Il tema dei vini naturali è certamente fra quelli più attuali nel mondo della
bevanda di Bacco. Se ne parla, a volte anche a sproposito, si conducono
battaglie ideologiche al limite del ridicolo, si creano fazioni di appassionati
e degustatori che non assaggiano vino a meno che non abbia l'imprimatur
in etichetta o a parole di vino naturale, o presunto tale. Sul fatto, poi,
di cosa sia esattamente un vino naturale, nessuno sa rispondere o
definirlo con chiarezza e certezza. In termini generali - senza pretesa di
definirlo - per vino naturale si intende quello prodotto con interventi
essenziali da parte dell'uomo, sia in vigna, sia in cantina, cercando di
limitare, o perfino evitare, l'uso di sostanze di origine chimica, favorendo -
nel contempo - pratiche e metodi naturali. Molti dimenticano, così per
dire, che l'unico processo naturale e finale che riguarda il succo dell'uva,
anche mantenendo al minimo l'intervento dell'uomo, è quello di diventare aceto.
Lasciare fermentare il mosto senza intervenire in alcun modo - cioè come
Natura vuole - significa consentire a batteri e lieviti di svolgere il
lavoro che la Natura ha assegnato loro, con l'inevitabile risultato di produrre
aceto.
Evitare la formazione di aceto durante la produzione di vino chiede
l'indispensabile intervento dell'uomo che, attraverso la tecnologia e il
controllo dei processi chimico-biologici, evita la contaminazione e lo sviluppo
di batteri, oltre che malattie e difetti. Lo scopo dichiarato - e certamente
nobile - della produzione dei vini naturali è quella di produrre una bevanda
capace di esprimere le potenzialità e le qualità di un territorio, inteso come
insieme di fattori diversi e distinti. Fra questi elementi, oltre all'uva, il
territorio e il suo micro clima, troviamo anche il lievito, elemento spesso
controverso, naturalmente presente nell'aria e che si deposita sulla
buccia dell'uva. I lieviti, esattamente come tutti gli organismi e gli esseri
viventi, disputano una guerra all'insegna della sopravvivenza, con il
risultato che gli organismi più deboli o minoritari sono sopraffatti dalla
specie più forte e che quindi diviene dominante. Lo stesso fenomeno si verifica
- di fatto - anche durante la fermentazione del vino: una lotta senza quartiere
tesa all'affermazione della specie più forte e che quindi sarà la principale
responsabile dell'esito della fermentazione.
I lieviti, durante la fermentazione, non si limitano unicamente a demolire
gli zuccheri del mosto, trasformandoli in alcol etilico e altre sostanze, fra
queste anidride carbonica e anidride solforosa. Durante la fermentazione, i
lieviti, per effetto della loro attività, conferiscono al vino anche qualità
organolettiche specifiche, tali da modificare - anche radicalmente - le qualità
olfattive e gustative della bevanda. Questo insieme di qualità organolettiche
derivanti dalla fermentazione si definiscono secondarie, ricordando che
quelle primarie sono relative alle qualità proprie dell'uva, mentre le
terziarie sono relative al risultato dei processi di maturazione e
affinamento. Il ruolo dei lieviti nella formazione degli aromi di un vino è
comunque fondamentale e, non a caso, si dice che gli aromi primari sono
nascosti nell'uva, ma è la fermentazione che li rivela. Ogni tipo e specie di
lievito, batteri compresi, durante la loro attività sviluppano aromi e sapori
diversi e non sempre queste sensazioni organolettiche sono considerate
gradevoli nel vino.
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Saccharomyces Cerevisiae: la
specie di lievito principalmente utilizzata per la fermentazione del vino | |
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La colonia di lieviti e batteri che entrano in contatto con il mosto e che
lo trasformeranno in vino, non è di semplice determinazione, per essere precisi,
è determinabile unicamente attraverso una specifica analisi di laboratorio.
Sulla buccia dell'uva sono naturalmente presenti gli stessi lieviti e batteri
presenti nella zona dove risiede il vigneto. Quando l'uva è pigiata, operazione
essenziale per la produzione del mosto, questi lieviti e batteri entrano in
contatto con il succo dell'uva, iniziando così il processo di fermentazione.
