L'anidride carbonica è un elemento che svolge diversi ruoli in enologia. Questo
gas, incolore e inodore, si può di fatto considerare la sostanza che ha fatto
letteralmente sognare tutti gli amanti della bevanda di bacco - a partire
dalla metà del 1600 - regalando momenti di classe, lusso e piacere. Il successo
dello Champagne è infatti legato, oltre alla sua qualità, al fascino conferito
dalle bollicine che, dal fondo del calice, danzano gioiosamente verso la
superficie, effetto prodotto, appunto, dall'anidride carbonica. La magia
dell'anidride carbonica non si manifesta unicamente nel calice, nella forma di
bollicine e spuma, ma anche in bocca nella forma dell'effervescenza con il suo
caratteristico pizzicore. Anche questo stimolo tattile, brioso e gioioso, ha
certamente contribuito al successo dello Champagne e di gran parte dei vini
spumanti.
L'anidride carbonica stabilisce comunque un forte legame con il vino, anche in
quelli privi di effervescenza nel calice, poiché questo gas è prodotto durante
la fermentazione alcolica e, quando previsto dalle procedure enologiche,
durante la cosiddetta fermentazione malolattica. Quest'ultima non si può
infatti definire fermentazione, ma più propriamente conversione o
degradazione malolattica, poiché non si tratta di una fermentazione
nel senso proprio del termine, ma della degradazione dell'acido malico in acido
lattico e, appunto, anidride carbonica. La degradazione malolattica, va
ricordato, non è svolta per mezzo di lieviti - come invece accade per la
fermentazione alcolica o primaria - ma per opera di batteri lattici. L'anidride
carbonica prodotta dalla fermentazione alcolica e dalla degradazione malolattica
è generalmente dispersa, motivo per il quale, nella produzione dei vini da
tavola fermi non si rilevano quantità significative di questo gas tali da
produrre l'effetto della effervescenza.
La dispersione dell'anidride carbonica è favorita dalle normali pratiche
enologiche, poiché la fermentazione è generalmente svolta in contenitori non
ermetici, consentendo quindi all'anidride carbonica di disperdersi nell'aria.
L'anidride carbonica prodotta durante la fermentazione, come vedremo più avanti,
può essere opportunamente conservata così da conferire al vino effervescenza,
come nel caso dei vini frizzanti e spumanti. L'anidride carbonica - esattamente
come accade per le acque minerali e le bevande in genere - può essere aggiunta
artificialmente al vino al termine della produzione. Questa pratica è
generalmente usata nei cosiddetti vini alla spina frizzanti, disponibili in
alcuni ristoranti e serviti al tavolo in brocche, così come per alcuni vini in
bottiglia. Va detto che la qualità della solubilizzazione dell'anidride
carbonica nel vino varia enormemente in funzione della tecnica impiegata,
fattore che influisce in modo significativo anche nell'effetto organolettico
prodotto da questo gas.
Nell'enologia di qualità, la solubilizzazione dell'anidride carbonica nei vini è
generalmente ottenuta con due metodi principali: mediante la rifermentazione in
bottiglia oppure la fermentazione o rifermentazione in autoclave, cioè un
contenitore a tenuta ermetica. In entrambi i casi, l'obiettivo è lo stesso:
impedire la dispersione dell'anidride carbonica così da ottenere la
solubilizzazione del gas nel vino producendo la caratteristica effervescenza. La
rifermentazione in bottiglia è alla base del méthode champenoise -
notoriamente impiegato per la produzione dello Champagne - del metodo
classico, metodo Franciacorta, metodo benedettino e metodo
cava. Un altro metodo che si basa sulla rifermentazione in bottiglia, meno
conosciuto di quelli precedenti ma ancora in uso per la produzione di certi vini
francesi, come Gaillac e Limoux, è il méthode rurale, conosciuto anche
come méthode artisanale, méthode ancestrale o méthode
gaillacois.
