La degustazione sensoriale di un vino è sempre un'esperienza coinvolgente e
ricca di emozioni - sia positive, sia negative - che chiede attenzione, un
continuo richiamo alla propria memoria, alla propria esperienza e alla propria
attitudine critica e analitica. Va da sé, la degustazione è un esercizio nel
quale non si finisce mai di imparare - per fortuna - una di quelle attività che
mette sempre di fronte alla propria ignoranza e a quanto ci sia ancora da
imparare. Più si sa, o si crede di sapere, e più ci si rende conto di quanto
poco sappiamo. La conoscenza e l'apprendimento sono esercizi che fanno sempre
prendere coscienza della propria ignoranza: si può gioire del poco che si impara
ogni volta, un po' meno per la consapevolezza di quanto si deve ancora imparare.
Eppure, a volte, con quel poco che si conosce, unitamente all'esperienza e
affidandosi ai propri sensi - olfatto e gusto - si possono scoprire cose
interessanti, talvolta inaspettate.
La scena è consueta e ben nota a chiunque si appassioni al vino, non solo come
bevanda fine a sé stessa, ma soprattutto come espressione di una cultura e delle
caratteristiche di territorio, non da ultimo, agli aspetti tecnici ed enologici
della sua produzione. Si versa la giusta quantità di vino nel calice e si
comincia a fare la sua conoscenza osservandone l'aspetto, il colore e quanto
è trasparente. Si scruta il calice alla ricerca di qualche indizio, lo si pone
in contrasto con la luce poi, alla ricerca di qualcosa di bianco, si inclina il
calice cercando di coglierne le sfumature. Si fanno delle supposizioni, si cerca
di farsi un'idea sommaria. Poi giunge il momento di avvicinare il calice al naso
- uno dei momenti più esaltanti della degustazione sensoriale - e si inspira,
portando al naso aria carica di profumi e aromi, andando alla iniziale ricerca
di indizi che possano ricondurre alla presenza di difetti. Difetti non se ne
trovano - meno male - quindi si procede alla ricerca di altri indizi e delle
qualità positive.
Si annusa ancora, si rotea il calice così da permette all'ossigeno di fare
aprire il vino, e via, si annusa ancora. In alcuni vini giungono netti gli
aromi primari dell'uva, in altri sono gli aromi dell'uva rivelati della
fermentazione e della maturazione a farsi largo. Uno sguardo all'etichetta,
tanto per avere il conforto delle indicazioni del produttore - va detto, dove la
legge lo consente - e si conoscono, in un attimo, le uve utilizzate per produrre
quel vino e cosa è stato sommariamente fatto in cantina. Spesso si legge che
quel vino è prodotto con una certa uva in purezza, scritto con orgoglio e in
bella evidenza, tanto per fugare eventuali dubbi. Allora si torna ad annusare il
calice e i profumi che arrivano al naso raccontano un'altra storia, ben diversa
da quello che si legge in etichetta. «Ma che ci fanno in questo vino questi
aromi che in realtà fanno pensare ad altre uve?» Nel dubbio, torni ad annusare
cercando di convincerti che in quel vino monovarietale, gli aromi di altre uve
non possono esserci. Eppure ci sono, sono li e insistono a portare la tua mente
altrove senza fugare affatto quel dubbio.
Allora si cerca di spiegare l'anomalia pensando agli aromi prodotti dalla
fermentazione e, in particolare, agli aromi che il lievito regala al vino,
rendendoli spesso uguali a mille altri. Eppure quell'aroma è li e non richiama
affatto il lavoro del lievito, piuttosto ad altre uve. Si cercano quindi
risposte nell'assaggio, ma anche qui alcuni sapori - una morbidezza o un'acidità
non tipica per l'uva dichiarata in etichetta - non fanno altro che alimentare
ulteriormente il dubbio che, a questo punto, comincia a diventare certezza. Poi
alla fine ti arrendi e ti viene in mente un numero: 85. Un numero che spiega
spesso tante cose e che consente ai produttori di barare sull'etichetta,
facendo passare per oro quel che oro non è. Per onore di correttezza, va detto
che in alcuni disciplinari è espressamente vietato indicare in etichetta il nome
delle uve o di tutte le uve impiegate per la produzione di un vino.
Ottantacinque, che nel nostro caso significa 85% - è la quota che molti
disciplinari di produzione definiscono sufficiente per considerare un vino
prodotto con una sola uva, in altre parole consente di nascondere certe verità e
dichiarare come monovarietale un vino che non lo è.
Le leggi che regolamentano la produzione di vino - e va detto, non solo in
Italia - sono in molti casi eccessivamente permissive, definiscono dei criteri
troppo spesso flessibili a scapito - e questa non è una novità - della
trasparenza e dell'onesta verso i consumatori. In alcuni disciplinari è
sufficiente che un'uva sia presente per almeno l'85% e tanto basta per potere
definire quel vino come monovarietale, cioè prodotto con quell'uva in purezza.
Il restante 15% può essere costituito da altre varietà, raccomandate o
autorizzate in una determinata zona. Il 15% vi sembra una quota trascurabile?
Prendiamo una varietà non aromatica, quindi avara di certi aromi facili e
immediati. Se a questa si aggiunge il 15% di una varietà aromatica, il vino si
trasforma radicalmente e, come per magia, si arricchisce di piacevoli aromi
primari. Il 15% è sufficiente a stravolgere completamente il carattere
di un'uva e di un vino. La possibilità o l'obbligo, a seconda del disciplinare,
di non dichiarare alcune uve in etichetta consente, inoltre, facili e legali
speculazioni in quelle zone nelle quali si cerca di promuovere certe uve locali
povere di aromi - arricchendole con varietà aromatiche - conferendo un carattere
del tutto estraneo a quelle varietà. Suvvia, non siamo tutti fessi: il trucco
c'è e si sente pure.
Non si sta chiedendo di indicare con precisione la percentuale di ogni uva
utilizzata per produrre un vino: va da sé che queste possono variare a seconda
dell'annata e del suo andamento. Alcuni si giustificano - anche nei casi dove la
legge lo consente - sostenendo che certe uve non sono state indicate in
etichetta poiché la quantità utilizzata è così esigua da risultare trascurabile.
Allora, se è vero che è trascurabile, perché si è deciso di aggiungerla? Forse
perché si tratta di una minuscola produzione e che in questo modo può essere
impiegata anziché essere gettata via? È una giustificazione risibile. Una
presunta quantità trascurabile - e il 15% non è certamente trascurabile
- introdotta da uve con carattere forte, di aromi o di sapori, contribuisce in
modo significativo a cambiare il profilo organolettico di un vino. E tutto
questo fa sorgere spontanea la solita domanda: quanto sono attendibili le
etichette nelle bottiglie dei vini? In attesa di provvedimenti concreti,
continuiamo a fidarci del nostro naso. E dei nostri sensi.
Antonello Biancalana
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