Da molti anni il vino sta vivendo - o meglio, rivivendo - un nuovo e
sensazionale interesse da parte dei consumatori e dei mezzi di comunicazione. Da
nobile bevanda destinata a pochi eletti, quando era buono, o deprecabile vizio,
quando era cattivo, il vino è stato consacrato ad uno status symbol segno
del vivere raffinato e dell'essere alla moda in questi tempi dove apparire è più
importante che essere. Il vino non poteva certamente essere un'eccezione a
questa nuova regola moderna. Iniziato come un nobile tentativo di rivalutazione
tradizionale e culturale della nostra millenaria e amata bevanda, oggi lo
scenario è ben diverso e la speculazione, non solo economica, ha preso il
sopravvento. Il vino è diventato una moda, una delle tante, in cui è sufficiente
sfoggiare due o tre nomi di etichette che fanno colpo o di uve importanti e
famose per essere considerati veri intenditori.
Si sa, apparire è oramai una questione così importante e strategica nei rapporti
interpersonali che pochi - per timore di fare brutta figura - osano approfondire
mentre altri tacciono abbaiati da tanto carisma. Basta poco per diventare veri
esperti di vino e impressionare i propri interlocutori: due parole magiche
pronunciate al momento giusto confidando nell'ignoranza altrui e con la speranza
di farla franca e di non essere scoperti. Nel mondo del vino sono emerse da
diversi anni alcune parole magiche che sembrano trasformare in oro tutto ciò
che toccano esattamente come la leggendaria pietra filosofale di Re Mida. Fra
queste parole - senza ombra di dubbio - si devono includere i nomi delle oramai
celebri e abusate uve internazionali. Merlot, Chardonnay, Cabernet Sauvignon
e Sauvignon Blanc - tanto per citare alcuni esempi - sono uve che hanno
raggiunto una così elevata notorietà - anche se sarebbe opportuno dire che sono
le uve sulle quali si è maggiormente speculato - tanto che la presenza di una di
queste uve in un vino sembra promettere nettari divini di indiscutibile pregio.
Dopo una premessa di questo genere riteniamo opportuno fare una dovuta
precisazione. Non siamo ovviamente contrari all'uso di queste uve, sappiamo
benissimo che sono capaci di creare grandissimi vini, ma siamo altrettanto
consapevoli che queste uve - da sole - non bastano a fare grandissimi vini.
Quanti grandi vini Bordolesi, Borgognoni e della Valle della Loira, fatti con le
uve che abbiamo citato come esempio, si potrebbero elencare? Molti, anzi
moltissimi. La Francia è stata - ed è ancora - un forte riferimento enologico
per tutti i paesi vinicoli del mondo e forse sono ancora in molti a credere che
il successo Francese sia legato all'uso di certe uve. Probabilmente in molti non
si sono ancora accorti che nelle etichette dei vini Francesi non viene mai
riportato il nome delle uve utilizzate per fare un vino, e certamente non per il
fatto di tenere nascosti certi segreti. L'enologia Francese è fortemente
radicata al concetto dell'importanza del territorio e del suo contributo nel
rendere unico un vino. Certo, il vino si fa con l'uva, ma l'uva da sola non
diventa vino, ha bisogno di tanti altri fattori a partire dall'intervento
dell'uomo e dalle caratteristiche del territorio.
Non intendiamo sostenere che nelle etichette non debbano essere indicate le uve
con cui si è prodotto un vino, al contrario, siamo per la chiarezza più
trasparente e che siano comunicate ai consumatori tutte le informazioni utili a
comprendere un prodotto, uve incluse. Quello che ci piace sottolineare è che nei
loro luoghi di origine, queste uve - oramai definite internazionali ma in
quei luoghi da considerarsi come autoctone - non godono del clamore e della
notorietà che invece si riscontrano in altri paesi. Eppure, visto il successo
del Merlot e dello Chardonnay - tanto per citare due esempi - sarebbe
nell'interesse degli stessi Francesi mettere in chiara evidenza l'uso di queste
uve nelle etichette dei loro vini: sarebbe un innegabile vantaggio commerciale.
Per i Francesi è il cru ciò che è più importante ed è questo ciò che
viene esaltato nelle etichette. Possibile che Madre Natura sia stata così
benevola solamente con la Francia regalandogli memorabili terre da vino tanto da
sottovalutare il fattore uva? L'esperienza e i fatti ci dimostrano chiaramente
che non è così. Memorabili terre da vino sono presenti in molti paesi del mondo.
Nonostante queste considerazioni, l'impiego di certe uve nei vini sembra
assicurare un discreto successo, questo è quello che si può evincere dalle
preferenze dei consumatori e del mercato. I produttori stessi ribadiscono da
anni che i vini prodotti con le cosiddette uve internazionali si vendono
meglio di quelli prodotti con uve autoctone. Forse questo spiega anche il motivo
delle modifiche dei disciplinari di produzione di zone vinicole tradizionali e
celebri in cui si introducono, per la prima volta nella loro storia, uve come
Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Sauvignon Blanc. In queste zone sembra
che il fattore territorio non sia più sufficiente a fare vendere i loro vini,
tuttavia è molto probabile che le cause siano da ricercarsi altrove. Sarebbe
interessante vedere l'effetto che avrebbe l'introduzione del Sangiovese nel
Bordolese o del Nebbiolo nella Borgogna, tanto per fare un raffronto. Chissà
perché ai Francesi non è mai venuta in mente questa idea? Ad onore del vero in
molte zone si sta cercando di rivalutare le qualità del proprio territorio - uve
comprese - e questo sembra essere l'inizio di una nuova tendenza che lentamente
si sta facendo largo nel nome di antiche e romantiche tradizioni. Iniziative
certamente lodevoli ma che forse non sono sufficienti per il riconoscimento e
l'apprezzamento delle qualità di un territorio innegabilmente diverse da
qualunque altro.
Esempi di rivalutazione dei vini di un territorio e delle sue uve sono così
tanti che sembra difficile credere alla situazione attuale. Sono molti i
produttori che hanno avuto successo nel rivalutare le risorse del proprio
territorio e che hanno contribuito al successo di altri produttori e della loro
zona affermando una diversità tradizionale e culturale. Non siamo contrari alle
uve internazionali, ribadiamo la nostra convinzione, fin troppo evidente nei
fatti, che queste uve, unitamente al territorio in cui sono coltivate, sono
capaci di creare vini di primaria grandezza ed eleganza. Il problema è che si
comincia da anni ad avvertire una certa stanchezza verso quei vini tutti
diversi eppure tutti uguali accomunati da un gusto fin troppo omologato e
scontato, il più delle volte prodotti con le solite uve. Forse la colpa è anche
dei consumatori, fin troppo pigri e attratti dall'apparenza e per niente
interessati alla sostanza, che non hanno la curiosità - permetteteci di
aggiungere - e l'intelligenza di comprendere il valore della differenza.
Esistono migliaia di vini in tutto il mondo - diversi e interessanti - un
patrimonio che dovremmo essere capaci di valorizzare e difendere. Le uve
internazionali hanno un grande e innegabile valore enologico, tuttavia non sono
le uniche con le quali si possono fare grandi vini. Viva la differenza!
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