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Le bollicine degli spumanti si sviluppano
grazie alla presenza dell'anidride carbonica | |
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La fermentazione o rifermentazione in autoclave è una tecnica che prevede
l'impiego di un contenitore a perfetta tenuta ermetica. Questo metodo è
conosciuto come metodo Martinotti o metodo Charmat, dal nome dei
due tecnici che lo hanno ideato e perfezionato. La fermentazione in autoclave è
stata infatti ideata da Federico Martinotti nel 1895 presso l'Istituto
Sperimentale per l'Enologia di Asti e successivamente ripreso e perfezionato nel
1910 dal francese Eugène Charmat. Il metodo è oggi prevalentemente conosciuto
come metodo Charmat - ingiustamente disconoscendo il merito di Federico
Martinotti - e, meno comunemente, metodo Charmat-Martinotti o
metodo italiano. La produzione di un vino spumante mediante il
metodo Charmat prevede una durata media di tre o sei mesi. L'enologo
Nereo Cavazzani, verso la fine degli anni 1970, riprese questo metodo e mise a
punto una procedura che allungava i tempi fra i sei e i dodici mesi, favorendo
quindi anche la maturazione del vino.
I due metodi sono oggi conosciuti come metodo Charmat corto - o
semplicemente metodo Charmat, nel caso la produzione abbia una durata
variabile fra i tre e sei mesi; metodo Charmat lungo o metodo
Cavazzani, quando la durata è compresa fra i sei e dodici mesi. Per
completezza, è bene ricordare che il metodo ideato da Nereo Cavazzani prevede
l'impiego di agitatori all'interno dell'autoclave, i quali, periodicamente,
rimettono in sospensione i sedimenti di fermentazione, conferendo al vino una
maggiore struttura e una maggiore complessità sensoriale. L'obiettivo dei vari
metodi è quello di ottenere un vino nel quale sia presente anidride carbonica -
quindi un vino effervescente - tuttavia è bene precisare che la qualità del
risultato è significativamente diversa nei tre metodi. Il metodo classico
consente di ottenere una solubilizzazione dell'anidride carbonica di alta
qualità, con bollicine sottili e finissime, cremose. Per contro, è il metodo più
costoso, poiché la sua durata può protrarsi anche per diversi anni. Il metodo di
minore qualità, e anche il più semplice ed economico, è l'addizione artificiale
nel vino, con il risultato di ottenere bollicine grossolane e un'effervescenza
spesso aggressiva e sgraziata.
L'anidride carbonica non è solamente utile a produrre effervescenza. Durante la
fermentazione alcolica è molto efficace nella conservazione del vino. Grazie al
maggiore peso rispetto all'ossigeno, l'anidride carbonica forma un'efficace
strato sopra la superficie del vino, spingendo letteralmente fuori l'ossigeno
dal contenitore di fermentazione evitando quindi l'ossidazione. L'effetto di
protezione dell'anidride carbonica si verifica anche nella produzione dei vini
spumanti, sia quelli prodotti con il metodo classico, quindi rifermentati in
bottiglia, sia quelli prodotti con il metodo Charmat-Martinotti. Durante la
rifermentazione, la produzione di anidride carbonica, oltre a produrre pressione
e a solubilizzarsi nel vino, svolge un ottimo ruolo di protezione, evitando il
contatto con l'ossigeno e quindi l'ossidazione. I vini rifermentati in bottiglia
possono infatti conservarsi virtualmente per periodi di molte decine di anni,
proprio grazie alla presenza di anidride carbonica. Il declino si verificherà al
momento della sboccatura, quando la bottiglia sarà aperta per consentire
l'eliminazione dei sedimenti, operazione che consentirà l'ingresso
dell'ossigeno.
Sarà infatti quella piccola quantità di ossigeno a contribuire alla maturazione
dello spumante in bottiglia e, nel contempo, al suo inesorabile declino nel
corso degli anni. Dal punto di vista tecnico, la produzione di vini spumanti
mediante il metodo classico, oltre ad essere il metodo che consente di ottenere
la migliore qualità in questo stile di vini, è anche quello che può garantire
una migliore conservabilità del prodotto. Come già detto, fino al momento della
sboccatura, il contenuto della bottiglia prodotto con il metodo classico può
conservarsi per un periodo virtualmente indeterminato. L'effetto conservante
dell'anidride carbonica, isolando il vino dall'ossigeno, consente infatti ai
produttori di questo stile di vino di potere immettere periodicamente nel
mercato annate molto vecchie, anche di decine di anni. Per chiarezza, va detto
che si tratta di vini sboccati pochi mesi prima della commercializzazione, dopo
avere consentito loro di riposare ed evolvere in bottiglia per molti
anni. Il risultato si esprime nel calice con qualità organolettiche di
incredibile complessità pur conservando ancora un'invidiabile freschezza.
