Dopo un lungo tempo trascorso a parlare e a decantare il fascino e la presunta
superiorità delle uve cosiddette internazionali, recentemente sta facendo
il suo ingresso nel lessico degli appassionati di vino un termine, attuale e
affascinante, che sta diventando sempre più utilizzato e abusato: autoctono.
Forse non è chiaro se si tratta dell'ennesima moda che sta attraversando il
mondo del vino, e con questo anche nuove opportunità commerciali, oppure di un
termine capace di fare emergere e allontanare ulteriormente coloro che parlano
di vino da quelli che cercano di avvicinarsi. Secondo la lingua Italiana,
autoctono, dal Greco autóchthon, significa qualcosa o
qualcuno della sua stessa terra, nel nostro caso specifico, di uve
originarie di determinate zone o regioni.
Non è chiaro, o comunque è difficile da dire, se questo nuovo o rinnovato
interesse verso l'autoctono, inteso come termine piuttosto che come
rivalutazione del patrimonio culturale di ogni luogo, sia unicamente teso
all'arricchimento del vocabolario degli appassionati di vino, oppure si sta
valorizzando l'autoctono solo per l'illusione romantica legata alle cose del
passato e alle tradizioni che riescono sempre ad evocare immagini di genuinità
nell'immaginario comune, anche di ciò che è più buono e migliore. Anche
perché è bene ricordare che le cosiddette uve internazionali sono straniere
nei luoghi in cui queste non hanno origine, ma sono indiscutibilmente autoctone
nei luoghi in cui queste hanno la loro origine. Se prendiamo, ad esempio, l'uva
Chardonnay, probabilmente considerata come la più internazionale fra le uve
bianche, e si prende come riferimento la Borgogna, è difficile sostenere in
quel luogo che lo Chardonnay è un'uva internazionale, per i Borgognoni lo
Chardonnay è indiscutibilmente autoctono!
Una cosa è necessaria chiarire: nessuno sta sostenendo che lo Chardonnay o il
Cabernet Sauvignon, due esempi di uve internazionali, non siano uve capaci di
produrre grandi vini, tutt'altro, questa è una posizione che di certo non
sosteniamo e nella quale non crediamo nemmeno. Se prendiamo per esempio uno
Champagne Blanc de blancs, prodotto con uva Chardonnay, la sua eleganza
è decantata, giustamente, ovunque. Che sia il merito dell'uva Chardonnay? Di
certo quest'uva svolge un'importante ruolo, ma di certo ciò che rende eleganti
questi vini è la regione della Champagne e le sue condizioni ambientali e
climatiche uniche, non da ultimo, la serietà dei produttori. Del resto, esiste
una così vasta quantità di spumanti prodotti in tutto il mondo con uve
Chardonnay, di scarsa o mediocre qualità, che basta a fare comprendere che la
grandezza della Champagne non è solo fatta di Chardonnay. Lo stesso concetto si
applica certamente a qualunque altro tipo di uva e a qualunque altra zona,
senza eccezione alcuna.
Forse, più semplicemente, il rinnovato interesse, o la scoperta, delle uve
autoctone nasce dalla necessità di conoscere cose nuove probabilmente dovuta
anche dall'invasione indiscriminata di così tanti vini tutti simili, tutti
uguali, prodotti con le stesse uve e che inevitabilmente hanno lo stesso
sapore e gli stessi aromi. Forse si è esagerato con l'uso delle cosiddette uve
internazionali che hanno saturato il mercato non lasciando più spazio alla
diversità e appiattendo l'interesse dei consumatori? Forse. Oppure per
ridestare l'interesse verso il vino, peraltro già desto ma confuso dalla gran
quantità di bottiglie disponibili, si stiano cercando nuove opportunità
commerciali facendo passare per nuovo ciò che da sempre è esistito? Potrebbe
anche essere. Se fosse realmente così, non c'è da stare molto allegri; la
speranza che i vini e le uve tipiche di certi luoghi siano finalmente
valorizzate, un evento certamente auspicabile nell'interesse della ricchezza
culturale di ogni consumatore, è destinata ad un sicuro declino non appena
l'opportunità commerciale sarà sostituita da una nuova.
Però è indiscutibile il fatto che la parola autoctono stia diventando
sempre più di uso comune fra gli appassionati di vino e fra coloro che operano
nel mondo del vino. L'uso di questa parola sta diventando frequente anche fra i
consumatori che la usano, addirittura, senza nemmeno conoscerne l'effettivo
significato applicato al vino, forse perché l'hanno sentita dire da qualcuno e
pertanto sembra appropriata per apparire esperti. Capita a volte di sentire
nei ristoranti o nelle enoteche, clienti che chiedono un vino autoctono
senza nemmeno sapere cosa significhi esattamente, o meglio, senza rendersi
conto che sarebbe bene chiedere un vino fatto da uve autoctone. D'accordo,
ma autoctone di quale luogo? Sono proprio considerazioni come queste che fanno
pensare all'ennesima moda che sta attraversando il mondo del vino, e come tale
porta sia vantaggi, sia pericoli insidiosi.
Vantaggi, perché contribuiscono ad aumentare l'interesse verso il vino e, in
questo caso, sembrerebbe verso quei vini e quelle uve di determinate zone;
pericoli, perché dall'uso di un termine, peggio, dall'uso improprio, si può
facilmente passare al suo abuso e si potrebbe verificare ciò che si è già
verificato per le uve cosiddette internazionali, presenti ovunque e in ogni
vino e che forse, alla fine, hanno uniformato un po' troppo la scelta dei
prodotti nel mercato. Chissà, forse un giorno arriveremo anche a non potere
sopportare più i vini da uve autoctone proprio a causa dell'abuso del
termine e non certo della loro corretta valorizzazione e, chissà, a quel punto
capiremo anche che i vini, o meglio, le uve autoctone, sono state solamente una
moda del momento servita a sfruttare l'occasione offerta da una determinata
circostanza. C'è solo da sperare che non finisca in questo modo. Come sempre
siamo difronte ad un'opportunità e a seconda del modo in cui si sfrutta può
diventare positiva o negativa, una scelta che, forse, può dare un nuovo slancio
al mondo del vino, e soprattutto, alla ricchezza culturale di ogni appassionato
di questa bevanda.
Non c'è niente di sbagliato o contrario verso le uve internazionali, così
come non c'è niente di sbagliato o contrario verso le uve autoctone. Non ci
stancheremo mai di ripeterlo: l'uva, da sola, non è il fattore principale per
la produzione di un buon vino. Esistono altri fattori fondamentali che
contribuiscono alla creazione di grandi vini, fra questi, e per primi, la zona
di produzione e le sue caratteristiche, spesso uniche, certamente anche l'uva
e, non da ultimo, l'apporto che ogni produttore da ai suoi vini, proprio perché
è lui il primo a decidere se fare un vino mediocre o un vino buono, portando a
proprio favore le condizioni del territorio dove opera. Va anche ricordato che
la maggioranza delle uve, che nel corso dei secoli si sono adattate nelle loro
terre di origine, sfruttando al meglio ciò che quel luogo poteva offrire, se
portate altrove non danno gli stessi risultati. Questo non può che continuare a
sostenere che il fattore zona e le sue caratteristiche peculiari, che
comprendono anche le uve che da sempre si trovano in quei luoghi, siano da
considerarsi fra i principali elementi della qualità nei vini. Non a caso i
Francesi insistono da secoli, giustamente, a valorizzare il concetto di
cru e di terroir piuttosto che di uva; segno che avevano
capito, molto prima di altri, quali erano i fattori importanti e reali per fare
un grande vino.
|