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  Editoriale Numero 93, Febbraio 2011   
Quando il Naso Racconta Più dell'EtichettaQuando il Naso Racconta Più dell'Etichetta  Sommario 
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Quando il Naso Racconta Più dell'Etichetta


 La degustazione sensoriale di un vino è sempre un'esperienza coinvolgente e ricca di emozioni - sia positive, sia negative - che chiede attenzione, un continuo richiamo alla propria memoria, alla propria esperienza e alla propria attitudine critica e analitica. Va da sé, la degustazione è un esercizio nel quale non si finisce mai di imparare - per fortuna - una di quelle attività che mette sempre di fronte alla propria ignoranza e a quanto ci sia ancora da imparare. Più si sa, o si crede di sapere, e più ci si rende conto di quanto poco sappiamo. La conoscenza e l'apprendimento sono esercizi che fanno sempre prendere coscienza della propria ignoranza: si può gioire del poco che si impara ogni volta, un po' meno per la consapevolezza di quanto si deve ancora imparare. Eppure, a volte, con quel poco che si conosce, unitamente all'esperienza e affidandosi ai propri sensi - olfatto e gusto - si possono scoprire cose interessanti, talvolta inaspettate.


 

 La scena è consueta e ben nota a chiunque si appassioni al vino, non solo come bevanda fine a sé stessa, ma soprattutto come espressione di una cultura e delle caratteristiche di territorio, non da ultimo, agli aspetti tecnici ed enologici della sua produzione. Si versa la giusta quantità di vino nel calice e si comincia a “fare la sua conoscenza” osservandone l'aspetto, il colore e quanto è trasparente. Si scruta il calice alla ricerca di qualche indizio, lo si pone in contrasto con la luce poi, alla ricerca di qualcosa di bianco, si inclina il calice cercando di coglierne le sfumature. Si fanno delle supposizioni, si cerca di farsi un'idea sommaria. Poi giunge il momento di avvicinare il calice al naso - uno dei momenti più esaltanti della degustazione sensoriale - e si inspira, portando al naso aria carica di profumi e aromi, andando alla iniziale ricerca di indizi che possano ricondurre alla presenza di difetti. Difetti non se ne trovano - meno male - quindi si procede alla ricerca di altri indizi e delle qualità positive.

 Si annusa ancora, si rotea il calice così da permette all'ossigeno di fare “aprire” il vino, e via, si annusa ancora. In alcuni vini giungono netti gli aromi primari dell'uva, in altri sono gli aromi dell'uva rivelati della fermentazione e della maturazione a farsi largo. Uno sguardo all'etichetta, tanto per avere il conforto delle indicazioni del produttore - va detto, dove la legge lo consente - e si conoscono, in un attimo, le uve utilizzate per produrre quel vino e cosa è stato sommariamente fatto in cantina. Spesso si legge che quel vino è prodotto con una certa uva in purezza, scritto con orgoglio e in bella evidenza, tanto per fugare eventuali dubbi. Allora si torna ad annusare il calice e i profumi che arrivano al naso raccontano un'altra storia, ben diversa da quello che si legge in etichetta. «Ma che ci fanno in questo vino questi aromi che in realtà fanno pensare ad altre uve?» Nel dubbio, torni ad annusare cercando di convincerti che in quel vino monovarietale, gli aromi di altre uve non possono esserci. Eppure ci sono, sono li e insistono a portare la tua mente altrove senza fugare affatto quel dubbio.

 Allora si cerca di spiegare l'anomalia pensando agli aromi prodotti dalla fermentazione e, in particolare, agli aromi che il lievito regala al vino, rendendoli spesso uguali a mille altri. Eppure quell'aroma è li e non richiama affatto il lavoro del lievito, piuttosto ad altre uve. Si cercano quindi risposte nell'assaggio, ma anche qui alcuni sapori - una morbidezza o un'acidità non tipica per l'uva dichiarata in etichetta - non fanno altro che alimentare ulteriormente il dubbio che, a questo punto, comincia a diventare certezza. Poi alla fine ti arrendi e ti viene in mente un numero: 85. Un numero che spiega spesso tante cose e che consente ai produttori di “barare” sull'etichetta, facendo passare per oro quel che oro non è. Per onore di correttezza, va detto che in alcuni disciplinari è espressamente vietato indicare in etichetta il nome delle uve o di tutte le uve impiegate per la produzione di un vino. Ottantacinque, che nel nostro caso significa 85% - è la quota che molti disciplinari di produzione definiscono sufficiente per considerare un vino prodotto con una sola uva, in altre parole consente di nascondere certe verità e dichiarare come monovarietale un vino che non lo è.

 Le leggi che regolamentano la produzione di vino - e va detto, non solo in Italia - sono in molti casi eccessivamente permissive, definiscono dei criteri troppo spesso flessibili a scapito - e questa non è una novità - della trasparenza e dell'onesta verso i consumatori. In alcuni disciplinari è sufficiente che un'uva sia presente per almeno l'85% e tanto basta per potere definire quel vino come monovarietale, cioè prodotto con quell'uva in purezza. Il restante 15% può essere costituito da altre varietà, raccomandate o autorizzate in una determinata zona. Il 15% vi sembra una quota trascurabile? Prendiamo una varietà non aromatica, quindi avara di certi aromi “facili” e immediati. Se a questa si aggiunge il 15% di una varietà aromatica, il vino si trasforma radicalmente e, come per magia, si arricchisce di piacevoli aromi primari. Il 15% è sufficiente a stravolgere completamente il carattere di un'uva e di un vino. La possibilità o l'obbligo, a seconda del disciplinare, di non dichiarare alcune uve in etichetta consente, inoltre, facili e legali speculazioni in quelle zone nelle quali si cerca di promuovere certe uve locali povere di aromi - arricchendole con varietà aromatiche - conferendo un carattere del tutto estraneo a quelle varietà. Suvvia, non siamo tutti fessi: il trucco c'è e si sente pure.

 Non si sta chiedendo di indicare con precisione la percentuale di ogni uva utilizzata per produrre un vino: va da sé che queste possono variare a seconda dell'annata e del suo andamento. Alcuni si giustificano - anche nei casi dove la legge lo consente - sostenendo che certe uve non sono state indicate in etichetta poiché la quantità utilizzata è così esigua da risultare trascurabile. Allora, se è vero che è trascurabile, perché si è deciso di aggiungerla? Forse perché si tratta di una minuscola produzione e che in questo modo può essere impiegata anziché essere gettata via? È una giustificazione risibile. Una presunta quantità trascurabile - e il 15% non è certamente trascurabile - introdotta da uve con carattere forte, di aromi o di sapori, contribuisce in modo significativo a cambiare il profilo organolettico di un vino. E tutto questo fa sorgere spontanea la solita domanda: quanto sono attendibili le etichette nelle bottiglie dei vini? In attesa di provvedimenti concreti, continuiamo a fidarci del nostro naso. E dei nostri sensi.

Antonello Biancalana






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