In accordo alle disposizioni di legge, i vini effervescenti appartengono a
categorie specifiche a seconda della pressione interna della bottiglia e
prodotta dall'anidride carbonica. Il vino si definisce spumante nel caso la
pressione in bottiglia, misurata alla temperatura di 20 °C, non sia inferiore a
3,5 bar; vini con pressione compresa fra 1 e 2,5 bar si definiscono invece
frizzanti. Dal punto di vista tecnico, la produzione della pressione di 1
bar per litro all'interno della bottiglia, richiede la fermentazione di 4,3
grammi di zucchero, dei quali, parte saranno convertiti in alcol dai lieviti e
parte in anidride carbonica. Considerando quindi la tipica pressione in
bottiglia degli spumanti metodo classico, generalmente pari a 6 bar, per
ottenere questa pressione, nel vino base dovranno essere presenti circa 25
grammi di zucchero per litro. Com'è noto, questa quantità di zucchero è aggiunta
insieme ai lieviti al vino base - che è un vino secco e totalmente vinificato -
così da attivare la seconda fermentazione.
Dal punto di vista sensoriale, l'anidride carbonica produce gli stessi effetti
indipendentemente dal metodo utilizzato per la sua solubilizzazione nel vino. Le
uniche differenze apprezzabili - anche in modo significativo - riguardano
prevalentemente le sensazioni tattili, mentre l'effetto gustativo, e
l'interazione con gli altri stimoli, è il medesimo. La prima impressione che si
riceve dall'anidride carbonica al momento dell'immissione in bocca, è
rappresentata dalla caratteristica effervescenza, una sensazione tattile che
produce il tipico pizzicore. L'intensità e la delicatezza di questo stimolo
varia in modo significativo dalla tecnica di produzione e, in particolare, dalla
dimensione delle bollicine e come il gas è stato solubilizzato nel vino. Il
processo di addizione artificiale di anidride carbonica produce un'effervescenza
piuttosto violenta e intensa, con bollicine grossolane, che in bocca diventa
aggressiva, spesso fastidiosa e perfino dolorosa.
Sensazione ben diversa è quella percepita negli spumanti metodo classico. In
questi vini, infatti, la dimensione delle bollicine è decisamente inferiore,
producendo comunque un'efficace sensazione di effervescenza, tuttavia meno
aggressiva in bocca e, nei casi di eccellenza, conferiscono al vino un'elegante
cremosità. Per quanto concerne il gusto, l'anidride carbonica ha un
sapore tendenzialmente acidulo, stimolo che è generalmente percettibile, quando
disciolta in acqua, a concentrazioni superiori a 200mg/l, mentre la soglia si
alza a 500mg/l nel caso del vino. Il suo sapore acidulo si aggiunge, ovviamente,
alla sensazione di acidità conferita al vino da tutte le sostanze acide
presenti, accentuando quindi la freschezza del vino. Dal punto di vista
gustativo, l'anidride carbonica tende ad accentuare le cosiddette sensazioni
dure presenti nel vino, pertanto l'intensità dell'astringenza e dell'acidità
aumentano in presenza di questo gas.
Per contro, l'anidride carbonica attenua gli stimoli prodotti dalle sostanze
cosiddette morbide, come la dolcezza, la morbidezza e l'alcolicità. Un vino
effervescente, esattamente come qualunque bevanda addizionate di anidride
carbonica, risulta, di fatto, meno dolce e meno alcolico di quanto non sia
effettivamente. Qualora si consenta all'anidride carbonica di liberarsi
completamente dal vino, per mezzo dell'agitazione del calice, si percepirà una
maggiore sensazione della dolcezza e degli effetti pseudocalorici dell'alcol,
accentuando, nel contempo, la morbidezza. L'accentuazione dell'astringenza, in
particolare, giustifica la scarsa disponibilità di vini spumanti prodotti con
uve a bacca rossa, poiché questo porterebbe a un vino eccessivamente squilibrato
e allappante. L'anidride carbonica, quindi, svolge un ruolo fondamentale
nell'equilibrio gustativo del vino. L'effetto di questo gas è infine utile anche
nella fase olfattiva della degustazione. Quando l'anidride carbonica si libera
dalla superficie del vino, trasporta con sé anche le sostanze aromatiche,
facilitando, seppure marginalmente, la percezione dei profumi.
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