Ogni specie di lievito, oltre a conferire al vino qualità organolettiche
specifiche, necessita di condizioni tali da favorire la propria attività
biologica, fra queste, la temperatura. Grazie alle ricerche sulla fermentazione
e sull'attività biologica dei lieviti - ricerche che hanno avuto un fondamentale
contributo nel lavoro di Louis Pasteur - il controllo della temperatura in
fermentazione consente, di fatto, la piena attività di certi lieviti e
l'inibizione di altri.
Il principale ceppo di lievito responsabile della fermentazione del mosto è il
celeberrimo Saccharomyces Cerevisiae, lo stesso impiegato per la
fermentazione della birra. Non si tratta dell'unico ceppo di lievito
responsabile della produzione del vino, ma - di fatto - è quello che si cerca di
favorire principalmente durante la fermentazione. Questo particolare lievito è
lo stesso che viene selezionato nei laboratori produttori del cosiddetto
lievito selezionato. Il Saccharomyces Cerevisiae è presente anche nel
cosiddetto lievito autoctono, unitamente anche ad altri lieviti e batteri,
non sempre utili per ottenere una fermentazione stabile e proficua ai fini
enologici. Usare il cosiddetto lievito autoctono o indigeno, significa
certamente conferire al vino qualità autoctone del luogo, ma anche correre
il rischio di sviluppare una colonia di batteri e lieviti ignoti e che
non sempre producono un risultato decente.
Per questo motivo, i produttori che fanno uso del lievito indigeno - cioè
quello che la Natura e tutti gli altri fattori ambientali esistenti nel suo
vigneto depositano sulle bucce dell'uva - raramente corrono il rischio di usarlo
tal quale. A meno che non abbiano la fortuna di coltivare il proprio vigneto
in un territorio baciato dalla buona sorte di Madre Natura, nel quale si
trovano lieviti e batteri positivi ai fini enologici, in genere si tende a
operare una selezione in laboratorio di un campione del proprio lievito indigeno
così da depurarlo da lieviti e batteri indesiderati. Va altresì detto che in
cantina si opera una naturale selezione del lievito indigeno durante il
controllo della fermentazione. Una delle tecniche naturali più diffuse in
cantina è il controllo della temperatura di fermentazione. Questa tecnica -
certamente utile e notoriamente essenziale per la finezza di un vino - di fatto
opera una selezione spietata sulla colonia dei lieviti presenti nel mosto,
inibendo l'attività di quelli che non riescono a vivere a certe temperature.
Si deve inoltre osservare che la consueta tecnica di sanitizzare il mosto prima
di attivare la fermentazione, aggiungendo anidride solforosa, opera una
preliminare selezione dei lieviti. L'anidride solforosa letteralmente intossica
alcune specie di lieviti, tutti considerati negativi ai fini della fermentazione
di qualità, trattamento al quale sopravvivono solamente i ceppi più forti e
resistenti. I luoghi nei quali si svolge la fermentazione sono
naturalmente popolati da lieviti, non solo quelli presenti nell'aria, ma
anche quelli che si sono sviluppati e moltiplicati durante le precedenti
fermentazioni. Anche i lieviti presenti in cantina andranno successivamente a
inquinare il mosto, aggiungendosi a quelli già presenti, fenomeno che si
può considerare come un'ulteriore selezione. L'inevitabile conseguenza di questi
fattori, oltre alle condizioni tecniche e ambientali, è quello di operare una
selezione sui lieviti indigeni. Il risultato finale è quindi fortemente
condizionato dalla capacità dell'enologo nel controllare i processi di
fermentazione, oltre a vivere in un contesto ambientale privilegiato.
Il vino, ovviamente, non è il semplice risultato della fermentazione svolta dai
lieviti, ma è innegabile che questo fondamentale processo condizioni
profondamente le qualità organolettiche del prodotto finale. Con lo scopo di
ottenere dalla fermentazione qualità organolettiche gradevoli, seppure
identificative di un luogo e di un terroir, è comunque indispensabile che questo
processo sia scrupolosamente controllato. Per questo motivo, molti produttori di
vino preferiscono utilizzare il lievito selezionato, capace di rendere la
fermentazione più affidabile, controllabile e stabile. L'impiego del lievito
selezionato produce anche un risultato organolettico specifico e tipico,
portando quindi all'inevitabile omologazione delle qualità organolettiche
dei vini. In altre parole, un vino prodotto con lieviti selezionati è facilmente
riconoscibile attraverso un sommario esame olfattivo, poiché le sue
caratteristiche aromatiche sono comuni a tutti i vini che lo utilizzano nella
fermentazione.
