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  Editoriale Numero 83, Marzo 2010   
Denominazioni: Qualità o Speculazione?Denominazioni: Qualità o Speculazione?  Sommario 
Numero 82, Febbraio 2010 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 84, Aprile 2010

Denominazioni: Qualità o Speculazione?


 Le denominazioni, e non solo quelle relative ai vini, sono da sempre motivo di particolare attenzione da parte dei produttori e degli amministratori. Questo strumento di riconoscimento legale consente infatti ai produttori di una determinata area di tutelare la qualità e l'origine dei propri prodotti da eventuali contraffazioni e imitazioni, almeno in teoria. Dal punto di vista dei consumatori, per quello che concerne i vini, le denominazioni non sempre sono viste come strumento di garanzia e qualità, qualcosa che nel mondo del vino è ampiamente dimostrato dai fatti. Le denominazioni, in particolare quelle dei vini, sono state sempre oggetto di polemiche e critiche, arrivando addirittura a costituire un vero e proprio paradosso - e non solo in Italia - poiché alcuni vini appartenenti a categorie inferiori dimostrano, con i fatti, di essere superiori a vini di categorie più alte. In Italia è emblematico il caso di certi vini IGT (Indicazione Geografica Tipica) e perfino alcuni Vini da Tavola, decisamente di qualità migliore rispetto a molti blasonati vini DOCG (Denominazione d'Origine Controllata e Garantita).


 

 L'appartenenza alle denominazioni è stata inoltre oggetto di forte polemica da parte degli stessi produttori. Alcuni preferivano “declassare” i propri vini a categorie inferiori piuttosto che identificarli con denominazioni superiori, nelle quali - a loro dire - appartenevano vini di discutibile qualità a discapito dell'intera denominazione. In molti casi, in effetti, è difficile non condividere le loro scelte. Se prendiamo come esempio il livello più alto di qualità “legale” definita in Italia - la DOCG - spesso si scoprono esemplari non proprio eccellenti ma che comunque hanno titolo e diritto, per legge e di fatto, a rappresentare l'eccellenza della qualità enologica italiana. Ad onore del vero, se consideriamo letteralmente il significato di DOC e DOCG, queste suggeriscono che la tutela legale è limitata al controllo dell'origine di un vino, che nella categoria più alta è perfino garantita. Questo lascerebbe pensare che nel caso della DOC la garanzia dell'origine non può essere assicurata. Misteri della burocrazia.

 Oltre ai confini geografici dell'area di produzione, le denominazioni definiscono comunque criteri di qualità, anche questi oggetto di controversie e polemiche. Più volte ci siamo soffermati su questo aspetto. Riteniamo che la qualità, come l'onestà e la moralità, siano criteri legati alla cultura piuttosto che alla legge, la quale ha unicamente il compito di stabilire i criteri comuni sulle norme che regolano la società e i suoi aspetti, criteri ai quali tutte le persone oneste e che si definiscono “civili” devono attenersi. Non possono però imporre la qualità come criterio assoluto, poiché questo - facilmente dimostrabile - può essere aggirato e adattato alle diverse circostanze. Un esempio su tutti è quello offerto dal criterio di “resa per ettaro”, stabilito in ogni disciplinare che regolamenta una denominazione. Supponendo che la resa definita per legge sia pari a 60 quintali di uva per ettaro, questa misura può essere ottenuta sia piantando 6.000 viti in un ettaro e facendo produrre a ogni vite 1 chilogrammo d'uva, sia piantando 600 viti e facendo produrre a ogni ceppo 10 chilogrammi d'uva.

 In entrambi i casi si ottengono 60 quintali d'uva per ettaro, tuttavia il risultato in termini di qualità della materia prima - e quindi del vino - sono enormemente diversi e distanti. Eppure le denominazioni esercitano un forte fascino nei confronti di molti produttori e delle amministrazioni locali, convinti che queste siano fondamentali per la tutela di un vino, della sua storia e della sua tradizione. Aspetti che sono certamente importanti da tutelare, ma che non sono necessariamente collegati alla qualità, almeno in termini oggettivi. Esiste infatti un attaccamento nostalgico e romantico legato soprattutto alle tradizioni, riconoscendo a queste un valore assoluto e intoccabile, spesso di indiscutibile qualità. Qualora gli uomini di tutte le ere fossero rimasti legati alle loro tradizioni, non ci sarebbe stato nessun progresso, nemmeno in termini qualitativi, e ancora oggi faremmo uso di tradizioni risalenti a tempi remoti. Oggi pochi appassionati della bevanda di Bacco sarebbero disponibili a consumare un vino tradizionale prodotto secondo le tecniche enologiche degli antichi romani: un vino troppo lontano dal nostro gusto.

 Non è una critica nei confronti delle tradizioni, poiché va riconosciuto che se il vino è oggi quello che apprezziamo, questo è anche innegabilmente il risultato delle tradizioni. Il riconoscimento delle denominazioni è certamente qualcosa di più complesso e articolato, che non riguarda solamente tradizioni e qualità, sono spesso scelte politiche con lo scopo di ottenere un “pezzo di carta” che attesti a priori la qualità di un prodotto senza riserve. Questo riconoscimento - è innegabile - consente poi di ottenere anche dei vantaggi di tipo commerciale, a vantaggio di tutti quelli che conformano i loro vini a una determinata denominazione, bravi e meno bravi, onesti e meno onesti. A questo proposito si potrebbero portare diversi esempi del passato su come certe denominazioni siano state utilizzate unicamente con scopi speculativi tesi ad avere un vantaggio commerciale. Qualcosa che comunque non appartiene unicamente al passato: ancora oggi la qualità di certi vini appartenenti a denominazioni di elevata e comprovata qualità, risulta all'assaggio sconcertante e imbarazzante.

 Eppure questi vini hanno legittimo titolo a rappresentare quella denominazione, poiché - in accordo ai criteri fissati nel disciplinare - possiede caratteristiche tali da consentirne l'appartenenza. Si dirà: il vino è un prodotto “vivo” e pertanto nessun vino, anche della stessa denominazione, può essere uguale a nessun altro, anche grazie all'intervento e il talento dell'uomo. Giusto e ineccepibile, per fortuna. Ci sono già troppi vini “troppo simili, troppo uguali” che l'esistenza della differenza non può che fare immenso piacere. Però è altrettanto ineccepibile il danno che quel prodotto provoca alla qualità dell'intera denominazione, a danno di tutti i produttori, soprattutto di quelli che fanno della vera qualità un presupposto primario, a prescindere da quello che è stabilito nel disciplinare. Si dovrebbero quindi rivedere i criteri di controllo? Potrebbe essere una soluzione, forse. Ma allora, che cosa, o meglio, a cosa servono le denominazioni? Sono strumenti per la tutela della qualità? Dovrebbero esserle. O sono forse un mezzo per consentire speculazioni commerciali? Anche.

 







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