Nero d'Avola.
Una reintroduzione che sembra supportare la rivendica del Consorzio Tutela Vini d'Abruzzo di potere usare il termine Montepulciano solo per i vini prodotti all'interno della regione. L'utilizzo del sinonimo Cordisco consentirà alle altre regioni italiane di indicare correttamente i vini ottenuti da quest'uva secondo quella che è la normativa in fase di adozione.
«Finalmente è stata fatta chiarezza e ringraziamo il ministero per avere accolto questa nostra richiesta – spiega Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Tutela Vini Abruzzo – Applicando il sinonimo, altri territori potranno ottemperare al nuovo DM Etichettatura e al principio della corretta informazione, evitando illeciti utilizzi e usurpazione delle DOP in etichetta o nella pubblicità dei vini, che a nostro avviso ha il solo risultato di confondere il consumatore finale.»
Dello stesso parere anche la Regione Abruzzo, con il vice presidente della Giunta regionale con delega all'Agricoltura, Emanuele Imprudente, che sottolinea: «Si tratta di un decreto che pone le basi affinché l'utilizzo del nome Montepulciano sia riservato, senza generare confusione, ai vini prodotti in Abruzzo sgombrando il campo da eventuali fraintendimenti. Con l'accoglimento della proposta di reintrodurre la dicitura “Cordisco”, utilizzata già in passato, per i vini prodotti con uve Montepulciano, è stata colmata una lacuna nella designazione di questa tipologia di vino e soddisfatta la nostra richiesta. Pur condividendo l'impianto normativo del cosiddetto “DM etichettatura”, abbiamo il dovere di tutelare le specificità della nostra regione in termini di biodiversità e peculiarità delle colture. Pertanto, d'intesa con il Consorzio tutela vini d'Abruzzo, in un'ottica di sistema, ci impegneremo a far sì che la denominazione Montepulciano d'Abruzzo DOC continui a essere espressione dei vini prodotti all'interno della regione e connoti un territorio ed una vocazione ben definiti».



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