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  Editoriale Numero 82, Febbraio 2010   
Ritorno all'AutoctonoRitorno all'Autoctono  Sommario 
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Ritorno all'Autoctono


 Il vino non è solamente una bevanda. Il vino è un complesso fenomeno elitario e di mercato che va ben oltre la semplice definizione di bevanda. Segue le mode e le tendenze, non solo quelle relative al gusto, ma anche anche quelle suggerite dal semplice opportunismo, commerciale, ovviamente. Tutti ricorderanno, per esempio, la moda, per meglio dire, le mode, imperanti negli anni 1990, risultato dei decenni precedenti: un vino diventava magicamente importante e di qualità non appena in etichetta facevano bella mostra di sé i nomi delle solite uve francesi e la magica barrique. La barrique, poi, ha dato anche origine - suo malgrado - all'orribile termine “barriccato”, ampiamente abusato dai sedicenti esperti o presunti tali: un vino barriccato era - o forse lo è ancora? - un vino di qualità sopraffina e inopinabile. Il vino poteva essere fatto con metodi discutibili, in termini di qualità, ma se solo era fatto fermentare o maturare in barrique, diventava un grande vino, qualcosa che autorizzava perfino deplorevoli speculazioni. Lo stesso si può dire quando il vino era prodotto con Chardonnay, Merlot o Cabernet Sauvignon - tre grandi uve, sicuramente - ma da sole e senza criteri di qualità, non bastano a fare grande un vino.


 

 Gli effetti di questa moda sono stati comunque deleteri. In tutte le regioni d'Italia - ognuna ricca e forte del proprio patrimonio ampelografico unico - si è proceduto con l'espianto delle varietà locali per fare posto alle nuove varietà internazionali e alle magie che queste promettevano una volta imbottigliate. Poi qualcuno ha cominciato a dubitare di tutta questa magia e ha cominciato a capire che la grandezza dei vini francesi non era solo merito delle loro uve, ma anche - e soprattutto - di quello che si faceva in vigna e poi in cantina, oltre che valorizzare il territorio, ovviamente. L'uva, per quanto importante, sembrava non essere così fondamentale per i francesi. Non a caso, in Francia i nomi delle uve raramente vengono riportati nell'etichetta; piuttosto, fa bella mostra di sé il nome del luogo di provenienza, del vigneto, della piccola frazione di territorio. Dopo un lungo periodo di dominio delle uve internazionali, in Italia la moda sta cambiando con il ritorno all'autoctono, alle uve da sempre presenti nel nostro paese. Oggi se un appassionato di vino parla di Merlot e di Chardonnay non è considerato esperto, lo è solamente se parla - e possibilmente, conosce - le varietà autoctone di ogni regione, comprese quelle più oscure e sconosciute.

 Oggi che in Italia si è finalmente compreso - da anni, in verità - il ricco e immenso patrimonio ampelografico del nostro paese, si sta verificando un nuovo ritorno all'autoctono: quello dei lieviti. La tecnologia enologica, senza ombra di dubbio, ha vissuto uno sviluppo intenso e fondamentale negli ultimi 150 anni - come non mai in tutta la millenaria storia del vino - quando il grande scienziato francese Louis Pasteur scoprì per primo il segreto della fermentazione, evento fondamentale per la produzione di vino, identificando i microscopici organismi responsabili di questo fenomeno: i lieviti. Da quel momento gli studi e le ricerche condotte su questi preziosi microorganismi sono stati importantissimi e fondamentali, fino a classificarne le specie e il comportamento durante la fermentazione. Queste importanti ricerche hanno consentito la selezione dei lieviti più efficienti per la produzione di vino, tanto da renderli facilmente reperibili sul mercato e quindi utilizzabili da chiunque decida di produrre la bevanda di Bacco, dal produttore casalingo a quello industriale.

