Mi occupo di vino oramai da oltre venti anni, indirizzando il mio interesse -
in modo particolare - agli aspetti storici, tecnici, produttivi, territoriali e
sensoriali. In tutto questo tempo ho avuto l'opportunità di assistere - a volte
in modo divertito, altre decisamente perplesso - ai tanti fenomeni che hanno
caratterizzato le sorti del vino. Venti anni, o poco più, sembrano tanti ma in
realtà sono passati con una velocità sorprendente, esattamente come tutte le
mode e paure che si sono susseguite nel mondo del vino. Molte di queste sono
state delle autentiche meteore, altre hanno avuto vita decisamente più
lunga, in ogni caso segnate dall'inevitabile declino, perfino consegnate
all'oblio. A causa della mia predilezione per gli aspetti tecnici, mi è
pressoché inevitabile non valutare da questo punto di vista le mode e paure
legate al vino. Spesso si tratta di ridicole verità svelate al mondo con
l'evidente scopo di supportare gli interessi personali e commerciali di alcuni
oppure evidenziare l'insipienza di altri.
Come tutti i temi che coinvolgono e interessano un considerevole numero di
persone, le opinioni, idee, commenti e mode si susseguono in modo frenetico e,
spesso, disordinato. Il vino non fa eccezione a questo fenomeno, ovviamente. In
una ventina di anni - seppure si tratti di un tempo piuttosto breve - di mode e
di fenomeni legati al vino ne ho vissuti diversi. Quando ho iniziato a
interessarmi al nettare di Bacco, salvo rare eccezioni, se si parlava del
vino di qualità, inevitabilmente si finiva a parlare di quello francese, come
fosse una sorta di sogno irraggiungibile. Il resto, Italia compresa, era
irrimediabilmente dietro: se ne parlava comunque ma i sogni finivano
inevitabilmente sempre nei magici luoghi di Francia, in particolare Bordeaux,
Borgogna e Champagne. Erano tempi nei quali l'Italia cominciava a rialzarsi
dalle ferite inferte dal cosiddetto scandalo del metanolo, di vino se ne
produceva tanto; esattamente come oggi l'offerta era variegata e diversificata.
Di sicuro, le cantine che da sempre vedevano nel vino un prodotto di qualità
senza compromessi, continuavano a mantenere alto il buon nome dell'Italia nel
mondo.
L'interesse verso la Francia e i suoi vini di innegabile qualità, ha portato
ovunque nel mondo la moda della barrique, del Merlot e dello Chardonnay,
tanto per citare i tre esempi più celebri. Sembrava che il segreto della
qualità fosse raggiungibile solamente con questi tre semplici elementi. Un vino
prodotto con Merlot e fermentato o maturato in barrique significava - spesso -
l'inequivocabile consacrazione all'Olimpo di Bacco. Lo stesso accadeva per lo
Chardonnay, ovviamente. Non solo: le umili uve italiane, benché avessero
secoli di gloriosa storia - a quei tempi considerate rozze e
volgari - assurgevano a sicura nobiltà grazie al matrimonio con Merlot e
Chardonnay. Il valore aggiunto della barrique, poi, significava l'apoteosi.
Oggi, solo a menzionare - anche distrattamente e per puro caso - Merlot,
Chardonnay e barrique, suscita nella maggioranza degli enoappassionati un
ghigno di disapprovazione. Gli appassionati esperti - o presunti tali - sono
perfino capaci di lanciarti anatemi e proporti alla scomunica, oppure alla
quarantena per una salvifica rieducazione enologica. Come cambiano i
tempi.
C'erano poi dei vini, soprattutto quelli bianchi, che avevano aromi piuttosto
comuni e universalmente considerati gradevoli: spesso certe uve notoriamente
considerate non aromatiche, sfoggiavano inebrianti aromi di uva e frutta
esotica. Piacevano a tutti e tutti li preferivano. Non solo, si cercava spesso
di ottenere nei bianchi quel genere di profumi. Magie dei lieviti selezionati,
diranno molti, oppure - più concretamente - risultato di ricerche e studi, anni
trascorsi a capire che esistono lieviti utili ai fini enologici e altri un po'
meno. Le fermentazioni condotte con i lieviti autoctoni e spontanei? Roba da
contadini, roba da vini grevi e rozzi. Oggi si ripudiano i
lieviti selezionati e si magnificano le fermentazioni spontanee e svolte con i
lieviti che il caso e la Natura hanno depositato sulle bucce delle uve e
portato in cantina. I lieviti selezionati? Roba da alchimisti, infimi e volgari
stregoni. Cambiano i profumi ma, nella sostanza, il risultato è lo stesso. Se è
vero che i lieviti selezionati caratterizzano il profilo sensoriale di un vino,
è altrettanto vero che lo stesso accade con i lieviti indigeni. Il lievito,
qualunque esso sia, conferisce sempre e in ogni caso la sua personalità al vino.
Passata, o per meglio dire, sopita la fobia dei lieviti selezionati, è arrivata
- prepotente e inquietante - quella da anidride solforosa. Sia chiaro: questo
gas, quando assunto in quantità elevate, produce disturbi alla salute, in
particolare ai soggetti sensibili. In questo senso, è fin troppo evidente un
vino che sia il meno nocivo possibile alla salute è interesse di ogni
appassionato. L'uso dell'anidride solforosa in enologia è vecchio quanto la
storia del vino. Le sue qualità antiossidanti e antisettiche sono note a tutti,
anche e soprattutto all'industria alimentare. Un lavoro che esegue egregiamente
e che, inoltre, ha un costo bassissimo. Ci preoccupiamo di consumare vino con
una quantità di solfiti minima, ma non abbiamo affatto lo stesso scrupolo
quando consumiamo molti dei cibi e bevande che ne contengono molto più di
quanto la legge preveda per il vino. Si dovrebbe poi ricordare che la
fermentazione produce sempre e in ogni caso anidride solforosa e che, talvolta,
certi lieviti naturali ne producono molto più di quelli selezionati. Del
resto, i lieviti selezionati furono introdotti anche per ridurre la produzione
di solfiti durante la fermentazione. Eppure, oggi, entrambi sono considerati
come elementi di infima sofisticazione e bieca omologazione enologica.
A proposito di sostanze dannose, o potenzialmente tali, presenti nel vino,
raramente ho visto sprecare fiumi di parole - come si fa e si è fatto per i
solfiti, i lieviti selezionati e altro - per quello che è notoriamente
considerata una sostanza tossica: l'alcol etilico. In questi venti anni si è
assistito al progressivo aumento del volume alcolico nei vini e mai nessuno si
è lamentato o ha combattuto crociate come invece si è fatto - strenuamente e
spesso ipocritamente - per altri aspetti del vino. Venticinque anni fa un vino
con 12,5° di alcol era considerato forte; oggi si hanno vini che arrivano
anche a 15° e si considerano perfino normali. Eppure l'alcol etilico ha
degli effetti sulla salute non proprio positivi e l'eccesso - esattamente come
l'anidride solforosa - può perfino portare alla morte. Nei confronti dell'alcol
etilico, è fin troppo evidente, esiste una maggiore tolleranza e accettabilità
rispetto all'anidride solforosa e ai lieviti selezionati. Il vino, come
qualunque altra cosa, per continuare a mantenere alto l'interesse e alimentare
i profitti, deve vivere di mode e paure che nascono, esplodono in furibonde
discussioni, quindi svaniscono e sono dimenticate da tutti. Sic transit
gloria mundi.
Antonello Biancalana
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