Esistono diversi tipi di lieviti selezionati e spesso i laboratori che lo
producono offrono colture e specie adatte a ogni tipo di vino. I principali
produttori di lieviti selezionati sono in grado di offrire specie adatte per
vini bianchi, vini bianchi aromatici, vini rossi e rosati, spumanti e vini
passiti, tanto per citare gli esempi più comuni. Ogni ceppo di lievito possiede
qualità proprie che non sono unicamente associate alle caratteristiche
organolettiche che conferirà al vino. Per chiarire meglio il concetto, prendiamo
come esempio un vino passito. Una delle caratteristiche di questi vini è l'alta
percentuale di alcol, spesso superiore al 15%, pertanto è indispensabile che il
lievito utilizzato per la sua fermentazione sopravviva e sia capace di
lavorare anche con quantità elevate di alcol. In questi casi si preferisce
l'impiego del Saccharomyces Bayanus, capace di tollerare quantità di
alcol superiori rispetto al celeberrimo Saccharomyces Cerevisiae. Questi
due lieviti appartengono alla stesso genere Saccharomyces, tuttavia
producono risultati di fermentazione diversi, conferendo specifiche qualità
organolettiche al vino.
Se è vero che il contributo organolettico del lievito selezionato è piuttosto
prevedibile, quello del lievito indigeno è decisamente imprevedibile.
L'imprevedibilità del lievito indigeno - autoctono o non selezionato - deve
essere comunque considerata in senso positivo e in senso negativo. Se il
controllo della fermentazione non è rigoroso, così come in presenza di una
colonia di lieviti e batteri diversificata e confusa, il risultato potrebbe
essere un vino con qualità organolettiche piuttosto scadenti, anche
caratterizzato da evidenti difetti. In effetti, la fermentazione con un lievito
indigeno può essere considerata come una sorta di lotteria: qualora a prendere
il sopravvento fossero i lieviti e i batteri non utili ai fini della qualità, il
risultato sarà certamente negativo. Usando un lievito indigeno, e nel caso la
fermentazione sia condotta principalmente da lieviti utili ai fini enologici, il
risultato finale sarà sempre e comunque determinato anche dall'influsso
organolettico di altri lieviti e batteri minoritari.
Questo non significa che l'influsso di altri lieviti e batteri minoritari sia
necessariamente negativo: molto spesso il loro apporto alle qualità
organolettiche del vino è assolutamente positivo, conferendo maggiore
complessità e diversificazione sensoriale. L'impiego di lievito indigeno è
certamente più difficoltoso rispetto a quello selezionato, motivo per il quale
la maggioranza dei produttori tende a non usarlo. Il lievito selezionato
assicura un avvio della fermentazione più rapido, un maggiore controllo,
maggiore stabilità, migliore garanzia sul risultato finale, aromi e sapori
compresi. Per contro, l'enorme variabilità della colonia componente il
cosiddetto lievito indigeno, lo rende decisamente imprevedibile, nonostante
certe pratiche sanitarie ed enologiche operino - di fatto - una notevole
selezione sui suoi componenti.
La popolazione di lieviti e batteri componenti il lievito indigeno va comunque
considerata come espressione di un determinato territorio, alla stregua di tutti
gli altri fattori ambientali, poiché influisce direttamente sulle qualità
organolettiche del vino. Da questo punto di vista, l'uso di lievito selezionato
nasconde queste qualità tipiche e territoriali, conferendo aromi e sapori
omologati e replicabili ovunque. L'influsso del lievito - sia selezionato, sia
indigeno - sulle qualità organolettiche del vino non è comunque destinato a
imprimere il suo marchio per sempre. Con il tempo e con la maturazione, le
qualità organolettiche conferite dal lievito al vino tendono ad attenuarsi,
lasciando la scena al carattere autentico del vino, così come alle sue
qualità terziarie. L'impatto del lievito sul vino è infatti molto forte e
dominante subito dopo il termine della fermentazione e durante la gioventù del
vino, per poi attenuarsi progressivamente con il procedere del tempo.
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