Parlare di vino è diventato oramai una moda importante della nostra società,
anche il solo ostentare una minima conoscenza di quella o quell'altra etichetta
rappresenta un segno di distinzione, o per meglio dire, sembra essere un segno
di distinzione, nell'ambito di un determinato gruppo di individui. Dare
l'impressione di essere grandi esperti di qualcosa, apparire superiori ad
altri, anche con il semplice, comunque deprecabile, scopo di umiliare i propri
interlocutori, sembra essere una delle principali caratteristiche
comportamentali delle persone. Il vino, purtroppo, essendo un argomento attuale
e di moda, non si sottrae certamente a questa tendenza.
Da qualche anno si assiste poi anche all'invasione di super-esperti
enologici sugli schermi televisivi di ogni canale, ma anche sulla carta
stampata, che, se è vero da un lato potrebbero contribuire positivamente alla
diffusione della cultura del vino, dall'altro, forse, contribuiscono in modo
determinante ad aumentare la già troppa confusione sul tema e ad allontanare la
gente, dando l'impressione che il vino sia una bevanda riservata ad un circolo
di pochi altezzosi ed eletti individui con le bocche sempre piene di parole che
non dicono niente e con poco vino nei bicchieri. Probabilmente è spontaneo
chiedersi se per essere esperti di vino sia sufficiente fare un largo uso di
parole ad effetto, oramai di uso comune e di prassi, come per esempio
l'abusato termine fruttato, così come altri termini decisamente generici e
scontati, che non dicono assolutamente niente di un vino e di certo non lo
descrivono se non viene qualificato in modo opportuno. Vogliamo ben sperare che
un vino sia fruttato, del resto, è una bevanda prodotta dalla fermentazione
del succo di un frutto, l'uva, e pertanto sarebbe preoccupante, molto
preoccupante, se un vino non avesse aromi riconducibili alla frutta.
Che dire poi di quei commenti carichi di pompose e sontuose parole, pieni di
retorica e termini aulici, che dopo averli letti o ascoltati, si finisce
inevitabilmente per chiedersi se si stesse parlando di vino o chissà di
cos'altro. Spesso sono così volutamente infarciti di termini, anche fuori luogo
e, peggio, che non dicono niente, che rasentano il ridicolo, spesso vanno anche
ben oltre, che sorridere è proprio il minimo che si possa fare. Leggere o
ascoltare queste descrizioni sul vino si può arrivare a pensare o credere che i
vini sono, in definitiva, tutti uguali vista l'alta ricorrenza di certi termini
e di certe espressioni. Eppure non è così. Chiunque abbia una discreta cultura
del vino e ha assaggiato, con attenzione, ciò che aveva nel proprio bicchiere,
sa che non è così. Esistono delle differenze fra i vini che li rendono unici,
come per esempio la zona, o il cru, vini prodotti con le stesse uve ma
in zone diverse, anche distanti di pochi chilometri l'una dall'altra, danno
vini diversi, differenze che sono purtroppo cancellate da certe descrizioni e
definizioni sommarie e inutili che hanno il solo scopo di confondere e
omologare un'intera categoria di prodotti.
Questa tendenza si riscontra anche, purtroppo, fra i consumatori che tentano di
emulare il super-esperto, con la speranza di apparire tale, ripetendo e
riempendosi la bocca delle medesime parole. Basta andare in un qualunque
ristorante che abbia un minimo di cura per il vino, e vedere cosa succede
quando un cliente ordina il proprio vino. All'inizio, soprattutto se è in
compagnia, cerca di orientarsi sulla sua scelta facendo uso di termini
esperti e, talvolta, con una certa arroganza, cercando pure di mettere in
difficoltà la persona addetta al servizio del vino. Poi, quando si rende conto
che la persona che ha difronte possiede una competenza sul vino sufficiente e,
probabilmente, migliore della sua, cambia atteggiamento e inizia la fase di
smarrimento che finisce inevitabilmente per farsi consigliare dalla persona
addetta al servizio del vino.
