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  Editoriale Numero 131, Estate 2014   
Le Mode e le Paure del VinoLe Mode e le Paure del Vino  Sommario 
Numero 130, Giugno 2014 Segui DiWineTaste su Segui DiWineTaste su TwitterNumero 132, Settembre 2014

Le Mode e le Paure del Vino


 Mi occupo di vino oramai da oltre venti anni, indirizzando il mio interesse - in modo particolare - agli aspetti storici, tecnici, produttivi, territoriali e sensoriali. In tutto questo tempo ho avuto l'opportunità di assistere - a volte in modo divertito, altre decisamente perplesso - ai tanti fenomeni che hanno caratterizzato le sorti del vino. Venti anni, o poco più, sembrano tanti ma in realtà sono passati con una velocità sorprendente, esattamente come tutte le mode e paure che si sono susseguite nel mondo del vino. Molte di queste sono state delle autentiche meteore, altre hanno avuto vita decisamente più lunga, in ogni caso segnate dall'inevitabile declino, perfino consegnate all'oblio. A causa della mia predilezione per gli aspetti tecnici, mi è pressoché inevitabile non valutare da questo punto di vista le mode e paure legate al vino. Spesso si tratta di ridicole verità svelate al mondo con l'evidente scopo di supportare gli interessi personali e commerciali di alcuni oppure evidenziare l'insipienza di altri.


 

 Come tutti i temi che coinvolgono e interessano un considerevole numero di persone, le opinioni, idee, commenti e mode si susseguono in modo frenetico e, spesso, disordinato. Il vino non fa eccezione a questo fenomeno, ovviamente. In una ventina di anni - seppure si tratti di un tempo piuttosto breve - di mode e di fenomeni legati al vino ne ho vissuti diversi. Quando ho iniziato a interessarmi al nettare di Bacco, salvo rare eccezioni, se si parlava del vino di qualità, inevitabilmente si finiva a parlare di quello francese, come fosse una sorta di sogno irraggiungibile. Il resto, Italia compresa, era irrimediabilmente dietro: se ne parlava comunque ma i sogni finivano inevitabilmente sempre nei magici luoghi di Francia, in particolare Bordeaux, Borgogna e Champagne. Erano tempi nei quali l'Italia cominciava a rialzarsi dalle ferite inferte dal cosiddetto “scandalo del metanolo”, di vino se ne produceva tanto; esattamente come oggi l'offerta era variegata e diversificata. Di sicuro, le cantine che da sempre vedevano nel vino un prodotto di qualità senza compromessi, continuavano a mantenere alto il buon nome dell'Italia nel mondo.

 L'interesse verso la Francia e i suoi vini di innegabile qualità, ha portato ovunque nel mondo la moda della barrique, del Merlot e dello Chardonnay, tanto per citare i tre esempi più celebri. Sembrava che il segreto della qualità fosse raggiungibile solamente con questi tre semplici elementi. Un vino prodotto con Merlot e fermentato o maturato in barrique significava - spesso - l'inequivocabile consacrazione all'Olimpo di Bacco. Lo stesso accadeva per lo Chardonnay, ovviamente. Non solo: le umili uve italiane, benché avessero secoli di gloriosa storia - a quei tempi considerate rozze e volgari - assurgevano a sicura nobiltà grazie al matrimonio con Merlot e Chardonnay. Il valore aggiunto della barrique, poi, significava l'apoteosi. Oggi, solo a menzionare - anche distrattamente e per puro caso - Merlot, Chardonnay e barrique, suscita nella maggioranza degli enoappassionati un ghigno di disapprovazione. Gli appassionati esperti - o presunti tali - sono perfino capaci di lanciarti anatemi e proporti alla scomunica, oppure alla quarantena per una salvifica rieducazione enologica. Come cambiano i tempi.

 C'erano poi dei vini, soprattutto quelli bianchi, che avevano aromi piuttosto comuni e universalmente considerati gradevoli: spesso certe uve notoriamente considerate “non aromatiche”, sfoggiavano inebrianti aromi di uva e frutta esotica. Piacevano a tutti e tutti li preferivano. Non solo, si cercava spesso di ottenere nei bianchi quel genere di profumi. Magie dei lieviti selezionati, diranno molti, oppure - più concretamente - risultato di ricerche e studi, anni trascorsi a capire che esistono lieviti utili ai fini enologici e altri un po' meno. Le fermentazioni condotte con i lieviti autoctoni e spontanei? Roba da contadini, roba da vini grevi e rozzi. Oggi si ripudiano i lieviti selezionati e si magnificano le fermentazioni spontanee e svolte con i lieviti che il caso e la Natura hanno depositato sulle bucce delle uve e portato in cantina. I lieviti selezionati? Roba da alchimisti, infimi e volgari stregoni. Cambiano i profumi ma, nella sostanza, il risultato è lo stesso. Se è vero che i lieviti selezionati caratterizzano il profilo sensoriale di un vino, è altrettanto vero che lo stesso accade con i lieviti indigeni. Il lievito, qualunque esso sia, conferisce sempre e in ogni caso la sua personalità al vino.

 Passata, o per meglio dire, sopita la fobia dei lieviti selezionati, è arrivata - prepotente e inquietante - quella da anidride solforosa. Sia chiaro: questo gas, quando assunto in quantità elevate, produce disturbi alla salute, in particolare ai soggetti sensibili. In questo senso, è fin troppo evidente un vino che sia il meno nocivo possibile alla salute è interesse di ogni appassionato. L'uso dell'anidride solforosa in enologia è vecchio quanto la storia del vino. Le sue qualità antiossidanti e antisettiche sono note a tutti, anche e soprattutto all'industria alimentare. Un lavoro che esegue egregiamente e che, inoltre, ha un costo bassissimo. Ci preoccupiamo di consumare vino con una quantità di solfiti minima, ma non abbiamo affatto lo stesso scrupolo quando consumiamo molti dei cibi e bevande che ne contengono molto più di quanto la legge preveda per il vino. Si dovrebbe poi ricordare che la fermentazione produce sempre e in ogni caso anidride solforosa e che, talvolta, certi lieviti naturali ne producono molto più di quelli selezionati. Del resto, i lieviti selezionati furono introdotti anche per ridurre la produzione di solfiti durante la fermentazione. Eppure, oggi, entrambi sono considerati come elementi di infima sofisticazione e bieca omologazione enologica.

 A proposito di sostanze dannose, o potenzialmente tali, presenti nel vino, raramente ho visto sprecare fiumi di parole - come si fa e si è fatto per i solfiti, i lieviti selezionati e altro - per quello che è notoriamente considerata una sostanza tossica: l'alcol etilico. In questi venti anni si è assistito al progressivo aumento del volume alcolico nei vini e mai nessuno si è lamentato o ha combattuto crociate come invece si è fatto - strenuamente e spesso ipocritamente - per altri aspetti del vino. Venticinque anni fa un vino con 12,5° di alcol era considerato “forte”; oggi si hanno vini che arrivano anche a 15° e si considerano perfino “normali”. Eppure l'alcol etilico ha degli effetti sulla salute non proprio positivi e l'eccesso - esattamente come l'anidride solforosa - può perfino portare alla morte. Nei confronti dell'alcol etilico, è fin troppo evidente, esiste una maggiore tolleranza e accettabilità rispetto all'anidride solforosa e ai lieviti selezionati. Il vino, come qualunque altra cosa, per continuare a mantenere alto l'interesse e alimentare i profitti, deve vivere di mode e paure che nascono, esplodono in furibonde discussioni, quindi svaniscono e sono dimenticate da tutti. Sic transit gloria mundi.

Antonello Biancalana






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