 Com'è noto, la fermentazione non consiste unicamente della trasformazione degli zuccheri in alcol e in altri sottoprodotti: questo processo influisce notevolmente sulla formazione degli aromi di un vino. Questo significa che, utilizzando lo stesso tipo di lievito, gli aromi che ritroveremo nel calice tenderanno ad essere simili a quelli di tanti altri vini, proprio a causa dell'impronta conferita dal lievito. Va inoltre detto che i lieviti sono naturalmente presenti nell'aria oltre che nella buccia dell'uva. Quando l'uva viene pigiata, i lieviti entrano in contatto con il succo, iniziando quindi la fermentazione. Non tutti i lieviti sono uguali e alcuni di essi hanno un'attività così forte e intensa tanto da sopraffare le altre specie, compresi quelli che naturalmente si trovano in ogni territorio. Questo è in effetti quello che accade utilizzando i lieviti selezionati: si conferisce al vino determinate qualità organolettiche eliminando - di fatto - l'azione dei lieviti autoctoni, quelli che naturalmente si trovano sulla buccia dell'uva. Sono in molti a ritenere che il lievito selezionato contribuisca a cambiare le condizioni ambientali naturalmente offerte dal luogo di produzione, riconoscendo - di fatto e giustamente - al lievito autoctono un ruolo importante per la definizione del cosiddetto terroir.

 Poiché il lievito contribuisce in modo sostanziale alla creazione degli aromi di un vino, oltre a contribuire al suo carattere autoctono, oggi sono molte le cantine che rinunciano all'uso dei lieviti selezionati favorendo quindi l'attività di quelli autoctoni presenti nel territorio. Inoltre, molte cantine hanno attivato interessanti collaborazioni con istituti di ricerca e università proprio con lo scopo di studiare la popolazione dei lieviti autoctoni presenti nelle proprie tenute e cantine, così da identificarne le specie e favorire lo sviluppo di quelli più caratteristici ai fini della fermentazione. Queste ricerche rivaluteranno non solo il patrimonio dei lieviti autoctoni di ogni zona, ma anche il carattere e il terroir, così da produrre vini con una maggiore personalità e con caratteristiche organolettiche più diverse fra loro. L'opera dei lieviti selezionati - per quanto importante - ha contribuito alla creazione di vini tutti simili e tutti uguali: con l'impiego dei lieviti autoctoni si metteranno in risalto differenze maggiori fra vini prodotti con le stesse varietà di uve anche in territori limitrofi.

 La tendenza di ricorrere sempre più ai lieviti autoctoni arricchirà certamente l'esperienza sensoriale dell'assaggio, contribuendo alla creazione di vini veramente diversi, restituendo un ulteriore elemento di tipicità e qualità. L'impiego dei lieviti autoctoni non si deve comunque considerare come un fattore di qualità; piuttosto è un fattore caratterizzante, alla stregua di ogni altro componente o strumento utilizzato in enologia. In questo senso, è bene non cadere nuovamente nell'illusione regalata dalla barrique o dalle uve internazionali: sarebbe un errore considerare un vino prodotto con lieviti autoctoni superiore a uno prodotto con lieviti selezionati. In altre parole, non è lo strumento o la tecnica a produrre un buon risultato, piuttosto, dipende da come questi sono utilizzati. Il ritorno al lievito autoctono è comunque qualcosa che si deve accogliere con favore, un ulteriore passo per allontanare il vino da quella omologazione che negli ultimi anni sembrava essere l'unica strada possibile. Troppi vini, infatti, sembravano così simili a tanti altri. Il lievito autoctono non promette comunque risultati eclatanti, sicuramente contribuirà ad arricchire il vino con piccole e grandi, ma comunque significative, differenze e caratteristiche. Infine, dipende anche dal mercato, poiché è in questa fase che si decide cosa produrre. Se un vino prodotto con lieviti autoctoni non riscuote i favori del mercato, c'è da giurarlo, i produttori torneranno ai lieviti selezionati. Così va il mondo.

 







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