Lo stesso va detto per i luoghi comuni che ancora circondano il mondo del vino,
fra questi, l'abitudine e l'insistenza di volere un vino, sia giovane, sia
maturo, decantato in una caraffa, proprio come detta una presunta e fantomatica
regola da veri intenditori. Pare che più un vino è importante, e per
importante ognuno intenda ciò che meglio crede, dal vino preferito a quello
costoso, e più necessiti di essere decantato. Forse è la cerimonia della
decantazione ad affascinare, purtroppo spesso eseguita sommariamente, tuttavia
sarebbe bene ricordare che l'operazione di decantazione, il termine stesso ce
lo ricorda, ha come scopo quello di separare il vino dai suoi sedimenti in modo
da ottenere un liquido limpido e bevibile. Molti sostengono, e di certo non a
torto, che la decantazione ha come scopo quello di ossigenare un vino che per
lungo tempo è rimasto in una bottiglia ad affinare e questa operazione sia
capace di risvegliarlo dal suo torpore. Andrebbe considerato che per certi
vini, soprattutto quelli lungamente affinati, una repentina ossigenazione, come
quella della decantazione, potrebbe rovinarli irreparabilmente e, comunque,
disperde in un attimo la lunga e laboriosa opera del tempo. Se proprio si deve
ossigenare un vino, si ricordi che la quantità e la qualità dei bicchieri oggi
disponibili è così ampia che consentono, con le loro forme e volumi, di
ossigenare ottimamente ogni tipo di vino.
Lo stesso accade anche con i vini prodotti con le solite uve famose, sulla
bocca di tutti, le uniche, a quanto pare, capaci di fare buon vino, così come i
presunti miracoli che solo la fermentazione o la maturazione in botte sarebbe
capace di compiere sul vino. Ancora oggi è piuttosto frequente la convinzione
che la qualità di un vino debba passare inevitabilmente per una barrique
e che si debba fare con certe uve. Se un vino ha aromi pronunciati di legno
allora è certamente di qualità. Se un vino è maturato in botte allora è
importante, se è fatto con certe uve, allora è certamente un grande vino.
Questi pregiudizi, luoghi comuni, pare che resistano ancora in modo deciso ed è
triste che pochi, quando assaggiano un vino, si ricordino anche del luogo di
provenienza e della zona specifica in cui è stato prodotto quel vino,
ricordiamolo, fra i veri e reali fattori di qualità. L'unica cosa positiva è
che qualcuno, seppure timidamente, comincia ad interrogarsi e a guardare oltre
i soliti vini e a scoprire, o per meglio dire, riscoprire, quei vini
prodotti con le uve autoctone di certi luoghi che solo in quei luoghi sono
capaci di dare il meglio di sé.
Certo, non si può discutere sulle preferenze e i gusti personali di ognuno, del
resto, non è buono ciò che si dice essere buono, ma soprattutto e
principalmente è buono ciò che piace. Del resto, il concetto di bontà, così
come di bellezza, è così astratto e indefinibile che ognuno ha modi e
definizioni proprie non sempre condivisibili da altri. Però sarebbe bene che
ognuno formasse il proprio concetto di buono e, soprattutto, che sia il
risultato di gusti e preferenze personali e non di altri. La prossima volta che
sentite dire che un vino è fruttato, senza altre specificazioni sulla sua
qualità, oltre a risentirvi del fatto che un termine come questo non aiuta
affatto e non dice niente, prendete il vostro calice e provate voi stessi ad
assaggiarlo, sempre con moderazione, e lasciate che siano i vostri sensi a
raccontarvi quel vino. Del resto il vino è una bevanda che ha bisogno dei sensi
per essere compresa; le parole, per quanto belle esse siano, non gli renderanno
mai giustizia, possono solo dare una vaga idea.
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